[Area] il CSM e il caso Consip

Morosini Piergiorgio piergiorgio.morosini a giustizia.it
Dom 23 Apr 2017 17:50:20 CEST


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​Vi invio un intervento su "CSM e caso Consip" pubblicato oggi su "Il Fatto Quotidiano".
Piergiorgio



Consip, si tenta di usare il CSM contro i pm

Piergiorgio Morosini*



Diciamolo subito con nettezza. Il Consiglio superiore della magistratura non poteva intervenire sul caso Consip. Ora il suo Comitato di presidenza lo ha messo nero su bianco. Le ipotesi di inquinamento dell’inchiesta partenopea sugli appalti “aggiustati”, sono ancora materia di indagine della procura capitolina. Riguardano ufficiali dei carabinieri; e non condotte di magistrati. Non ci sono “atti contesi” o conflitti di competenza tra pm. Né sono emersi elementi concreti di frizione tra le procure di Napoli e Roma.

Insomma, nulla di rilevante per ipotesi di incompatibilità ambientale o funzionale a carico di magistrati, tali da giustificare trasferimenti d’ufficio. Eppure, da più parti e con insistenza, si è chiesto all’organo di governo delle toghe di “andare sino in fondo” sul caso Consip.

Non è la prima volta. Certe istanze, rivolte al Csm, sono sempre più frequenti e prendono di mira singoli magistrati. A formularle sono avvocati, politici, imprenditori, gruppi di cittadini. Di solito in presenza di atti giudiziari che, per i motivi più disparati, non gradiscono.

Sovente  si tratta di esposti pretestuosi, ma se accompagnati da campagne di stampa aggressive, possono avere vasta eco e condizionare indagini e processi in corso. Soprattutto nel caso in cui il Csm decida effettivamente di aprire una inchiesta con acquisizione di atti riservati, audizioni di magistrati e di testimoni che possono protrarsi per mesi.

I poteri di intervento di cui dispone il Csm, dunque, sono “da maneggiare con cura”. Possono essere preziosi. Perché consentono di porre tempestivamente rimedio a situazioni che non diano pieno affidamento su indipendenza e imparzialità del magistrato. E quindi di far luce su opacità, sospetti di abuso, legami con centri di interesse e di potere; condotte extraprofessionali contrarie al codice etico, rapporti familiari o personali che minano la credibilità dell’intera istituzione giudiziaria agli occhi dei cittadini. Ma quei poteri del Csm, se utilizzati con spregiudicatezza, possono essere una “spina nel fianco” per giudici e pm che fanno il loro dovere.

In un passato non troppo lontano, c’è stato chi li ha invocati per fare pressione o sbarazzarsi di magistrati “sgraditi”, perché osavano violare i santuari del potere o non si allineavano agli orientamenti prevalenti, magari contando su una maggioranza favorevole al Csm. Certe tentazioni possono riaffiorare in qualsiasi momento, in un contesto istituzionale non sempre favorevole ad un pieno controllo di legalità, se non addirittura conflittuale con esso.

Di sicuro  nessun intervento del Csm è ammissibile su processi o indagini in corso. Sono i principi costituzionali a dirlo, a protezione dell’autonomia di giudici e pubblici ministeri. Soprattutto se si intende sindacare i singoli atti con cui costoro: interpretano la legge, applicano misure cautelari e pene, rinviano a giudizio, conducono indagini, scelgono la polizia con cui cooperare, si coordinano con altre autorità. Il rimedio agli errori è, secondo i codici, nelle impugnazioni. Solo atti abnormi di rilievo disciplinare giustificano approfondimenti. Ma a condurli, in quei casi, non è il Csm, semmai il Guardasigilli e il Pg presso la corte di Cassazione.

Insomma occorre evitare che il Csm faccia il “processo al processo”, come qualcuno pensava dovesse avvenire col caso Consip. La procedura del trasferimento d’ufficio è a tutela della istituzione giudiziaria. Deve occuparsi di situazioni oggettive e predeterminate dalla legge, in cui è in discussione l’indipendenza e l’imparzialità del magistrato. Invece, c’è chi, anche in ambienti istituzionali, vuole una riforma estensiva del campo di applicazione. O meglio, il ritorno a opzioni pre-costituzionali, che autorizzerebbero il Csm a intervenire anche in caso di generiche “lesioni del prestigio giudiziario”.

Simili formule  normative finirebbero per consentire indebite “invasioni di campo” nella giurisdizione e censure alla manifestazione del pensiero. Metterebbero in pericolo soprattutto la serenità di quei magistrati impegnati in accertamenti relativi a personaggi eccellenti, ossia coloro che hanno maggiore ascolto sui mezzi di informazione e nei circuiti del potere. Nel migliore dei casi, si alimenterebbero azioni di “disturbo” pretestuose. Cui prodest?

*membro del Consiglio superiore della magistratura

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