[Area] Intervento al Convegno in ricordo di Mario Almerighi

Mario Fresa m.fresa a tiscali.it
Ven 23 Mar 2018 17:30:09 CET


L’attualità del pensiero di Mario Almerighi

 

Era la fine dell’estate del 1988 quando conobbi Mario Almerighi, nella sua
stanza di giudice istruttore del Tribunale di Roma.

Ero un giudice ragazzino ai tempi di Francesco Cossiga, un uditore di 26
anni, timido e impacciato, con il timore di non essere all’altezza del
difficile compito che avevo scelto di svolgere.

Mi apparve un uomo con la pipa, coperto dal fumo e dai fascicoli.

Fui subito affascinato da quel suo modo di fare eccentrico e dai pensieri
fluenti ed eretici.

Mi fu subito chiaro che quell’uomo era il Fabrizio De André della
magistratura.

Il poeta-cantautore, che narrava delle esigenze di legalità, genovese di
nascita e sardo di adozione; Mario, il magistrato-poeta, sardo di nascita e
genovese di adozione. 

Una miscela esplosiva.

Entrambi, così vicini ai problemi del mondo, così attenti alla tutela dei
deboli, dei poveri e degli emarginati.

Eh si. Perché è solo la luce della poesia che può illuminarci tutti i giorni
nel rendere la Giustizia ad ogni cittadino, fosse anche l’ultimo, senza
curarci se ciò possa irritare qualsivoglia potere.

E’ solo la luce della poesia che può darci la forza per continuare a
svolgere questo splendido mestiere, senza speranza e senza paura, in una
terra disgraziata e meravigliosa come questa, pensando e praticando in
maniera laica, senza compromessi.

Due cose sentì il bisogno di comunicarmi sin dai primi giorni di tirocinio.

Aveva svolto a Genova un’inchiesta delicata nei primi anni ‘70, che gli
valse l’appellativo di pretore d’assalto, il c.d. scandalo dei petroli, in
cui aveva scoperto vent’anni prima di Mani Pulite la corruzione dilagante in
Italia. “Il Parlamento si è svenduto le leggi agli arabi in cambio del
petrolio”, era solito dire. 

Molti anni dopo scrisse un libro sull’argomento.

Un noto parlamentare democristiano alla Camera, era il 1974, reagì mettendo
in guardia, già allora, dal rischio del “governo dei pretori”. Seguì la
richiesta di ben 56 deputati di modifica della composizione del CSM nel
senso dell’aumento del numero dei componenti laici a discapito dei togati.

Vale a dire. Si voleva rendere il governo della magistratura meno autonomo e
più governabile.

Al Consiglio superiore della magistratura, Mario, vi era stato eletto nel
‘76, giovanissimo. “Mi ha rovinato”, diceva ironicamente, in riferimento al
fatto che non era più in grado di limitare il suo impegno di magistrato alla
sola lettura delle carte processuali. Un magistrato credibile doveva alzare
la testa dai fascicoli per guardare il mondo.

E la credibilità della giurisdizione tutta dinanzi ai cittadini passava e
passa attraverso la credibilità del suo organo di governo autonomo, il CSM
appunto.

Era solito dire che le garanzie giurisdizionali della Costituzione non erano
un privilegio per i magistrati, ma erano un valore servente al valore
fondamentale della Carta costituzionale, cioè al principio dell’eguaglianza
di tutti i cittadini dinanzi alla legge. E, continuava Mario, se così è, non
può esservi tutela della indipendenza e autonomia della magistratura senza
corrispondente responsabilità da parte di chi deve assicurare a tutti i
cittadini la giurisdizione.

Vale a dire. Le c.d. pratiche a tutela dei magistrati, da parte del CSM, e
le sanzioni disciplinari, non sono altro che due facce della stessa
medaglia.

Mario è stato il primo a denunciare la corruzione nella politica e a porre
la questione morale nella magistratura. Oggi lo dicono tutti, ma dirlo
nell'Italia di 30 anni fa era rivoluzionario, era eretico.

Mario ha passato una vita alla ricerca della verità nei suoi processi ed
alla ricerca di una magistratura credibile, capace di essere amata e non
odiata dai cittadini.

Così, sul versante dei processi, grazie al suo fiuto investigativo, unito ad
una profonda cultura della giurisdizione, ha ottenuto risultati
straordinari.

Indagava su un traffico di eroina a Fiumicino e riaprì l'inchiesta sulla
morte di Roberto Calvi intuendo che si trattava di un omicidio e non di un
suicidio. 

Seguiva il sequestro Soffiantini e capì che l'agente dei Nocs Donatoni era
stato ucciso dal fuoco amico, mentre la vicenda sembrava già definita in
senso opposto. 

