[Area] L'iniziativa della Camera Penale di Milano

mario ardigo marioardigo a yahoo.com
Sab 1 Feb 2020 09:18:36 CET


   L'avvocatura associata ha imparato da noi magistrati a  manovrare politicamente. La magistratura in passato ha però sempre avuto più possibilità perché collaborava negli uffici ministeriali alla progettazione legislativa. Così l'avvocatura può aver avuto la sensazione di legislazione che veniva sfilata e infilata nei suoi codici d'udienza per azione della magistratura (e ora, con la fibrillazione legislativa che c'è, un codice dura sei mesi al più, e certe leggi addirittura pochi giorni). Oggi tuttavia le politiche della giurisdizione potrebbero avvantaggiarsi di una cultura comune tra avvocatura e magistratura. Ma questa sinergia è ostacolata dal clima di endemica e inutile conflittualità tra le due categorie. Un'esigenza comune dell'avvocatura e della magistratura è quella dell'autonomia dalla politica, nel senso di ripudiare la pretese delle formazioni che partecipano del potere parlamentare e governativo di strumentalizzare la giurisdizione e l'attività di difesa nella  giurisdizione. Ma, paradossalmente, autonomia dalla  politica è possibile solo se ci si eleva ad una autonomia politica,  nel senso di capacità e possibilità di indipendente e raziocinante  valutazione e applicazione dei principi. Quando in Costituzione si tratta di autonomia  della giurisdizione la si intende in entrambi quei sensi. La magistratura ha avuto, in Italia, una importante occasione di sviluppare il principio di autonomia a seguito dell'effettiva istituzione, nel 1956, della Corte Costituzionale e poi delle corti internazionali europee: questo ha consentito  di sindacare in sede giurisdizionale anche la legislazione alla luce dei principi supremi presidiati da quelle corti. Analoghe opportunità ha avuto in quel campo l'avvocatura e le ha messe a frutto. Altri fattori che hanno consentito questo sviluppo dell'autonomia della giurisdizione sono stati l'accesso alla magistratura delle donne e dei ceti non borghesi, a seguito dalla scolarizzazione di massa, fenomeni che risalgono  agli anni '60, con la conseguenza che i principi fondamentali cominciarono ad essere interpretati sotto una luce diversa dall'impostazione maschilista e borghese del passato. E, infine, l'accentuato processo di delegificazione, e il correlativo grande sviluppo della normativa secondaria, il cui sindacato diretto, mediante disapplicazione, non è vietato alla magistratura come per le leggi formali, e la possibilità di disapplicazione giudiziaria di normativa italiana contrastante con quella dell'Unione Europea suscettibile di immediata applicazione. Ciò è stato un'opportunità anche per l'avvocatura, che ha avuto nuovi spazi di difesa dei diritti civili. Possiamo distinguere storicamente vari atteggiamenti politici prevalenti nella magistratura, nel senso che ho spiegato:- fino alla metà degli anni '60 una giurisdizione che esprimeva fondamentalmente i principi dominanti nel ceto borghese, quindi secondo il punto di vista di quel ceto;-fino all'inizio degli anni '80 una giurisdizione che si presentava conservatrice ai vertici e di ispirazione sociale, nel senso dei principi costituzionali, nei gradi di giurisdizione inferiori (da notare che in questa fase le sinistre socialista e comunista esprimevano una forte critica della giurisdizione, da cui la polemica per una giustizia giusta  e per la modifica del regime di responsabilità civile professionale);-fino all'inizio degli anni '90, sviluppo dell'anti-mafia con emersione dei collegamenti illeciti con la politica e la conquista della capacità di autonomia dalla  politica anche in quel senso;-fino a una decina d'anni fa, reazione della politica parlamentare e di governo contro l'esercizio della giurisdizione, essenzialmente per i suoi sviluppi nel ramo penale, e azione politica della magistratura associata per contenerla, ottenendo qualche risultato essenzialmente perché la politica parlamentare e di governo, per quanto travagliata dalla giurisdizione, non ne poteva fare a meno