[Area] Sul libro "Razza e InGiustizia"

Morosini Piergiorgio piergiorgio.morosini a giustizia.it
Sab 15 Set 2018 20:30:03 CEST




A chi fosse interessato invio il mio intervento al plenum del csm 13 settembre in occasione della presentazione del volume ‘Razza e InGiustizia’
Piergiorgio Morosini


         1. Isolati dalla società nazionale; fortemente limitati nei diritti civili e politici; mortificati nella dignità in quanto esclusi da scuole, lavoro, vita civile. Sono le conseguenze delle leggi razziali italiane del 1938 per le persone di origine ebrea. Una pagina a lungo dimenticata o minimizzata dopo gli orrori dei campi di sterminio, per il cosiddetto “peso Auschwitz”.  Ma, forse, attraverso la “persecuzione dei diritti”  si preparò il terreno per quella che, di lì a poco, sarà la “persecuzione delle vite”.
         La preparazione del volume “Razza e Ingiustizia”, che oggi presentiamo, per il Consiglio Superiore è stata l’occasione per interrogarsi su questioni ciclicamente alla ribalta. Quali responsabilità per la magistratura al tempo del fascismo? Esistevano strumenti costituzionali per reagire alla “notte” dei diritti, con uno statuto albertino<x-apple-data-detectors://5> che all’art.24 riconosceva l’eguaglianza di tutti i cittadini del Regno ? C’era spazio per una interpretazione della legge per sterilizzare il diritto diseguale? Ed ancora. I magistrati, allora, avevano spazi di autonomia di fronte al potere politico? Esisteva una associazione di magistrati in grado di esprimere una coscienza critica, alimentando una dialettica istituzionale e un confronto pubblico attorno al valore fondamentale del rispetto dell’essere umano in qualunque condizione si trovi?

         2. Se leggiamo le sentenze dell’epoca (1938-1943), notiamo un orientamento dei giudici italiani diverso rispetto ai colleghi della Germania nazista. Non sposarono mai approcci smaccatamente filo-regime in cui il giudice “costituisce il legame tra diritto e politica”, facendosi interprete del “comune sentimento del popolo”. Sulla carta i giudici italiani si rifugiarono nel tecnicismo. La maggior parte di loro si attenne ad una rigorosa lettura delle norme, dandone una interpretazione restrittiva. Ma la presunta neutralità e apoliticità del loro agire non evitò loro il ruolo di “dispensatori di ingiustizia”. Non ebbero neppure la forza di mettere in discussione un nuovo assetto dei poteri dello Stato che si delineava sulla questione razziale. Ossia l’interpretazione di quell’art.26 del r.d.l. n.1728 del 1938 che riservava al Ministro degli Interni (si, avete capito bene) la risoluzione delle controversie sulla applicazione delle leggi razziali, senza la possibilità di alcuna impugnazione, aprendo così un delicatissimo problema di equilibrio tra potere giurisdizionale e esecutivo.

