[Area] CSM e la Vespa

Giordano Bruno bruno.giordano a giustizia.it
Dom 7 Gen 2018 09:12:28 CET







“Le regole o la manutenzione della vespa” è il titolo di un bel libro dello psichiatra Furio Ravera che mi è venuto in mente scorrendo le mail di Carlo Citterio, Federico Sorrentino, Carlo Renoldi e degli stessi consiglieri di Area che hanno (ri)lanciato varie osservazioni sul ruolo politico (preferirei istituzionale) del CSM.

“E la vespa che c’entra? - scrive Ravera – be’ con quella andavamo in giro, e per farlo abbiamo dovuto prendere il “patentino”, studiare delle regole.” E, aggiungo io, applicarle.

La prima di queste mi pare l’art. 104 comma 6 cost. laddove prevede che “i membri del consiglio …non sono immediatamente rieleggibili”. Si dissocia la funzione svolta dal consigliere da una qualsiasi aspettativa elettorale e quindi clientelare esaltando la responsabilità diretta legata all’esercizio di un mandato per la tutela dell’autonomia e indipendenza e per l’applicazione dell’art. 105 cost. V’è certo una ragione se il costituente per i membri del CSM non ha stabilito quanto invece precisa per i membri del parlamento che, oltre la rieleggibilità, secondo l’art. 67 cost. non hanno vincolo di mandato.

E’ vero: la legge elettorale del CSM voluta dall’ing. Castelli – scritta da chi allora stava al ministero - esalta la persona dell’eletto, rispetto al gruppo, per silurare una delle funzioni delle correnti di aggregare consenso attorno a scelte di politica giudiziaria.

E’ vero: questa legge non ci piace e paradossalmente ha favorito l’organizzazione del consenso attorno alle primarie (soltanto per Area, per altri gruppi invece…) se non altro per evitare che meri calcoli aritmetici sui “resti” disperdessero la volontà degli elettori.

Ma è anche vero che sulla base di questa legge i magistrati vorremmo essere rappresentati non soltanto dal collega che abbiamo indicato con una preferenza unica (per categoria) ma da un gruppo compatto che aggreghi idealità, condivida scelte, si muova con coerenza su una linea etica che ci accomuni.

L’esperienza (non soltanto dei gruppi che oggi fanno riferimento ad Area) di ormai molte consiliature dimostra che il tema della rappresentanza consiliare ha perlomeno due nodi.

Il primo riguarda l’eterodirezione del gruppo: il rapporto con gli organi associativi non si può ridurre a luoghi comuni come il peso delle correnti, le cordate territoriali o peggio personali, i flussi  informativi etc. ma riguarda la coerenza con il mandato che ciascun singolo consigliere e quel gruppo hanno ricevuto e con la politica associativa, istituzionale, giudiziaria che si vuole esprimere.

Tale rapporto non può avere il prevalente parametro di riferimento nelle varie nomine ma in tutti gli altri atti di responsabilità (controlli, conferme, disciplinare, rapporti con la SSM, valutazioni) e nel rapporto strutturalmente dialettico, se non conflittuale, con il potere politico (membri non togati, ministero, parlamento).

Su questa linea incoerenza e opacità generano la crisi di rappresentanza di cui tutti ci accorgiamo. Gli antidoti sono semplicemente quelli della coerenza e trasparenza.

Il secondo nodo riguarda la compattezza del gruppo o meglio le regole e i principi del gruppo.

Il rispetto delle regole è quello che i magistrati ci aspettiamo da altri magistrati che indichiamo quali tutori dell’autogoverno.  “Le regole – dice Ronald Dworkin in Diritti presi sul serio – sono applicabili nella forma del tutto o niente… i principi si pesano perché prevale quello cui si è associato volta a volta maggior peso o importanza” .

Sui principi Area sia con la Carta dei Valori sia con l’attività consiliare ha prodotto un vero processo costituente che ogni giorno tocca incrementare negli uffici, nelle scelte di politica giudiziaria, in tutti gli organi. Un percorso politico tracciato ancora da percorrere che non si fonda solo sulla coerenza ma sulla dialettica e sulla sintesi interna; altrimenti logica democratica vuole che se non c’è l’unanimità c’è una maggioranza,  e dove c’è una maggioranza c’è una minoranza.

Allora, il valore (indubbio) della compattezza esige il sacrificio delle scelte individuali tutelate costituzionalmente a scapito della coerenza e del rispetto delle regole?

Al mio ingresso in magistratura la prima delibera consiliare di cui ho avuto contezza riguardava il caso Meli-Falcone sulla nomina a consigliere istruttore di Palermo che delinea ancora oggi plasticamente il concetto di un rispetto formale o sostanziale della legalità consiliare e del bene comune dell’amministrazione della giustizia, oltre che evocare divisioni dolorose.

Ciò ha tracciato tutta la mia vita associativa e mi impone coerenza, anche nella manutenzione della vespa.

Bruno Giordano
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