[Area] R: Proposte per l'appello

CENTINI MATTEO matteo.centini a giustizia.it
Dom 4 Feb 2018 09:05:24 CET


Caro collega Aniello
Leggendo quello che ho scritto senza che ti faccia velo l’offesa, vedrai che non ho affatto detto che i giudici hanno sempre torto o che tantomeno ho sempre ragione io. Da molti di essi giù in Calabria ha imparato tante e tali cose che non avrei potuto altrove in trent’anni. Però non ci sto a che ogni discorso sulle difficoltà della giustizia penale termini dicendo è colpa della Procura se.
Quanto al fatto che vorrei un pubblico ministero davanti alla Corte non vedo perché ti offendi se appunto non svolgi la funzione di pubblico ministero.
Se poi pensi che io sia un accusatore cieco, che vorrebbe un pg appiattito sull’accusa ecc. non so che farci, io non l’ho scritto e soprattutto non è il modo in cui pratico la mia funzione.
Dovreste però rassegnarvi al fatto che chi fa il pm non necessariamente è una specie di buzzurro sbirro, ma magari uno che ha il contatto vivo con le persone offese, con la pg che sta per strada e rischia,con i fatti insomma. Ecco magari i fatti.


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Il giorno 04 feb 2018, alle ore 01:06, "robaniel a libero.it<mailto:robaniel a libero.it>" <robaniel a libero.it<mailto:robaniel a libero.it>> ha scritto:

Caro collega Centini, a me pare che nella tua breve carriera, come tu la definisci, avresti dovuto impegnarti di più per comprendere le ragioni dei giudici quando – spero non troppo frequentemente - ti hanno dato torto, soprattutto in appello e in cassazione. E’ un modo per crescere, anche professionalmente, ed è il caso di farlo anche quando si è più anziani. Io sono arrivato negli uffici di legittimità dopo 30 anni di esperienza di merito, sempre nel penale, e pensavo di sapere tutto, ma mi sono reso conto sia della diversa prospettiva che si deve avere in Cassazione, sia del livello molto elevato dei colleghi. Perciò, per imparare, ho sempre cercato di leggere le sentenze che mi davano torto e ne ho tratto quasi sempre insegnamenti utili.
Quanto al pubblico ministero in Cassazione, ti assicuro che non è così inesistente come – un po’ offensivamente, lasciatelo dire - pensi tu. Certo, non puoi pretendere che assuma il ruolo di implacabile accusatore, cosa che non dovrebbe fare neppure il pubblico ministero di merito. Personalmente, se non posso certo ignorare, per un malinteso senso dell’accusa, i casi di violazione di legge, cerco invece, quando sia possibile in modo dignitoso, di sostenere le sentenze di condanna che, pur non essendo motivate come si dovrebbe, appaiano sostanzialmente esatte; o anche di coltivare i ricorsi dei P.M. che meritino un esito favorevole. Ed è certo una soddisfazione, forse piccola, ma in fondo quella fondamentale del nostro lavoro, rendersi conto di aver dato un contributo alla decisione della Corte.
Roberto Aniello (P.G. in Cassazione dal 2011)



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sabato 3 febbraio 2018, 19:49 +0100 da matteo.centini a giustizia.it<mailto:matteo.centini a giustizia.it> <matteo.centini a giustizia.it<mailto:matteo.centini a giustizia.it>>:
Al collega Cavallone dico...

La questione è iniziata su questa lista quando il Presidente Castelli ha detto che la Procura ha una percentuale di accoglimento intorno ad un modesto 30% (conteggiando nei non accoglimenti anche la prescrizione of course). Egli si riferiva a Brescia, dove mi risulta che i colleghi di primo grado vivano una situazione di estremo disagio, con numeri impressionanti (ma ovviamente è colpa loro).
Ora, non voglio scendere sul terreno della contrapposizione tra uffici, laddove riserve a palate ho spesso avuto - nella mia breve carriere - sulle decisioni dei colleghi giudicanti, Gip, monocratico, collegio e soprattutto appello e cassazione.
E ogni volta che ne ho avuto la possibilità ho fatto appello o ricorso in cassazione per ogni singolo passaggio, cautelare o di merito. Rammaricandomi davvero, al limite dell’insonnia, quando il codice non me lo consentiva, come in caso di rigetto di intercettazioni.
Ma non è questo il punto. Tutto ciò è fisiologico, anzi è una caratteristica fondamentale del nostro sistema, la dimostrazione plastica che la separazione delle carriere è una sciocchezza.
Il punto, secondo me, è che noto spesso come molti di noi (compreso tu) ritengano potersi prendere la loro giurisprudenza a metro del giusto e corretto. Al punto da dire che è colpa della Procura che non si adegua.
Ma non è mai colpa del giudice che concede le generiche che non ci stanno, magari equivalenti a mostruose recidive “perché altrimenti viene una pena troppo alta”, del giudice che in caso di continuazione applica aumenti omeopatici, dell’appello che cascasse il mondo abbassa la pena (e aspettiamo ansiosi il concordato).
Collega Cavallone mi fermo qui, ma posso dirti che sono così attento, io come moltissimi colleghi di Procura con cui ho lavorato e lavoro, a cosa accade “a valle” che se potessi seguirei i miei fascicoli anche in appello e soprattutto in cassazione, dove secondo me si sente la mancanza di un pubblico ministero.
Matteo