         3. Ma non ci fu solo l’ “ignavia giurisprudenziale”. Pur raggiunti in prima persona dalla capillarità delle interdizioni antisemite, i magistrati rimasero inerti e silenti. Un esempio per tutti. Nel 1939, il ministro della Giustizia Arrigo Solmi chiese a tutti magistrati una dichiarazione di non appartenenza alla razza ebraica al fine di verificare “la purezza razziale dell’intero apparato Era già accaduto pochi mesi prima con gli insegnanti e gli studenti nelle scuole. ”. In grandi sedi giudiziarie così come in alcuni piccoli tribunali, da un giorno all’altro non si presentarono più diversi magistrati di diverso rango, da giovani uditori giudiziari ai consiglieri di appello e di Cassazione. Come ricorda lo studioso Guido Neppi Modona, “non risulta che alcuno dei circa 4200 magistrati in servizio abbia in qualche modo preso le distanze, magari rifiutando di rispondere alla richiesta di dichiarare la propria appartenenza razziale, ovvero in qualche modo manifestando solidarietà nei confronti dei colleghi rimossi dal servizio”. Tutto continuò come se nulla fosse successo.
         Forse tutto questo era il frutto anche della assenza di un associazionismo tra magistrati in grado di far sentire la sua voce su grandi questioni. Un tema questo su cui anche oggi ci si confronta con toni aspri e con orientamenti molti diversi. D’altronde l’importanza dell’associazionismo tra magistrati, oggi sottovalutato da molti colleghi, lo aveva colto nella sua pienezza lo statista Vittorio Emanuele Orlando sin dal 1909. Criticando la nascita dell’ Associazione Generale dei Magistrati d’Italia, Orlando mostrava preoccupazione non solo per la sua “connaturata combattività” sulle questioni corporativo-stipendiali ma anche per la fisiologica acquisizione di una coscienza collettiva, presupposto per una partecipazione attiva al dibattito pubblico sui grandi temi della giustizia. Quella intuizione si è rivelata corretta se solo pensiamo al peso che poi avrà a partire dagli anni sessanta l’ Associazione nazionale magistrati sulle questioni inerenti alla riforme della giustizia e dell’ordinamento giudiziario, in chiave di costituzionalizzazione del circuito istituzionale e di qualità della giurisdizione.
         Coloro i quali oggi avversano fortemente l’ANM devono sapere che la fascistizzazione della magistratura cominciò proprio con lo scioglimento dell’AGMI nel dicembre del 1926 e con l’epurazione di magistrati di spicco come il segretario generale Vincenzo Chieppa. D’altronde, poco prima dell’avvento del fascismo l’elaborazione dell’AGMI era diventata più dettagliata e l’azione più incisiva. Nel 1921 fu ottenuta l’estensione della inamovibilità ai pretori e l’elettività del CSM da parte di tutto il corpo giudiziario. Ma con il fascismo cambio tutto. Già nel 1923 il CSM fu reso di nuovo di nomina governativa e furono collocati a riposo i magistrati di sicura fede democratica come il presidente della Cassazione Mortara e il procuratore generale De Notarstefani.

4. L’ introduzione leggi antiebraiche avvenne in presenza di un ordinamento giudiziario già fortemente segnato dall’assenza di anticorpi a presidio della autonomia e della indipendenza dei magistrati. Proprio rileggendo le cronache di quei tempi, riusciamo ad apprezzare la grandezza dell’attuale assetto costituzionale nel suo statuto relativo all’ordine giudiziario. Un assetto purtroppo messo ciclicamente in discussione negli ultimi trent’anni, da forze politicamente trasversali.
Nel 1938, la magistratura operava priva delle più elementari garanzie di autonomia e indipendenza, sia esterna, nei confronti del potere politico, sia interna, con riferimento alla subordinazione gerarchica dei giudici inferiori o dipendenti nei confronti dei magistrati superiori.
Trasferimenti, promozioni e interventi disciplinari, spettavano al ministro della giustizia,  ovvero a commissioni formate da alti magistrati nominati dal ministro e istituite presso il ministero, con forti ricadute sull’esercizio della giurisdizione per vicende politicamente sensibili.
Il rafforzamento della gerarchica interna, cioè dei vincoli di dipendenza dei magistrati inferiori nei confronti dei capi degli uffici e dei vertici della organizzazione giudiziaria, interferivano anch’essi pesantemente sul libero esercizio delle funzioni giudiziarie dei singoli magistrati, rappresentando una sorta di delega  del controllo politico del ministro.
Le informazioni dei capi degli uffici, da sempre acquisite in relazione alla vita professionale e personale dei magistrati e determinanti al fine di eventuali promozioni, diventarono, sotto il regime, il principale strumento di controllo dell’attività dei magistrati e di denuncia di comportamenti sospetti. I consigli giudiziari non si limitarono più a valutare i provvedimenti giudiziari dei candidati o i loro rapporti con i colleghi, il personale e il foro, ma estendevano la valutazione al possesso da parte dei magistrati dei “requisiti fascisti” (come l’anzianità all’iscrizione al PNF e alla Milizia volontaria).
Anche sulla formazione dei magistrati ci fu un forte investimento della politica. Nel 1935 il Guardasigilli Solmi riorganizzò l’uditorato, includendovi anche nozioni in materia di politica fascista.

