[Area] i giudici e il diritto dell'immigrazione

Pierluigi Di Bari pierluigi.dibari a giustizia.it
Mer 4 Apr 2018 19:16:29 CEST


Vorrei ringraziare Maria Rosaria e Medel (come pure MD) per il loro
rinnovato impegno di questi giorni nella materia del diritto
dell’immigrazione.

E’ una materia che  ci riporta ad una semplice domanda: c’è un giudice
indipendente e professionale, c’è il diritto individuale a fronte di una
situazione soggettiva che riguarda migliaia di persone?

Nel diritto civile e nel diritto penale ci sono molti colleghi che nella
pratica del loro lavoro e ora nel dibattito pubblico affermano il contrario.

Il diritto speciale penale dell’immigrazione poteva essere affrontato
(ideologicamente) con gli stamponi/file precompilati oppure scrivendo
complessi provvedimenti giuridici nei quali i pochi spazi di giurisdizione
lasciati dalla normativa nazionale venivano riempiti trovando ossigeno in
quella europea ed internazionale, salvo provocare sistematiche impugnazioni
(rispondenti a precise linee di politica del diritto) da parte di alcune
Procure Generali.

La Cassazione penale (ad es. sulle cd intimazioni a catena) si trovò ad
essere spesso più avanti della giurisprudenza di merito.

Ed infine arrivò (su questione interpretativa sollevata da una Corte
d’Appello)) la sentenza El Dridi della Corte di Giustizia a dirci che la
normativa nazionale italiana (penale in collegamento a quella regolatrice
del soggiorno e degli allontanamenti) era contraria alla realizzazione
dell’effetto utile della Direttiva rimpatri. Ovvero talmente rigida sulla
carta da essere sostanzialmente inutile.

I giudici degli stamponi, che avevano convalidato (anche dopo l’entrata in
vigore della direttiva) migliaia di arresti (ad un certo punto una
percentuale significativa della popolazione carceraria italiana) sulla base
di quella normativa e di atti amministrativi spesso motivati in modo solo
apparente, avevano giuridicamente torto.

Non è un’informazione ideologicamente orientata quella secondo cui per anni
in Italia sono state presentate un numero di domande di protezione
internazionale infinitamente inferiore a quelle di altri paesi europei, a
cominciare dalla Germania, ma non solo.

Una delle ragioni dipendeva dal fatto che la procedura di richiesta non era
nella pratica implementabile. Detta più semplicemente era molto difficile
presentare domanda di asilo, anche perché non c’era un’informazione
adeguata.

Adesso la situazione giuridica e pratica è cambiata, ma torniamo al problema
di partenza.

La sfida è:

le sezioni specializzate nei Tribunali possono assicurare un’analisi
individuale dei singoli casi loro sottoposti?

Ci sono colleghi che  stanno seriamente provando ad assolvere a questo
dovere, sul piano organizzativo e della giurisdizione.

Altri sono tentati dalla più facile (ed ideologicamente non neutra)
giustizia dei moduli a stampa oppure semplicemente evitano le sezioni
specializzate.

Nel frattempo è già stato abolito l’appello.

E in futuro qualcuno potrebbe pensare, allo scopo dichiarato di non intasare
i Tribunali, ai Giudici di Pace, come fu fatto per le espulsioni
amministrative e per i trattenimenti nei centri di detenzione (a tutti gli
effetti provvedimenti privativi della libertà personale).

Il problema per noi giudici non mi pare sia, oggi come ieri, quello di
agevolare il presunto arbitrio di organizzazioni private (ad es. Open Arms
oppure MSF) contro il rispetto della volontà delle nazioni, ma di applicare
il diritto tutto rispetto ad un caso individuale, a tanti casi individuali.

Parliamone sicuramente.

Piero di Bari

 

Da: Nuovarea [mailto:nuovarea-bounces a nuovarea.it] Per conto di Guglielmi
Maria Rosaria
Inviato: martedì 3 aprile 2018 21:33
A: area a areaperta.it; nuovarea a nuovarea.it; malta2013 a yahoogroups.com
Oggetto: [Nuovarea] Dichiarazione di Medel sul dovere di soccorso in mare

 

Scusandomi con Giovanni e con tutti per il ritardo, rispondo alla richiesta
di chiarimenti sui dati relativi all’attività di soccorso di Open Arms,
precisando che il numero indicato nel documento di Medel fa riferimento al
periodo settembre 2015- marzo 2018, e che la cifra comprende non solo gli
interventi ( con tre navi) nel Mediterraneo centrale, ma anche quelli nel
Mediterraneo orientale in occasione dei massicci flussi su Lesbos, come
descritti dalla ONG nel grafico che allego. Si tratta di cifre in linea con
quelle di altre grandi ONG: MSF, in particolare, nel 2016 ha soccorso nel
Mediterraneo centrale 21.603 persone
(http://www.msf.org/en/topics/mediterranean-migration). Preciso anche che la
decisione di MEDEL di proporre la candidatura di Open Arms per il premio
Vaclav Havel risale allo scorso anno.