P.S. D’ora in poi quando avrò un dubbio ti interpellerò così da evitare di incomodare i gradi successivi

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Il giorno 03 feb 2018, alle ore 19:14, Luciano Cavallone <lucianocavallone a gmail.com<mailto:lucianocavallone a gmail.com>> ha scritto:

Al collega Centini che dice " È vero collega Cavallone è tutto colpa nostra... dicci cosa possiamo fare per rimediare", rispondo:
Fare le indagini. Punto.
Non è raro (qui da noi, non so altrove) assistere a processi dove testi decisivi non sono sentiti o consulenze indispensabili non sono espletate. E in appello non è che si possa giuridicamente far tutto (al di là dei mezzi).
La mia del resto era - forse è sfuggito - una risposta a chi diceva di abolire l'appello, perché QUELLO era il problema.
E poi, a qualcuno sembrerà normale che qui da noi e (mi pare) anche a Brescia 2/3 o addirittura 3/4 delle accuse portate innanzi al primo grado "muoiano" già lì: be', a me no.
E non sto nemmeno a pensare ai costi "privati" di chi incappa nel meccanismo.
Salvo non vogliamo dire che anche al primo grado siano "di manica larga" ...


Il giorno 3 febbraio 2018 16:44, CENTINI MATTEO <matteo.centini a giustizia.it<mailto:matteo.centini a giustizia.it>> ha scritto:
È vero collega Cavallone è tutto colpa nostra... dicci cosa possiamo fare per rimediare.
Matteo Centini
Procura PC


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Il giorno 03 feb 2018, alle ore 16:27, Luciano Cavallone <lucianocavallone a gmail.com<mailto:lucianocavallone a gmail.com>> ha scritto:

PS: e ciò senza considerare che, egoisticamente, in appello è molto più facile motivare la conferma, che la riforma (che, come noto, secondo la Cassazione richiede - a differenza della prima - una motivazione "rinforzata") ...

Il giorno 3 febbraio 2018 16:10, Luciano Cavallone <lucianocavallone a gmail.com<mailto:lucianocavallone a gmail.com>> ha scritto:
Scrive Felice Pizzi: " Da chi dipende tutto ciò ? Dai magistrati di appello, ..." e si propone di abolire il 2° grado.
Ciò, però, sull'assioma, evidentemente, dell'INFALLIBILITA' del primo grado.
Ma se valesse tale ragionamento, allora potrebbe dirsi (semplificando ancor più) di lasciare direttamente alle Procure di determinare condanne e pene (così non avremmo neppure quel 70% di mancate condanne in primo grado che io, grossolanamente, ho riscontrato anche su Taranto): anche questo, invero, potrebbe dipendere dai (troppo BUONI) giudici di prime cure (che non assecondano le richieste delle INFALLIBILI procure).
Se, invece, si iniziasse (esattamente al contrario) a non ingolfare i primi gradi con processi inutili e per nulla o (peggio) mal istruiti?
Forse sbaglierebbe meno il primo grado (che avrebbe un'enormità di carte in meno da gestire) e vi sarebbero meno riforme anche in appello.
Io non mi sentirei granché garantito da un sistema che, solo per fare un esempio, dopo il vaglio di Procura e Tribunale, giunge ad infliggere quasi 30 anni, in prime cure, in processi (ad es. per droga) in cui le prove (ad es. intercettazioni tutte da interpretare) sono a dir poco sbiadite; né mi sentirei garantito in un sistema nel quale larvate (davvero larvate, specie nel caos normativo che contraddistingue il nostro Paese, con antinomie ogni pie' sospinto) violazioni di legge AMMINISTRATIVE, nonostante la ormai ventennale riforma del 323 cp, continuano a generare, per AUTOMATICA conseguenza, l'intervento punitivo del giudice penale.
Insomma, in poche parole:
siamo sicuri che tutto ciò dipenda dal BUONISMO del secondo grado e non da INCAPACITA' del primo (o prima ancora, da chi mal istruisce i processi)?
Luciano Cavallone - Corte Appello Taranto
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Il giorno 3 febbraio 2018 13:13, De Ninis Luca <luca.deninis a giustizia.it<mailto:luca.deninis a giustizia.it>> ha scritto:

Su questo tema concordo integralmente con la lettura del collega Pizzi.

