[Area] pagelle e alibi

Marco Imperato marco.imperato a giustizia.it
Ven 13 Dic 2019 09:48:55 CET


La proposta delle “pagelle” è in sé risibile, manifestazione per un verso di
sfiducia populista verso la magistratura e per altro verso di mancanza di
consapevolezza della complessità del processo.

Però terminare qui l’analisi sarebbe troppo comodo.

 

Sappiamo tutti benissimo che l’esito di un processo non può essere ridotto a
una vittoria o ad una sconfitta del Pubblico Ministero. 

Sappiamo che ci sono indagini doverose e ben fatte che conducono a processi
assolutamente necessari e che possono infine terminare con un’assoluzione.

Questo argomento credo che però non debba consentirci di eludere il problema
della professionalità e della qualità del lavoro.

 

Da molti anni vado penso e dico che vorrei sapere sempre l’esito dei miei
processi (tutti, non solo dei più importanti) e la tenuta della mia
impostazione accusatoria nei tre gradi. La realtà è che spesso noi Pubblici
Ministeri perdiamo il polso della situazione dopo il primo grado, a volte
anche di processi di una certa delicatezza…e talvolta per il semplice fatto
che ci spostiamo in altro ufficio.

Mi sento come un medico che opera e che poi però spesso non conosce il
decorso del malato che ha cercato di curare… come se non fosse più una sua
responsabilità. Non è detto che le cose siano andate male perché ho
sbagliato qualcosa, certo…però vorrei saperlo per fare un’analisi e per
crescere. 

È vero anche nel campo medico che una buona e doverosa operazione può
ugualmente dare esito non positivo, ma è anche certo che in quel campo i
numeri e 

gli esiti si guardano eccome, perché se il singolo caso non può essere letto
in chiave assoluta, le statistiche complessive danno indicazioni importanti.

 

Se la soluzione diventassero le pagelline o le formule matematiche saremmo
di fronte ad una semplificazione mortificante e distorsiva di un lavoro e di
un percorso processuale che ha aspetti e significati non tutti riducibili a
un pollice in su o in giù…

Se invece volessimo affrontare seriamente il problema, sarei io stesso il
primo a voler conoscere la statistica sull’esito delle mie indagini perché
potrebbe darmi spunti di riflessione sulla completezza delle mie indagini e
sulla qualità del mio lavoro e delle mie scelte.

 

Naturalmente il numero andrebbe letto, interpretato, contestualizzato…
andrebbero viste le motivazioni almeno a campione, ma non conoscere questo
dato mi pare espressione di un atteggiamento corporativo e auto-assolutorio
che non ci aiuta a difendere la credibilità del nostro lavoro.

 

Faccio due esempi paradossali per dimostrare che quel dato sarebbe utile
nella misura in cui vi fosse la capacità di leggerlo con intelligenza.

1)      Se avessi il 100% di condanne sino al terzo grado mi chiederei se
forse non sto facendo solo e soltanto i processi facili e sicuri, quelli
privi di alcuna difficoltà dal punto di vista probatorio e\o giuridico…

2)      Se mi occupassi di reati contro la pubblica amministrazione saprei
benissimo che un tasso maggiore di assoluzioni rispetto ad altri settori è
(per quanto frustrante) fisiologico , ma conoscere l’esito mi aiuterebbe a
comprendere dove lavorare per impostare in maniera sempre più solida e
convincente le mie indagini

...e gli esempi si potrebbero moltiplicare…

 

Ciascuno di noi avrebbe tante cose da dire sul punto e ci sono mille
distinguo da fare.

Credo però che non si possa dire che il dato sulla tenuta delle imputazioni
non dica qualcosa sulla qualità del lavoro di quelle imputazioni ha
formulato.

Così come non credo che si potrebbe dire che il dato sulla tenuta delle
decisioni di primo grado non dica qualcosa sulla qualità di quelle sentenze…

 

Infine, ultimo ma non ultimo, è evidente che qualsiasi ragionamento sui
numeri e sulla tenuta nei tre gradi non dovrebbe trascurare il problema
delle condizioni di lavoro e del contesto di sistema nel quale interveniamo
e che pesantemente condiziona la nostra possibilità di fare effettivamente
del nostro meglio. 

Voglio dire che un dato statisticamente molto negativo non è univocamente
segnale di un cattivo lavoro investigativo, ma è sintomatico di un problema.

La prospettiva di fondo dovrebbe essere quella di aiutarci a lavorare meglio
e in modo efficace e non di puntare il dito contro qualcuno.

 

Detto questo, arrivo allora alla riflessione che mi preme di più fare.

 

Abbiamo fatto spesso gli struzzi.

Siamo rimasti chiusi nella nostra cittadella, senza governare e prevenire
adeguatamente le inefficienze, le cadute di professionalità e la sciatteria
che talora si manifesta nel nostro ambiente e nella nostra quotidianità.

Come sempre accade e come accadrà sempre di più nel futuro, laddove non
abbiamo saputo intervenire noi con intelligenza, rischia di arrivare una
soluzione politica all’insegna del populismo, fatta di banalizzazioni e
capri espiatori per problemi complessi.

 

Prendiamocela pure con queste ricette fatte solo per la propaganda e che non
risolvono nulla, ma scaricano solo su di noi i problemi veri e presunti del
sistema.

Se ci limitiamo però a dire “NO” a queste soluzioni facili e sbagliate,
l’ondata populista arriverà comunque e travolgerà anche il nostro lavoro e
il nostro autogoverno.

Ci rimetteremmo noi e ci rimetterebbe la qualità della giustizia.

 

Io penso che la difesa della nostra autonomia e indipendenza passa invece
proprio dal farsi carico in modo responsabile e intelligente di queste
sfide.

 

 

Marco Imperato

Sostituto Procuratore della Repubblica di Bologna 

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