Sul merito del dibattito suscitato dal documento di Medel, mi sembra
importante il richiamo di Giovanni alla necessità di evitare un approccio
superficiale alle questioni giuridiche che si pongono nel soccorso in mare.
Condivido anche l’invito di Paolo a trovare momenti di riflessione comune
sulle complesse problematiche legate alla  drammatica  emergenza umanitaria
dei migranti che attraversano il Mediterraneo, a quella legata alla loro
permanenza nei centri di detenzione in Libia, e sulle sfide che questo
contesto pone alla giurisdizione.

Il documento di Medel, in linea con quello che da sempre è il senso del suo
impegno rivolto al rafforzamento della nostra comune consapevolezza dei
principi e dei valori che fanno parte del patrimonio ideale e morale
dell’Europa, vuole essere un richiamo ai doveri e alle responsabilità che
discendono da questi principi e da questi valori.

La stima ufficiale UNHCR dei morti e dei dispersi in mare dall’inizio del
2018 al 1 aprile è di 489 persone (
http://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean), il che plausibilmente
vorrà dire un altro anno con migliaia di vittime.  Nell’ordine di molte
migliaia sono poi le persone trattenute nei centri libici. 

Sono cifre che dimostrano, come scrive l’OIM, che l’emergenza umanitaria nel
Mediterraneo resta drammaticamente attuale e che il rafforzamento delle
operazioni di ricerca e soccorso dovrebbe avere la precedenza su ogni altra
valutazione politica
(http://www.italy.iom.int/it/notizie/oim-salvare-vite-umane-deve-restare-una
-priorit%C3%A0-nella-gestione-del-fenomeno-migratorio). 

In questo contesto, riaffermare questa priorità e chiedere all’Europa di
mantenere fede agli  “impegni” che ha assunto per garantire la tutela dei
diritti fondamentali non mi sembra un esercizio retorico.  D’altra parte
anche per le gravi carenze che hanno caratterizzato la politica europea
nella gestione del fenomeno migratorio l’Italia continua di fatto a prendere
in carico da sola i flussi nel Mediterraneo più consistenti, anche se non
gli unici (secondo i dati ufficiali UNHCR gli arrivi sono stati dall’inizio
dell’anno ad oggi 6658 per l’Italia  e, nello stesso periodo, 4976 per la
Spagna e 5401 per la Grecia, dato che, rapportato alla popolazione, è
particolarmente rilevante). 

Il comunicato di MEDEL va visto in questa prospettiva,  e non in quella di
alimentare una polarizzazione di posizioni.  Nessuno nega o vuole sminuire
la complessità del problema della gestione di movimenti di popolazioni di
queste dimensioni, né l’impegno che questo contesto richiede al nostro
paese, anche a causa di una politica europea che non si è dimostrata
all’altezza delle sfide che pone l’immigrazione, e del rifiuto di una
politica dell’accoglienza da parte di stati membri ( e gli eventi di questi
giorni dimostrano che il problema non riguarda solo l’Ungheria e la Polonia
).

La complessità del nuovo problema migratorio ci sta portando, come
magistratura,  a dover (ri)affrontare  problemi non nuovi: un’assunzione di
responsabilità ma anche una sua sovraesposizione, nel bilanciamento dei
valori che viene sottoposto al vaglio costante dei media, della politica e
dell’opinione pubblica e che non può prescindere dalla necessità che i
diritti umani fondamentali, sanciti anche dalle carte sovranazionali, siano
sempre il faro che deve guidare il giudice nella sua attività interpretativa
della legge. 

Penso che un nostro dibattito interno sia necessario per acquisire maggiore
consapevolezza dei valori in gioco, della complessità del contesto nel quale
operiamo e delle posizioni emerse nel dibattito pubblico che, se da un lato
comprende voci considerate, a volte in modo apodittico, “buoniste” o
“affascinate dal mito del buon migrante”, comprende anche una parte
crescente dell’opinione pubblica che si va saldamente radicando su visioni
schiettamente xenofobe e razziste, e che è plausibile avrà un ruolo non
trascurabile nel determinare l’agenda politica degli anni a venire. 

Mariarosaria Guglielmi

 

 

 

 

 

 

 

 

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