Sul versante dell’associazionismo giudiziario, nell’88, fondò con Giovanni
Falcone, Enrico Di Nicola ed altri colleghi di grandissimo spessore il
Movimento per la Giustizia, con valori di fondo di grande rottura nella
magistratura.

Vi aderii subito anch’io.

Chi non ricorda le sue battaglie per denunciare la Questione morale in
magistratura, che fecero alzare la testa a tanti magistrati per uscire dal
corporativismo e dalla politicizzazione strumentale?

Per uscire dalla logica del “a Frà che te serve?” di andreottiana memoria,
che si riscontrava diffusamente anche in una categoria che quella logica
avrebbe dovuto combattere. Ed a quella logica - è una mia amara
considerazione - oggi si sta tornando.

Chi non ricorda le sue battaglie per l’ingresso della meritocrazia nelle
valutazioni di professionalità, a discapito della logica dell’anzianità
senza demerito, che consentiva, a quei tempi, ad un Antonino Meli di
prevalere su un Giovanni Falcone per un prestigioso incarico direttivo a
Palermo?

Chi non ricorda le sue battaglie per l’efficienza della Giustizia, intesa
come servizio e non potere, e per il rispetto dei cittadini che attendono la
decisione di un giudice?

Chi non ricorda il suo profondo convincimento che, in Italia, non servono
tanto inutili riforme legislative, ma servono riforme più profonde che
attraversino le coscienze degli uomini, sì da consentire, sempre, che ai
principi enunciati seguano comportamenti coerenti?

Eh sì, quanto volte Mario mi ha detto, con la sua solita, inconfondibile
ironia, di non seguirlo nei suoi principi perché mi avrebbe rovinato!

Ma oramai era tardi.

Ero intriso della cultura politica e giudiziaria di Mario.

E così, eletto al CSM nel 2006, ho seguito una sola stella polare, entrando
più volte in conflitto con gli stessi miei elettori: la stella polare della
coerenza.

Al punto che il complimento più bello, alla fine del mandato, lo ricevetti
da un componente laico che mi disse: abbiamo dissentito tante volte, ma ho
apprezzato in te la cocciuta coerenza.

Eh già, quella cocciuta coerenza - tipica di un sardo ed importata da un
romano - che ha contraddistinto la vita di quel grand’uomo che è stato Mario
Almerighi. Il complimento più grande che mi si potesse fare.

Quella cocciuta coerenza che lo ha portato a dire a tutti gli italiani, una
volta eletto Presidente dell’ANM, quelle cose che era solito dire a me, nel
chiuso della sua stanza d’ufficio e che, in un colpo solo, hanno determinato
la reazione dei potentati di destra e di sinistra.

Io non credo che ci sia oggi modo più efficace per rappresentare in sintesi
l’attualità del pensiero di Mario Almerighi che leggere la considerazione
conclusiva di uno dei suoi bellissimi libri, “La storia si è fermata”, del
2014, che rappresenta anche il suo testamento politico:

“Il vento che oggi spira sul terreno della Giustizia è vento prodromico di
tempesta. Se la tematica giustizia/politica è da tempo così calda nel nostro
Paese, ciò dipende, in buona misura, dalla particolare acutezza del
conflitto sociale, dallo sviluppo distorto del Paese, dall’inadempimento del
complessivo dettato costituzionale, dall’accentuato livello politico delle
materie oggetto d’intervento giudiziario. Il rilievo politico
dell’intervento giudiziario è, in sostanza, un riflesso, un effetto e non la
causa, di questa situazione.

Ritengo che l’analisi (…) che determinò la nascita del Movimento sia oggi
più pertinente di quanto non lo fosse dieci anni fa.

(…) Senza il riferimento a grandi opzioni di valori e a idealità è
impossibile uscire dalla strettoia della mera rappresentanza d’interessi,
dalla frantumazione e dalla contrapposizione corporativa, dal terreno degli
egoismi e dell’anonima conflittualità generale, del tutti contro tutti.
L’esigenza di sollevare il coperchio su quella che ritengo sia l’avvilente
realtà nella quale si è impantanata la magistratura associata nasce dalla
convinzione che solo attraverso un bagno di umiltà e di forte carica
autocritica essa possa venir fuori dal buio tunnel nel quale oggi si trova,
fare tesoro degli errori commessi ed imboccare una nuova strada che le
consenta di poter fronteggiare i gravi pericoli incombenti sulla vita della
nostra democrazia connessi ad una giustizia fatiscente e non credibile”. 

Grazie Mario, per aver regalato la luce di un po' di poesia alle oscure
tenebre del diritto!!

Grazie Mario per aver contribuito a fare la storia di questo Paese!!

 
Mario Fresa

 

 

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