6. In quelle condizioni e nell’assenza di categorie giuridiche che consentissero ai magistrati una critica ai testi normativi come oggi accade con la devoluzione alla Corte Costituzionale, la giurisprudenza sulla legislazione antisemita seguì inevitabilmente lo spirito del sistema politico e l’indirizzo desiderato dal governo. Eppure quella pagina storica pone più di un interrogativo anche al magistrato di oggi. I termini della questione sono posti molto efficacemente da un importante contributo su “Giudici e la razza” dello storico del diritto Giuseppe Speciale secondo cui: “… l’ebreo, il discriminato, il perseguitato, il diverso da espellere, l’ oggetto della legislazione razziale meticolosamente dettagliata, finisce, al di là di ogni sua intenzione, per costituire e incarnare l’elemento scandaloso che costringe l’ altro, il non ebreo, il giudice a riflettere prima di tutto su se stesso, sulla propria storia, sulla propria identità”.
E’ un discorso che chiama in causa il nostro senso di libertà di coscienza; quei doveri che si richiedono a uomini e donne chiamati ad essere “operatori di giustizia”. Doveri valevoli in ogni tempo e in ogni luogo.
Anche in quel periodo di oscurantismo, alcuni magistrati continuarono a svolgere le loro funzioni interpretando le leggi nel superiore interesse della legalità e della giustizia e subendone le nefaste conseguenze. Alcuni pagarono il rigore professionale con il trasferimento di sede e un arresto della propria carriera. Altri andarono a combattere per la liberazione e pagarono con la vita. Non si possono dimenticare figure coraggiose come il giudice Vincenzo Giusto del tribunale di Cuneo, morto partigiano e medaglia d’oro alla Resistenza, e come il consigliere Ferrero, arrestato nel 1944, percosso, insultato come “traditore” e infine fucilato dalla milizia nazifascista.
Noi ogni anno, anche qui al Consiglio, commemoriamo giustamente le vittime del terrorismo e della mafia. Magistrati leali, coraggiosi, che si sono distinti per una passione civile e democratica che hanno pagato con la vita.
Ecco, io credo che dovremmo dedicare almeno un giorno alla memoria di  magistrati  che in quell’epoca si sono battuti contro la violenza nazi-fascista.
Anche a loro va attribuito un posto nel pantheon dei Giusti.
 Piergiorgio Morosini


Inviato da iPhone

Il giorno 15 set 2018, alle ore 19:40, Spataro Armando <armando.spataro a giustizia.it<mailto:armando.spataro a giustizia.it>> ha scritto:

Grazie Ercole,
Utilizzeró il tuo bell’intervento sin da stasera in un dibattito a Modena su “L’immigrazione tra diritti, dovero e sicurezza”..
Un abbraccio
Armando
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Da: Nuovarea <nuovarea-bounces a nuovarea.it<mailto:nuovarea-bounces a nuovarea.it>> per conto di ercoleaprile a libero.it<mailto:ercoleaprile a libero.it> <ercoleaprile a libero.it<mailto:ercoleaprile a libero.it>>
Inviato: sabato 15 settembre 2018 17:44:46
A: nuovarea a nuovarea.it<mailto:nuovarea a nuovarea.it>; Grillo Pasquarelli Federico
Oggetto: Re: [Nuovarea] Sul libro "Razza e InGiustizia"


Gentili Federico e colleghi tutti,

il libro "Razza e InGiustizia. Gli avvocati e i magistrati al tempo delle leggi antiebraiche" è stato presentato al Senato nella giornata di ieri 14 settembre e, il giorno precedente, nel corso di un Plenum straordinario del CSM e di un collegato convegno svoltosi a Palazzo dei Marescialli, di cui al comunicato che segue. Contiamo di rendere consultabile il volume nel portale istituzionale del Consiglio.

Con l'occasione invito il testo del mio intervento tenuto durante il Plenum di giovedì mattina nel quale, in connessione con il tema tradizionale della contrapposizione tra legalità formale e giustizia delle decisioni giudiziarie, ho segnalato l'assoluta attualità dell'argomento.

Cordialità

Ercole Aprile

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CSM, 13 settembre alle 10 Plenum straordinario su “giustizia e leggi antiebraiche”

Prima del Plenum straordinario di giovedì 13 settembre, dedicato alla discussione su “Giustizia e leggi antiebraiche”, si terrà un intervento di saluto del Presidente della Corte Suprema di Israele Ms. Esther HAYUT.

Alle 10 si aprirà la seduta del Plenum straordinario presieduta dal Vice Presidente Giovanni LEGNINI, con all'ordine del giorno "Riflessioni del C.S.M. e del C.N.F. su giustizia e leggi antiebraiche".

Sono previsti gli interventi del Primo Presidente della Corte di Cassazione Giovanni MAMMONE, del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione Riccardo FUZIO, dei Consiglieri del CSM: Ercole APRILE, Piergiorgio MOROSINI (Direttore dell’Ufficio Studi e Documentazione del CSM) , Francesco CANANZI, Rosario SPINA.