Mi pare che le tesi che conducono al conformismo delle decisioni ed alla ineffettività della giurisdizione penale, da sempre prevalenti a livello della politica giudiziaria, siano sempre più dominanti anche a livello della “cultura della giurisdizione”.

Non credo che sia un bene, né per il singolo magistrato né per la magistratura nel suo complesso.

Banalizzando, a me pare incredibile che non sia degno di nota e neppure interessi il seguente problema:

« ma se circa il 70% delle decisioni di primo grado sono di proscioglimento/assoluzione ed il 65% del restante 30% (quindi l’ulteriore 20% sul totale, per un complessivo 90%) sono riformate quanto meno in relazione alla pena ci sarà qualcosa che non funziona in termini di efficacia dell’accertamento giudiziario e della risposta punitiva? O siamo un Paese in cui si delinque solo in via residuale ed occasionale? »



Luca De Ninis





Da: Area [mailto:area-bounces a areaperta.it<mailto:area-bounces a areaperta.it>] Per conto di thorgiov
Inviato: giovedì 1 febbraio 2018 16:54
A: area a areaperta.it<mailto:area a areaperta.it>
Oggetto: Re: [Area] Proposte per l'appello



Hai scritto di aver riscontrato : Un tasso di riforme nel penale preoccupante: un tasso di sentenze riformate del 64,75 %, anche se solo circa il 10 % con riforma della decisione in punto di responsabilità.

Questo significa che l'appello ha assunto una precisa funzione : garantire comunque all'imputato, male che vada, una diminuzione della pena applicata in primo grado.  Da chi dipende tutto ciò ? Dai magistrati di appello, i quali si lamentano pure  del numero spropositato di impugnazioni. Ma se l'imputato ha una aspettativa più che favorevole dell'esito della impugnazione, per quale motivo non dovrebbe appellare ? Ribadisco pertanto che l'unica soluzione efficace sarebbe quella di abolire il secondo grado di giudizio. Almeno così non ci sarebbero più sentenze riformate, soprattutto nella determinazione della sanzione.

FELICE   PIZZI  ( Giudice del contenzioso del Tribunale di Napoli Nord )



Il 01/02/2018 11:51, Claudio Castelli ha scritto:

Le Corti di appello sono diventate un punto di fortissima crisi del sistema ed è necessario un forte intervento sia come organici del personale ( il rapporto tra magistrati ed addetti amministrativi non arriva mai a 2, mentre ad esempio nei Tribunali normalmente è 3,5), sia come rito, sia culturale.

Culturale perché le Corti scontano di essere l’ultimo passaggio nel merito di una filiera che nel penale parte dalle Procure, in cui troppo spesso l’Ufficio a monte si disinteressa semplicemente di quanto avviene a valle negli altri uffici.

Tra l’altro avremmo bisogno di dati certi ed affidabili sul piano nazionale.

Nel mio osservatorio del distretto di Brescia ho riscontrato una serie di dati interessanti che sfatano molti luoghi comuni:



-          Un tasso di impugnazioni in fin dei conti limitate: 25,96 % nel civile, 24,49 % nel lavoro e 23,08 % nel penale.

-          Un tasso di riforme nel penale preoccupante: un tasso di sentenze riformate del 64,75 %, anche se solo circa il 10 % con riforma della decisione in punto di responsabilità.

-          Un tasso di condanne in primo grado nei procedimenti monocratici molto basso (circa il 30 %).

Se cominciassimo a valorizzare gli uffici anche per la capacità di resistenza delle decisioni ( come in realtà già esiste sulla carta nelle valutazioni di professionalità dei singoli magistrati) probabilmente faremmo dei passi avanti.

Per finire mi limito a rappresentare che sono del tutto contrario al passaggio al monocratico in appello.

Il collegio, se vero, ha un grande valore non solo di confronto, ma anche di mantenere una certa omogeneità giurisprudenziale.

Abbandonare il collegio vuol dire semplicemente cedere a sirene produttivistiche che alla fine fanno guadagnare ben poco.

Non solo, ma nel penale il problema per cui non si fanno più udienze non deriva dalla presenza del collegio, ma dalla mancanza di assistenti per le udienze e di cancellieri e funzionari per la fase dell’esecuzione.

Fare più udienze in situazioni come la Corte di Brescia dove c’è una scopertura del 35 % del personale è semplicemente impossibile.

Non solo, ma un problema comune a quasi tutte le Corti è l’imponente arretrato (migliaia nel migliore dei casi) di sentenze in attesa di esecuzione. Aumentare il numero dei provvedimenti vuol dire incrementare la crisi, non dare delle soluzioni.

Si tratta di elaborare un pacchetto di proposte, senza pensare che una possa essere risolutiva (a meno di abolire l’appello, che però appare scelta difficile a fronte del numero di sentenze riformate), ma che nel loro complesso possano invertire una tendenza oggi negativa.



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