[Area] Sanzionare e prevenire la tortura nel rispetto delle sentenze della Cedu

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Mar 28 Mar 2017 23:07:55 CEST


*Sanzionare e prevenire la tortura nel rispetto delle  sentenze della Cedu*

A due anni dalla sentenza di condanna della Cedu sul caso di Arnaldo
Cestaro, vittima di tortura durante l’irruzione alla scuola Diaz di Genova il
21 luglio del 2001 (e nell’imminenza di altre pronunce su ricorsi
riguardanti analoghi fatti verificatisi presso la scuola Diaz e la Caserma
di Genova Bolzaneto), il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, ai
sensi dell’art. 46 della Convenzione, richiama lo Stato Italiano a dare
esecuzione a quella sentenza “*secondo le chiare indicazioni fornite dalla
Corte*”.

La notizia è di indubbio rilievo, eppure è passata sotto silenzio o se ne è
riferito soltanto per sottolineare che ancora non è stata introdotta nel
nostro ordinamento un’autonoma fattispecie penale diretta a reprimere la
sottoposizione a tortura o a trattamenti inumani e degradanti.

La Corte Edu, però, ha chiesto al legislatore italiano non solo di
introdurre il delitto di tortura, ma di farlo in ossequio alla cogente
interpretazione dell’art. 3 della Convenzione da lei stessa fornita. Gli ha
chiesto infatti di correggere un assetto legislativo rivelatosi inadeguato,
non soltanto sul piano sanzionatorio e repressivo, ma anche sotto il
profilo della capacità dissuasiva e della prevenzione di comportamenti
devianti da parte di funzionari ed agenti dello Stato.

Come puntualmente evidenziato dal Comitato dei Ministri, secondo la
vincolante interpretazione della Corte il rispetto dell’art.3 della
Convenzione Europea impone allo Stato Italiano obblighi precisi che vanno
ben oltre l’introduzione di una specifica fattispecie incriminatrice. Sono
richieste infatti: la sospensione dal servizio per coloro che sono rinviati
a giudizio; la rimozione in caso di condanna; l’impossibilità di usufruire
di benefici quali l’amnistia e l’indulto; l’inammissibilità della
prescrizione. Sanzioni efficaci, dunque, ed effettive anche dal punto di
vista disciplinare e del ristoro del danno patito dalle vittime. Tali
obblighi devono riguardare anche - viene sottolineato dalla Corte e
ricordato ora dal Comitato dei Ministri - i comportamenti che, pur non
assurgendo alla gravità della tortura, costituiscono trattamenti inumani e
degradanti.

I rilievi che provengono dal Comitato dei Ministri mettono in evidenza le
inadempienze dello Stato Italiano: la discussione dei disegni di legge in
materia (riportata dal Governo alla Corte prima della sentenza come in
stato “*avanzato*”) è stata rinviata a data da destinarsi; nei testi sin
qui approvati si è scelto di proporre una definizione restrittiva di
tortura discostandosi dalla nozione elaborata dalla giurisprudenza della
Corte Europea; si è ignorato il tema della necessaria imprescrittibilità
del reato; si è omesso di regolare la materia delle sanzioni disciplinari.

Come stupirsi del resto: a distanza di 5 anni dalla sentenza definitiva
della Corte di Cassazione, le vittime delle violenze alla Diaz non sono
state ancora risarcite e le prime sentenze emesse dai giudici civili sono
state in gran parte addirittura appellate dall’Avvocatura dello Stato.
Nessuna seria sanzione disciplinare è stata inoltre applicata ai condannati
ed anzi, in un caso, la sospensione dal servizio per un mese, proposta dal
consiglio di disciplina, è stata ridotta a 40 euro di ammenda dal Capo
della Polizia. Un epilogo in così evidente violazione degli obblighi
convenzionali, da aver indotto il Governo italiano a non rispondere alla
domanda di informazioni espressamente formulata dalla Corte in merito
alla “*sospensione
dei funzionari, all’evoluzione della loro carriera nel corso del
procedimento penale e alle azioni intraprese sul piano disciplinare dopo la
loro condanna definitiva*”, e la Corte a prendere atto “*del silenzio del
Governo al riguardo*”.

Si inserisce in questo quadro la recente proposta del Governo di istituire
per gli appartenenti alle forze dell’ordine codici identificativi “*di
reparto*”. Un’ iniziativa che elude gli obblighi convenzionali atteso che
la Corte EDU ha condannato lo Stato italiano anche per non aver introdotto
codici personali di riconoscimento (par.217 della sentenza) e ha
stigmatizzato il rifiuto di collaborare, "*impunemente*” opposto dalla
polizia italiana alla magistratura (par.216 della sentenza), attribuendo ad
esso la mancata identificazione dei responsabili degli atti di tortura
posti in essere all’interno della scuola Diaz.

Il monito proveniente dalle istituzioni europee si unisce a quello di tanti
esponenti del mondo del diritto e della società civile nell’indicare al
Parlamento e al Governo Italiano la necessità di un deciso cambio di rotta.

A questo monito vogliamo aggiungere il nostro: l' introduzione del reato di
tortura è garanzia imprescindibile in uno Stato di diritto e per le forze
dell’ordine che adempiono il proprio compito nel rispetto dei valori della
Costituzione repubblicana, perché nessuna risposta al crimine - per quanto
grave ed efferato esso sia - può essere svincolata dal rispetto dei diritti
inviolabili dell’uomo.
Il coordinamento nazionale di Area Democratica per la Giustizia
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