Al termine della seduta plenaria, si alterneranno alcuni degli autori del volume “Razza e ingiustizia”, tra cui: Marcello PEZZETTI (Storico esperto della Shoah), Michele SARFATTI (Studioso della persecuzione antiebraica), Guido ALPA Professore (Ordinario di diritto civile), Giovanni CANZIO (Primo Presidente emerito della Corte di cassazione), Gaetano SILVESTRI (Presidente emerito della Corte Costituzionale), Giuseppe SPECIALE (Professore Ordinario di storia del diritto medievale e moderno)  Paola DE BENEDETTI (Avvocato), Francesco MARULLO DI CONDOJANNI (Consigliere del Consiglio Nazionale Forense), Pasquale SERRAO d’AQUINO (Magistrato addetto all’Ufficio Studi del C.S.M.) , Olimpia MONACO (Magistrato addetto all’Ufficio Studi del C.S.M).

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Plenum straordinario del 13 settembre 2018

Presentazione del volume “Razza e InGiustizia” alla presenza del Presidente della Corte Suprema di Israele

Intervento di Ercole Aprile

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   Signor Presidente, Signori Colleghi,

desidero innanzitutto associarmi a chi mi ha preceduto nel formulare i più deferenti saluti alla Signora Hayut, Presidente della Corte Suprema di Israele, e a tutti gli altri nostri graditi ospiti.

   Quale componente del Consiglio in rappresentanza della magistratura di legittimità e già quale Presidente della Sesta Commissione consiliare, devo manifestare il compiacimento per aver avuto la possibilità di prendere la parola in occasione di una così importante seduta del Plenum.

   Vi è una continuità tra questo momento di riflessione, organizzato ottanta anni dopo l’approvazione in Italia delle leggi antiebraiche del 1938, e le altre numerose iniziative frutto della intensa collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, qui rappresentata dalla Presidente Noemi Di Segni, che voglio personalmente ringraziare per la costante tensione morale che caratterizza il suo impegno.

   Penso, ad esempio, alla partecipazione di rappresentanti del CSM alle annuali Giornate della Memoria; ai ripetuti viaggi ad Auschwitz e Birkenau, nei quali i magistrati hanno affiancato gli studenti e i docenti delle scuole italiane, d’intesa con il Ministero della istruzione; alla sottoscrizione di un apposito protocollo di collaborazione tra il CSM e l’UCEI; alla partecipazione ai lavori della Commissione permanente istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché alle mostre di materiale di documentazione storica sull’Olocausto o sulle leggi antiebraiche, mostre anch’esse organizzate dall’UCEI. Si è trattato – a mio avviso – delle relazioni istituzionali in assoluto più qualificanti tra quelle che hanno segnato il quadriennio di questa consiliatura, che, sono certo, continueranno ad essere coltivate da chi, da qui a pochi giorni, sarà chiamato a sostituirci.

   In uno dei più noti romanzi italiani che narra delle persecuzioni che le comunità ebraiche subirono durante il periodo fascista, “Il giardino dei Finzi Contini”, – nel raccontare lo sgomento del giovane universitario Alberto, cacciato per ordine del direttore dalla biblioteca comunale di Ferrara dai lui frequentata, quale luogo di studio, fin dai tempi del ginnasio, tanto da far dire al protagonista che in quel luogo si “sentiva un po’ come a casa” – l’autore Giorgio Bassani riferisce con particolare efficacia degli effetti dirompenti che l’applicazione delle leggi razziali del 1938 avevano avuto sulla vita di tante famiglie italiane, di “gente normale…” (scriveva l’autore) “…addirittura banale nella sua normalità”. Ricorda Bassani, dando voce alle concitate considerazioni rivolte dal giovane Alberto ad un suo amico milanese, come “una delle forme più odiose di antisemitismo era appunto questa: lamentare che gli ebrei non fossero abbastanza come gli altri, e poi, viceversa, constatata la loro pressoché totale assimilazione all’ambiente circostante, lamentare che fossero tali e quali come gli altri, nemmeno un poco diversi dalla media comune…”.

   Per i magistrati italiani è doveroso ricordare quel terribile momento della vita del nostro Paese che, come ci ha autorevolmente insegnato il professore Pezzetti, costituì inevitabilmente il prologo della tragedia della Shoah.

