[Area] Una riflessione su indagini e comunicazione

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Ven 27 Dic 2019 15:26:27 CET


_Un articolo di Emilio Sirianni a proposito della recente operazione
diretta dalla DDA di Catanzaro e le notizie comparse sulla stampa_.  

Nei giorni scorsi un imponente provvedimento cautelare ha scosso il
mondo politico calabrese. Prudenza istituzionale e rispetto per i
diritti delle persone coinvolte vorrebbero che i commenti si ispirassero
a grande cautela. 

Sia perché formulati a carte coperte, discutendosi di atti non
accessibili alla pubblica opinione, sia soprattutto perché relativi ad
una fase aurorale del processo penale, il cui svolgimento e conclusione,
nel caso concreto, richiederanno diversi anni. 

Dalle cronache, tuttavia, parrebbe emergere la conferma della profondità
e diffusività della metastasi criminale che soggioga la Calabria e non
si può non provare un senso di gratitudine verso forze dell'ordine e
magistrati che si sono spesi nel difficile lavoro d'indagine, a prezzi
che sono sempre tremendamente alti. 

Ciò detto, chi ha a cuore le garanzie e i diritti scolpiti nella nostra
Costituzione deve conservare la lucidità e il coraggio necessari per
denunciare, là dove ne avvengano, violazioni di quei diritti e di quelle
garanzie. Che possono venire non solo dal mancato rispetto delle norme
del procedimento penale, ma anche dalla gestione mediatica dello stesso.


Questione controversa come poche altre quella dei rapporti fra
magistrati, in particolare pubblici ministeri, e media, che puntualmente
si ripropone. Al fondo sta la presunzione costituzionale d'innocenza,
che dal processo mediatico può subire lesioni non meno gravi di quelle
che potrebbe patire nel processo penale vero e proprio. 

È un rapporto controllato-controllore, quello che si instaura fra
autorità giudiziaria e organi di informazione, garanzia di trasparenza
nell'esercizio dei poteri che fanno capo alla prima. Cui consegue anche
un «dovere di informazione» da parte di quella stessa autorità
(affermato dalla Cedu sin dal 1979). Un'acuta giornalista come Donatella
Stasio ha osservato: «È necessario che la giustizia sia trasparente e
comprensibile, che sappia parlare al cittadino e, dunque, comunicare,
cosa ben diversa dal rincorrere il consenso popolare». Simili
riflessioni vengono alla mente leggendo le dichiarazioni del dirigente
dell'ufficio di procura che ha condotto l'importante indagine di cui si
parlava all'inizio e che non mi pare siano state smentite. 

Egli avrebbe dichiarato di avere svolto le proprie funzioni di
procuratore guidato, sin dall'inizio, dall'idea di «smontare la Calabria
come un treno Lego e poi rimontarla piano piano», parlato di «giornata
importante e storica, non solo per la Calabria» e collocato l'operazione
in una graduatoria di portata storica: «La più grande operazione dopo il
maxi processo di Palermo». Si è lamentato di una sorta di boicottaggio
della notizia, distinguendo fra i giornali che l'hanno coraggiosamente
collocata in prima pagina e quelli che l'hanno relegata all'interno. Ha
descritto le condizioni della procura, nell'anno in cui ne ha assunto la
guida, come quelle di un ufficio «disorganizzato», popolato da «tristi»
sostituti e da una polizia giudiziaria senza entusiasmo. Ufficio che, di
nuovo, egli avrebbe «smontato» e ricostruito dalle fondamenta. Attività
di smontaggio e rimontaggio che avrebbe esteso all'intera Giustizia se
fosse stato investito - come alcuni anni fa si paventava - del ruolo di
ministro guardasigilli. 

Le ricordate dichiarazioni, oltre che poco riguardose verso il
procuratore facente funzioni che lo ha preceduto e che risulta averle
svolte con diligenza e competenza e verso i molti sostituti che vi
lavoravano e lavorano rifuggendo palcoscenici mediatici, ledono la
dignità del cittadino indagato o imputato. Non solo di quelli dello
specifico procedimento, ma di ogni cittadino indagato o imputato, che
dovrebbe essere considerato innocente fino a condanna definitiva che
dica il contrario. Il che imporrebbe, sul palcoscenico dei media, quella
sobrietà di comportamenti e dichiarazioni che altri - primo
l'indimenticato istruttore dell'evocato maxi procedimento di Palermo -
hanno sempre mantenuto. 

Luigi Ferrajoli, al XIX congresso di Magistratura democratica regalò ai
partecipanti 9 massime deontologiche che dovrebbero guidare chi esercita
le nostre funzioni. La sesta massima chiede «il rispetto di tutte le
parti in causa, incluso l'imputato, chiunque esso sia, soggetto debole o
forte, incluso il mafioso o il terrorista o il politico corrotto» perché
«il diritto penale nel suo modello garantista equivale alla legge del
più debole. E … se nel momento del reato il soggetto debole è la parte
offesa, nel momento del processo il soggetto debole è sempre l'imputato
e i suoi diritti e le sue garanzie sono altrettante leggi del più
debole». Diritti e garanzie che saranno sempre esposti a negazioni ed
eclissi, finché l'intera magistratura non mostri d'avere introiettato
questa fondamentale massima. 

EMILIO SIRIANNI
_Presidente della Sezione lavoro della Corte d'Appello di Catanzaro_ 

_Articolo pubblicato da Il Manifesto,_
_il 24 dicembre 2019_

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