[Area] riflessi politici degli atti giudiziari

Morosini Piergiorgio piergiorgio.morosini a giustizia.it
Sab 24 Dic 2016 15:15:19 CET



Invio un pezzo a firma del sottoscritto pubblicato oggi a p.13 de "Il Fatto Quotidiano" sul tema dei riflessi politici degli atti giudiziari. Buone feste a tutti


STRESS TEST PENALE, L'ANOMALIA ITALIANA (Piergiorgio Morosini)
Stress test per i comuni di Roma e Milano. Due atti giudiziari, a diverso titolo, incrociano i destini politici dei rispettivi primi cittadini. Sala si autosospende, scoprendosi indagato per un presunto falso in atto pubblico risalente al 2012 che pensava archiviato. Invece la Raggi è attaccata per l’arresto di un alto funzionario da lei nominato senza sapere che costui fosse accusato di corruzione per fatti del 2013. I due “casi” toccano sindaci “freschi” di legittimazione popolare e l’istituzione a più stretto contatto coi bisogni dei cittadini. Maturano in uno scenario di incerto destino politico del paese e di crisi di credibilità dell’intera sfera pubblica (ben oltre le istituzioni rappresentative), acuita dal forte disagio sociale di ampi strati della popolazione. Ma i due casi sono lo spunto per una riflessione su una questione di sistema: l’anomalia tutta italiana dei “test di affidabilità” del personale politico che, da anni, paiono una esclusiva del processo penale.
Si pensi alle “liste degli impresentabili” della commissione antimafia e ai casi di sospensione della legge Severino. In sostanza “delegano” alla magistratura l’individuazione dei “sintomi della inaffidabilità” dei politici e le procedure per la loro verifica. Figure da tempo “chiacchierate” finiscono “fuori gioco” non per volontà dei partiti, ma quando arriva un “rinvio a giudizio”, un arresto o una condanna in primo grado per reati gravi. Insomma, i partiti, spesso, in nome della presunzione di innocenza, “stanno alla finestra” sino all’atto del giudice-terzo, soprattutto quando “politici discussi” drenano un ampio consenso elettorale.
Il paradosso è che a volte, invece, basta la notizia di una iscrizione nel registro degli indagati a sortire effetti politici irreversibili. Il “caso Marino” docet. Il clamore di una indagine a suo carico sancì la fine della giunta capitolina da lui diretta. Poi venne il processo. E, dopo l’assoluzione di Marino, si capì che quella iscrizione fu presa a pretesto da una parte dei consiglieri comunali per sfiduciarlo. Dunque l’atto giudiziario era stato utilizzato per finalità politiche, sganciate dalle accuse penali. Un  crinale scivoloso, non solo sul piano culturale ma anche di igiene istituzionale.
L’iscrizione è un atto del pubblico ministero. Scatta per legge con esposti, denunce, notizie di reato, se non manifestamente infondate. E può sfociare anche in un “nulla di fatto”. In attesa di verifiche più stringenti, è prudente escludere “reazioni automatiche” sul piano politico, ancorate alla sola “iscrizione”. A meno che non siano di iniziativa del diretto interessato. D’altronde, sovraccaricare di significati politici la “qualifica” di indagato può incidere negativamente sullo stesso operato dei magistrati. Le opzioni sul reato contestabile, sui tempi e i modi di gestione delle indagini rischiano di essere condizionate dalla lettura esterna in chiave di “conflitto politico”. Ciò può indurre timidezze, opportunismi e scorciatoie che danneggiano la ricerca della verità.
In certi casi i partiti sono chiamati a fare la loro parte per l’equilibrio di un sistema fondato sulla separazione tra poteri dello Stato. Caso per caso e con senso di responsabilità, dovrebbero valutare il peso di un “avviso di garanzia” o di un dato investigativo di cui si ha contezza. Non si può sempre attendere la pronuncia (anche solo interlocutoria) del giudice. E comunque pure condotte non penalmente rilevanti possono dar vita a forme di responsabilità politica. Ad esempio i contatti elettorali con pregiudicati, i favoritismi per amici o parenti, la subordinazione a ricatti.
Ma la politica, oggi, è di fronte a nuove prove di maturità. Comuni e Regioni sono ormai i principali territori di caccia della corruzione. Comitati d’affari occulti hanno l’abilità di infiltrarsi e sopravvivere all’ombra di giunte di diverso colore, come dicono tanti “casi giudiziari” in diversi angoli del paese. Chi governa gli enti locali deve attrezzarsi nella “prevenzione” di fenomeni che contaminano settori quali l’edilizia, l’urbanistica, la sanità, la gestione dei rifiuti. La sfida sta nelle scelte dei vertici dei comparti amministrativi e nella adeguatezza delle formule organizzative, senza mai sottovalutare il profilo etico. L’integrità dei beni collettivi va tutelata con meccanismi di rotazione, formazione permanente e controllo dei funzionari destinati ad alte posizioni strategiche. Ma queste misure, già previste dalla legge Severino (2012), sono applicate nella realtà? Vengono davvero praticate? O trovano resistenze anche di costume? Come possono essere implementate? Anche questa è una frontiera della responsabilità politica. Non trascuriamola.

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