   Vi è un sottile filo rosso che permette di collegare il monito che deriva dal rammentare quegli episodi del passato, all’analisi attuale della difficile realtà nella quale viviamo e ai potenziali pericoli che potrebbero manifestarsi in futuro nella nostra collettività.

   Rivolto lo sguardo verso il passato, il ricordo va all’esempio di quei magistrati ‘eroi’ (invero, non tanti…) che, costretti dal 1938 ad applicare quelle leggi infami, coraggiosamente ne interpretarono le singole norme in maniera tale da provare a neutralizzarne gli effetti. Scrisse nel 1954 Piero Calamandrei che “un incontenibile senso della ingiustizia, più forte di ogni ragionamento, spingeva i giudici a cercare ingegnosi pretesti dialettici per eludere nei loro giudizi la spietata follia di quelle leggi abominevoli”.

   Vi è la diffusa convinzione tra gli studiosi che il rispetto della legalità formale, eredità degli Stati liberali dell’800 e dei primi del 900 dello scorso secolo, non bastò e potrebbe non bastare ad evitare derive distruttive che si insidiano in esegesi e prassi applicative apparentemente ossequiose del dato normativo.

   Come ha ricordato il vicepresidente della Corte costituzionale italiana in occasione di un recente convegno su questi temi, nel periodo fascista non si ebbe il coraggio di sopprimere la legalità, ma si preferì mantenerla ufficialmente sulla facciata, instaurando nell’ombra di essa una pratica ufficiosa di effettivo illegalismo.

   Si impone, così, oggi al ceto dei giuristi – ai magistrati, agli avvocati, ai professori universitari – il concreto rispetto dei principi e dei valori sottostanti alle disposizioni della Carta costituzionale e delle Carte internazionali dei diritti la cui forza precettiva è entrata, per così dire in maniera dirompente, nelle aule giudiziarie e, prima ancora, nella vita quotidiana dei cittadini.

   “Di fronte alle leggi ingiuste” – ha ricordato la prof.ssa Cartabia in un suo scritto – gli Stati contemporanei hanno “risposto con la giustizia costituzionale, con il sistema di tutela internazionale dei diritti, che… hanno scongiurato, nell’Europa occidentale, il ripetersi di tragedie già conosciute. I giudici delle leggi e i giudici dei diritti hanno arricchito di salvaguardie la vita dei cittadini, proteggendola dalle grandi e piccole ingiustizie”.

   Come ebbi già modo di sottolineare nel gennaio del 2017 nel mio intervento, in rappresentanza del CSM, nella sinagoga di Cracovia, l’impegno dei magistrati italiani, rivolto anche verso il futuro, deve essere quello di provare sempre a coniugare l’applicazione delle norme previste dalle leggi con quei valori universali, nella convinzione che ad antiche, e purtroppo ancora attuali, forme di discriminazione, anche razziale e religiosa, altre se ne sono aggiunte ed altre possono inquinare la vita collettiva della nostra società contemporanea, messa a dura prova più da una decadenza dei principi etici (di cui il linguaggio troppo disinvolto è talora una manifestazione) che non dalle difficoltà causate dalla crisi economica.

   L’idea di fondo, nell’esercizio di tutte le pubbliche funzioni e, in special modo, della delicata funzione che è assegnata ai giudici, deve essere quella di continuare a credere che ci sono valori fondamentali dell’uomo che vanno protetti e garantiti senza operare alcuna distinzione, negando ogni dignità a meccanismi di applicazione di norme che possano far prevalere egoismi invece che assecondare solidarietà, creare esclusioni anziché favorire inclusioni, rafforzare disuguaglianze invece che provare a superarle.



Il 15 settembre 2018 alle 12.08 Grillo Pasquarelli Federico <federico.grillopasquarelli a giustizia.it<mailto:federico.grillopasquarelli a giustizia.it>> ha scritto:

La presentazione di Razza e inGiustizia. Mascherin: "Avvocati e magistrati, dobbiamo vigilare anche nel presente" - Il Dubbio
Qualcuno sa come ci si può procurare questo libro, che mi pare molto interessante?
Su Amazon non lo trovo ......
Grazie
Federico Grillo Pasquarelli

http://ildubbio.news/ildubbio/2018/09/15/la-presentazione-di-razza-e-ingiustizia-mascherin-avvocati-e-magistrati-dobbiamo-vigilare-anche-nel-presente/

