[Area] Nel giorno di Carlo

Gianfranco Gilardi gianfrancogilardi a tin.it
Ven 15 Set 2017 07:18:58 CEST


     Ogni giorno diventa sempre più evidente come la grande sfida che
abbiamo di fronte sia quella della salvaguardia dei diritti umani e della
dignità delle persone.

     Se è indispensabile, come dimostra la storia, che i diritti dell’uomo
siano protetti da norme giuridiche, è sempre la storia a dimostrare che
queste non bastano e che l'ordinamento giuridico non può consegnarsi
all'idea di un diritto immutabile e definito nell'unica volontà possibile
della legge.

     Esso infatti rimanda anche al tramite dell'interpretazione giuridica ed
al ruolo della giurisdizione quale fattore di adattamento e condizione di
vitalità delle stesse norme scritte.

     Nel vecchio/nuovo orizzonte in cui siamo immersi a livello ormai
planetario, la giurisdizione continua a ricoprire un ruolo essenziale,
poiché la “grande sfida democratica non si consuma soltanto in uno scontro
tra schieramenti politici ma propone una costante tensione tra valori che
trovano inevitabilmente nella giurisdizione il luogo di visibilità  e di
possibile affermazione”; e proprio in questo consiste “l’insopprimibile
politicità della giurisdizione”.

     Così sottolineava Carlo Verardi nell’intervento svolto a Venezia il 25
novembre 2010 al XIII Congresso di Magistratura Democratica (cfr.
“L’orgoglio di stare in magistratura democratica”,  in Questione giustizia,
n. 5/2011, 819 e segg.), uno dei suoi ultimi interventi in cui egli si
espresse, come sempre, con parole che potrebbero e dovrebbero essere fatte
proprie da ogni magistrato, nella consapevolezza che il principio di
soggezione del giudice solo alla legge non comporta soltanto il diritto a
non subire le invadenze altrui, ma anche il dovere di esercitare
l’indipendenza a favore di tutti e nei confronti di tutti senza distinzione:
una funzione tanto più essenziale e irrinunciabile, quanto più sulle soglie
del mondo si affacciano, nelle forme più diverse, nuovi diritti che
reclamano riconoscimento e protezione e riemerge in tutta la sua forza - per
ricordare Carlo Verardi con altre parole indimenticabili, quelle di Pino
Borrè - la necessità di “esplorare”, alla luce del Costituzione, “gli spazi
praticabili per la tutela (...) dei soggetti più deboli, dei sottoprotetti,
degli svantaggiati”, dando nuovo impulso al ruolo della giurisdizione come
“attitudine costruttiva dell'uguaglianza”.

     Recuperare l’orizzonte degli interessi materiali serve non soltanto ad
orientare i processi di formazione delle leggi, ma anche i giudici nel
compito di attuazione imparziale della legge: imparzialità non significa
infatti indifferenza ai valori sottostanti al disegno costituzionale, né vi
è incompatibilità tra terzietà e “scelta di campo”, poiché “vi sono molti
casi in cui la terzietà -  in quanto condivisione di una convenzione
emarginate, non  adeguamento in uno schema già predisposto di rifiuto, è
essa stessa scelta di campo” (G. Borrè, “Le scelte di Magistratura
democratica”, in Questione Giustizia, 1997, 282)

     Come veniva sottolineato già nel convegno della Fondazione Verardi
tenutosi a Bologna il 23 ottobre 2004 sul tema dei diritti fondamentali, in
una fase della storia in cui le violenze quotidiane,  nelle forme più
diverse, l’orrore della guerra e il terrorismo, la cancellazione delle
persone attuata, anche fuori della guerra, in nome di politiche di sicurezza
che escludono, confinano e degradano esseri umani in cerca di asilo e
speranza, e tante altre drammatiche realtà sottolineano l'urgenza di una
nuova "codificazione",  di un rimodellamento delle basi ideali e culturali
su cui tracciare il nuovo ordine giuridico mondiale, diventa ancora più
chiaro che deve rafforzarsi un impegno rivolto non a creare barriere e
distanze, quanto invece al loro definitivo superamento.

     Ciò sollecita i compiti e le responsabilità di ogni istituzione, ma
sottolinea insieme, in modo sempre più pressante, la necessità di strumenti,
di luoghi, di occasioni in cui gli uomini tornino a trovare la capacità di
comunicare e di ascoltare come condizione essenziale della convivenza,
fattore di sviluppo della pace sociale e presupposto di realizzazione della
dignità delle persone.

     Anche tra i magistrati ed all’interno delle loro associazioni deve
maturare la consapevolezza che la democrazia non è fatta di continui
scontri, di accuse e intolleranza. Essa è fatta di confronto pacato e
sereno, di dialogo costruttivo, di volontà di concorrere insieme alla
faticosa costruzione del diritto obiettivo.

     L’appartenenza ideale a questo o quel gruppo non si trasforma in
faziosità ed acquista tanto più significato, se e quanto più riesca a porsi
quale aspetto di una dialettica che non predilige l’invettiva al merito dei
problemi e non ignora le differenze di opinioni, ma nel leale e reciproco
riconoscimento delle diversità di cui ciascuno è legittimo portatore, le
assuma come stimolo per la crescita democratica e la ricerca del bene
comune.

     E’ questa l’idea di associazionismo giudiziario cui si è sempre
ispirato e che ha concretamente praticato Carlo Maria Verardi, la cui
adesione ideale e culturale ad M.D. mai si è trasformata in posizione
preconcetta di parte, e che anche nell’intervento più sopra richiamato
dichiarava il suo orgoglio di farvi parte  soprattutto allorché “il gruppo
riesce ad uscire fuori dallo steccato della giurisdizione, a parlare ai
cittadini con le armi della cultura giuridica, dell’impegno personale e
vorrei dire anche con uno stile di pacatezza e semplicità che bisogna
sforzarsi di mantenere”, come quando “ha ricordato le ragioni del diritto
contro la guerra, quando ha contribuito a fondare una rivista che è
diventata punto di riferimento fondamentale per tutti i giuristi che si
occupano del tema centrale dell’immigrazione, quando è stata capace di
ritornare a ragionare sulle tossicodipendenze e sulla riduzione del danno
superando le semplificazioni correnti o a confrontarsi, senza apriorismi,
sui temi bioeteci”. Le conquiste - egli aggiungeva – “sono venute solo
quando la magistratura ha trovato unità non sulla base di chiusure
corporative ma di un rilancio culturale e professionale”.

     Siamo grati a Carlo Verardi anche per questi insegnamenti e per la
limpidezza e coerenza con cui per primo ha saputo attuarli.

     Per ricordarlo in modo ancora più forte, per favorire un incontro
quotidiano con la sua figura, anche da parte di chi non l’ha conosciuto, a
lui verrà intestata, con una cerimonia che si svolgerà a Bologna il 20
ottobre alle h. 12,30, la corte interna del palazzo di giustizia di via
Farini.

   Nel pomeriggio seguirà, in Salaborsa, un convegno dedicato al diritto del
lavoro con la partecipazione della Fondazione, che è tra i patrocinatori
dell’iniziativa.

 

     Saranno nuove occasioni illuminate dalla ricchezza del pensiero che ci
ha lasciato e riscaldate dall’affetto con cui lo circonderemo.

 


 
Gianfranco Gilardi



 

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