[Area] Un uomo!

Andrea Reale andrea.reale a giustizia.it
Mer 9 Nov 2016 12:42:01 CET


Splendido articolo di fondo di Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano di
oggi.

 

Dedicato al “Caso Di Matteo”.

 

Da leggere assolutamente e da rifletterci tanto sopra….

 

Andrea Reale

 

 

 

 

 

Un uomo

 

di Marco Travaglio

 

da Il Fatto Quotidiano del 9.11.2016 

 

Abituati come sono a incensare “mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e
quaquaraquà” (Leonardo Sciascia), giornali e tg non si accorgono
dell’esistenza di un uomo.

Si chiama Nino Di Matteo e da 25 anni fa il pm antimafia, prima a
Caltanissetta poi a Palermo.

Da tre anni tenta di entrare, come sarebbe suo diritto, alla Procura
Nazionale Antimafia (Dna), infatti ha presentato due domande al Csm, prima
come sostituto procuratore, poi come aggiunto.

Entrambe respinte dal Csm, che la prima volta gli ha preferito tre colleghi
più giovani e/o meno titolati di lui; la seconda ha giudicato
“inammissibile” la sua documentazione.

Tutti sanno benissimo che ciò che manca a Di Matteo non sono i meriti, i
titoli, l’anzianità di servizio, l’esperienza, la competenza o le scartoffie
(se manca qualche timbro, si può sempre chiedere – volendo –
un’integrazione): ma l’affidabilità politica.

Avendo giurato sulla Costituzione nel 1991, quando indossò per la prima
volta la toga, Nino è sempre stato fedele solo a quella, dunque non ai
potenti di turno.

Infatti è inviso alla destra come alla sinistra, avendole disturbate
entrambe con le sue indagini su mafia e politica, soprattutto con quella
sulla trattativa Stato-mafia, che attraversa longitudinalmente le classi
dirigenti della Prima e della Seconda Repubblica.

Senza contare che nel 2012 ebbe l’ardire, con un pugno di colleghi, di
ascoltare alcune conversazioni intercettate fra il presidente Napolitano e
l’ex ministro Mancino sul telefono di quest’ultimo, sospettato e poi
imputato di falsa testimonianza.

Perciò il Csm non lo promuoverà mai e lo lascerà sostituto a vita, senza
alcun avanzamento in carriera: “Colpirne uno per educarne cento”, anzi 9
mila quanti sono i magistrati italiani.

Ora però si dà il caso che, appena un mafioso viene intercettato o un
pentito apre bocca, dicano tutti la stessa cosa: Di Matteo è un cadavere che
cammina, condannato a morte da Cosa Nostra per volontà dei boss Riina e
Messina Denaro.

Allarme preso molto sul serio non solo dalle Procure. Ma anche dal Viminale,
che gli ha alzato la protezione al livello massimo, proponendogli
addirittura di circolare per Palermo a bordo di un carrarmato.

E pure dal Csm, che su input del presidente Sergio Mattarella l’ha convocato
per proporgli di lasciare Palermo e andare indovinate dove? Alla Dna.

Ma non in seguito a una sua domanda, che se fosse accolta presupporrebbe una
valutazione dei suoi meriti e una promozione in carriera. Bensì con un
“trasferimento d’ufficio extraordinem ”, per “motivi di sicurezza”. 

Una scorciatoia che lo porterebbe alla Superprocura non perché lo merita, ma
perché rischia la pelle.

L’altroieri Di Matteo ha risposto “no grazie”.

Motivo: “La mia aspirazione professionale di andare alla Dna si realizzerà
solo se e quando venissi nominato per normale concorso”.

Traduzione: io seguo le regole valide per tutti, voi no.

I consiglieri del Csm, tramite la forzista Casellati, hanno espresso “viva
preoccupazione” per la sua incolumità.

Se dicono la verità, non hanno che da accogliere la terza domanda già
annunciata da Di Matteo per il prossimo posto libero di sostituto alla Dna.

Ma è improbabile che accada: una promozione sarebbe un riconoscimento
indiretto della bontà del suo lavoro nel processo Trattativa. Un processo
che non s’ha da fare in nome della “ragion di Stato”: lo Stato che finge di
combattere la mafia e piange i giudici ammazzati che, da vivi, non ha voluto
proteggere.

Ma anche in nome della ragion di mafia: lo sanno tutti, anche se nessuno osa
dirlo, che è proprio per quel processo e le indagini collegate che Cosa
Nostra lo vuole morto.

Nell’attesa, Di Matteo resta a Palermo con tutti i rischi che ciò comporta:
“Accettare il trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a
ragioni di sicurezza sarebbe un segno di resa personale e istituzionale”.

Fece così anche Paolo Borsellino, ben conscio, dopo la strage di Capaci che
“dopo Falcone il prossimo sono io”.

E fece così Gian Carlo Caselli, che nel gennaio ’93 partì volontario per
Palermo in piena stagione stragista, mentre molti fuggivano per la paura.

Borsellino è un eroe, perché è morto.

Caselli invece ha subito ogni sorta di attacchi, perché è sopravvissuto e ha
processato chi non doveva.

E Di Matteo continua a subirne quotidianamente, perché non si decide a
compiere l’unico gesto che gli garantirebbe promozioni e onori: un
bell’autodafé in cui confessa che la trattativa Stato-mafia è frutto della
fantasia malata di un pugno di toghe fanatiche, “una boiata pazzesca” come
continua spudoratamente a scrivere un presunto giurista palermitano, tutto
giulivo perché la scombiccherata sentenza Mannino ha sposato i suoi deliri.

Ieri Il Foglio, house organ di alcuni imputati del processo Trattativa,
pubblicava il discorso di Di Matteo a un dibattito in difesa della
Costituzione con Salvatore Borsellino e la deputata M5S Giulia Sarti.

Avendo giurato sulla Costituzione, Di Matteo ha detto un’ovvietà: voterà No
allo snaturamento di 47 articoli su 139. E ha spiegato, da giurista, il
perché.

Tutto ciò, per Il Foglio, è un “manifesto politico” che mina la sua
“terzietà” di pm (come se l’oggetto dei suoi processi fosse la “riforma”
Boschi).

Segue domandina delatoria: “Che dice il Csm?”. Ecco: il Csm, guidato da un
presidente che non difende la Costituzione su cui ha giurato, dovrebbe
sanzionare un magistrato che difende la Costituzione su cui ha giurato.

Ci sarebbe da vomitare, come sempre. Ma oggi facciamo un’eccezione.

Oggi esultiamo perché, in un paese di mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e
quaquaraquà, c’è ancora un uomo. 

 

 

 

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