La presentazione di Razza e inGiustizia. Mascherin: “Avvocati e magistrati, dobbiamo vigilare anche nel presente”
La pubblicazione promossa da Cnf, Csm, Senato e Unione delle comunità ebraiche italiane. Al convegno è intervenuta anche la senatrice a vita Liliana Segre
Giulia Merlo<http://ildubbio.news/ildubbio/author/giulia-merlo/> 15 Sep 2018 11:22 CEST
[http://ildubbio.news/ildubbio/wp-content/uploads/sites/4/2018/09/1d4b00bb1721c4b0cf334bdf4d8c0ab4Image_6-232x294.jpg]

«La pubblicazione di volumi come questo è un dovere, perché servono a tutta la società civile». Con queste parole la senatrice a vita e testimone della Shoah Liliana Segre ha salutato la pubblicazione del libro Razza e inGiustizia, gli avvocati e i magistrati al tempo delle leggi antiebraiche, presentato ieri in Sala Koch al Senato e pubblicato grazie al lavoro congiunto di Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense, Senato della Repubblica e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, a ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali da parte del regime fascista.

A coordinare i lavori è intervenuto il direttore dell’ufficio Studi del Csm, Piergiorgio Morosini e la pubblicazione, curata da Antonella Meniconi e Marcello Pezzetti, è stata introdotta dai saluti istituzionali dei presidenti delle autorità che hanno preso parte alla stesura. La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati ha descritto il volume come «uno scritto senza retorica, che sottolinea come sia stato complesso e controverso il rapporto del mondo giuridico con le leggi razziali. Il nostro obiettivo va oltre la simbolica condanna del razzismo: in questo amaro ottantesimo anniversario delle leggi razziali, ci troviamo ad assumere una responsabilità verso i giovani, a cui dobbiamo offrire la possibilità di una comprensione critica degli avvenimenti che hanno segnato la storia recente del Paese». Le pagine, infatti, «sollevano il velo dai silenzi di quel mondo sulle posizioni razziali del regime. Molto resta da fare per un’onesta analisi degli eventi: è un percorso doloroso ma necessario e da giurista non posso non ricordare la discriminazione dei colleghi ebrei e l’atteggiamento compromissorio rispetto alle leggi razziali. Fare i conti con la storia è obbligo morale per ogni individuo e in particolare per i rappresentanti istituzioni. Trasformiamo la memoria storica in strumento di progresso civile».

Anche dal vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, è arrivato un appello a preservare la memoria storica: «L’abisso nel quale precipitò l’ordinamento giuridico costituisce un monito per l’oggi: le guarentigie che i Costituenti seppero scolpire nella Carta vanno curate costantemente e, tra di esse, vi è la necessità della strenua difesa dell’autonomia dell’ordine giudiziario da ogni altro potere; è questa una garanzia insopprimibile per la tutela della libertà e dei diritti dei cittadini». Spiegando poi l’adesione del Csm al progetto, Legnini ne ha sottolineato l’attualità. «Le immagini scelte, nella loro immediatezza, testimoniano di un clima di violenza che genera assuefazione e paralizza le reazioni. È questa una parabola tipica dei percorsi distruttivi delle democrazie. La disamina attualizzata dell’immane tragedia che segnò quel tempo, ci aiuta a riconoscere i prodromi e i tentativi di riproposizione della cultura della discriminazione e dell’assuefazione» .

Il presidente del Cnf, Andrea Mascherin, ha poi evidenziato come «la collaborazione tra avvocati e magistrati è qualcosa di più di una formalità. Ci commuoviamo e ci indignamo per ciò che avvenne allora, ma oggi guai a pensare che non ci riguardi più. L’attualità non va tralasciata: il presente è una nostra responsabilità, perchè è ciò che disegnerà il futuro». Mascherin ha notato che «i segnali di pericolo ci sono già: il pericoloso linguaggio d’odio; un dibattito sociale e politico che verte su negazione del diritto altrui a esprimere la propria idea, che comporta automaticamente l’affermare se stessi come personalità superiore. Questi atteggiamenti sono alla base di ogni forma di disuguaglianza. Nel mondo del diritto gli episodi sono giornalieri: sui Social si nega autonomia della giurisdizione, giudice non è libero di assolvere o condannare in modo difforme dall’opinione pubblica del web; l’avvocato che difende viene minacciato perchè si pensa che non tutti abbiano diritto ad essere difesi». Proprio per combattere questi fenomeni e per non dimenticare le sofferenze delle leggi razziali che il volume testimonia, «avvocatura e magistratura devono lavorare insieme, perché sono da sempre tutela dello stato di diritto nei momenti più difficili».

La presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, ha infine ricordato come «il tormento di oggi sta proprio nel fatto di non saper leggere fatti e avvisaglie, il timore è il rischio che la nostra società superi di nuovo quella linea rossa invisibile, senza che si attivino le garanzie costituzionali». Sul piano giurdico, Di Segni si è interrogata su «quando è il momento di dire no? Di non rispettare una legge dello Stato perchè contraria al proprio senso di umanità?» e ha ricordato «tutti i giuristi, che sono stati schiacciati in quegli anni dallo stesso diritto che sognavano di applicare».

Anche il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha voluto mandare un proprio saluto, ricordando «il contributo di quegli avvocati e magistrati coraggiosi che, dando vita a vere forme di resistenza passiva e di protesta civile, scelsero di non applicare le direttive del regime fascista, finendo in alcuni casi per essere privati della possibilità di esercitare la propria professione, ma tentarono di salvaguardare la dignità e l’integrità morale della magistratura, della classe forense e dell’intero Paese».

Alla presentazione ha preso parte, con un lungo intervento in lingua ebraica, anche la presidente della Corte Suprema d’Israele, Esther Hayut. «La storia dimostra come facile usare giurisdizione per avallare ideologie che deformano la legge. La Shoah è il prodotto di un odio profondo e radicato, che cambia forma nella storia ma accompagna il mio popolo da anni, la più antica forma di pregiudizio che esista», ha detto, per poi ricordare gli atti «eroici di compassione umana di chi non è rimasto a guardare davanti alla barbarie in atto» e sottolineare come proprio l’Olocausto abbia giocato un ruolo fondamentale anche nella sua vita personale. «Noi nuove generazioni abbiamo obbligo di vivere la nostra vita e ricordare ciò che accadde, per creare una società giusta e garantire i valori democratici. Un dovere ancora più forte per noi che operiamo con il diritto».

Un lungo applauso ha poi accolto l’intervento della senatrice a vita Liliana Segre, che al volume ha contribuito con una prefazione. «Quando avevo 8 anni mi si chiusero le porte della scuola, poi mi si aprirono quelle del lager. Ottant’anni dopo, mi si sono aperte le porte del Senato. Così, posso dire che la mia vita non sia trascorsa inutilmente», ha esordito, raccontando il suo percorso personale. «La mia scelta di raccontare è cominciata quando avevo 60 anni, perchè allora ho capito di non aver fatto il mio dovere di testimoniare la Shoah», e da allora non si è mai fermata, a partire dalle scuole, dove racconta ai giovani che «Da Auschwitz non si esce mai. Il mio numero, il 75190, è dentro di me, sono io ed è l’essenza di ognuno di noi che è tornato». Infine, Segre ha sottolineato come il suo impegno da senatrice si rivolga soprattutto alla scuola, perchè «la storia del Novecento abbia collocazione nella formazione dei ragazzi, per evitare di ricadere in certi errori e per aprire la mente a parole come la solidarietà. Il linguaggio d’odio si combatte con la cultura». Infine, ha voluto ricordare l’importanza, dopo il periodo buio delle leggi raziali, della nostra Costituzione repubblicana, «baluardo contro chi ha la forza, ma non la ragione».

Infine, gli interventi conclusivi sono stati della curatrice del volume, la professoressa Antonella Meniconi, e del presidente emerito della Corte Costituzionale, Riccardo Chieppa, il quale ha voluto portare la sua testimonianza: «Io sono del 1926, uno dei superstiti della mia generazione, che ha visto tutto per come si è svolto», ha premesso raccontando la sua esperienza a partire dagli anni della scuola. Poi ha richiamato letteralmente uno dei passi del discorso con cui il presidente del Cnf ha aperto l’anno giudiziario: «Se tarlo della cultura che ha prodotto quell’ignominia si ripresenta oggi con mancanza di solidarietà, priorità al profitto sul diritto, con l’insinuazione di linguaggio di odio e indifferenza nei confronti degli emarginati, richiamo di assuefarci al sentire solo parole contro, perchè troppo spesso manca l’attitudine al dialogo».


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