e, occasionalmente, tentava anche di poterla strumentalizzare per mantenere la presa politica sull'elettorato. Una decina d'anni fa la situazione politica e sociale in Italia ha cominciato rapidamente a cambiare, con esiti che gli storici del futuro probabilmente definiranno propriamente rivoluzionari, in particolare per il ricambio quasi completo e veloce del ceto politico di vertice, come anche delle ideologie prevalenti. Questo ha portato la magistratura e la sua giurisdizione ad essere l'unica vera cerniera ideologica tra il passato e il presente, e, quindi, ad un'ulteriore  forte accentuazione del suo ruolo politico (non partitico, di fazione). I principi ideologici che un tempo uscivano dalle segreterie di partito oggi li troviamo scritti nelle sentenze delle corti di vertice nazionali e di quelle internazionali, a partire dai principi di uguaglianza e ragionevolezza. I legislatori li imparano da quelle fonti. La giurisdizione si presenta quindi come un potere in fase espansiva. Nella disarticolazione che caratterizza i processi di fatto rivoluzionari, questa dinamica suscita la tentazione di contrastarla con atti di forza da parte degli altri poteri. Questa azione non può farsi agendo sui principi, che sostanzialmente sono ancora saldamente in mano della giurisdizione, e allora una delle vie per svilupparla è agendo sullo stato giuridico dei magistrati, sulla loro condizione come impiegati pubblici che, per rendere effettiva l'autonomia della giurisdizione, presenta elementi di garanzia particolari, come la stabilità assoluta del posto di lavoro, stipendi buoni, un'organizzazione interna che attenua o addirittura, per i giudici, sopprime il principio gerarchico. Oggi, ad esempio, preoccupa la proposta di una automatismo disciplinare, per processare il magistrato che non riesce a rispettare i tempi del procedimento ideati dal legislatore in maniera piuttosto rigida e senza tener conto della realtà: è la via di ridurre i tempi della giustizia scrivendoli  più brevi in una legge, cose che magistrati e avvocati sanno bene che di solito non produce ciò che ci si propone, e processando  automaticamente in sede disciplinare chi fallisce, nel presupposto di sua incapacità o pigrizia. E' un  meccanismo che non è previsto nemmeno per gli alti dirigenti statali. Questo preoccupa la magistratura, perché chi è negli uffici con più alto carico di lavoro, lavoro che arriva senza tener conto delle capacità di smaltimento degli uffici, rischia di dover perdere un sacco di tempo anche a difendersi nel disciplinare, raccogliendo documentazione, preparando atti e via dicendo. Perché, se si perde troppo tempo nel motivare i propri provvedimenti, ma presto e bene raro avviene si dice, si rischia di sforare i tempi di legge e di andare sotto procedimento disciplinare, ma se si confezionano motivazioni troppo stringate o addirittura apparenti  che ciascun magistrato può senz'altro redigere in pochi minuti, poi si rischia, perché appunto presto e bene raro avviene, il disciplinare per il motivo opposto. Ma questo sarà poi funzionale al più efficiente esercizio della giurisdizione, ciò che è interesse comune di avvocatura e magistratura, ma in definitiva di tutti i cittadini? Purtroppo avvocatura e magistratura si sono abituate da tempo a fare da sé e diffidano l'una dell'altra. Le ragioni di questo affondano negli anni '70, quando la polemica era tra avvocatura progressista  e magistratura borghese. Ha preso un'altra piega dagli anni '80, quando, nel pieno sviluppo di processi di riforma istituzionale, si iniziò la progettazione di una nuova procedura penale, e poi non finì più perché quella progettazione apparve infinita, in quanto la nuova codificazione della procedura penale deliberata nel 1988 ed entrata in vigore l'anno successivo non funzionò mai veramente bene, in particolare perché richiedeva strutture e risorse incomparabilmente superiori a quelle in concreto esistenti, per cui, ad esempio, l'oralità del processo penale andò presto a ramengo quando si resero necessarie, per il carico dei ruoli e per il maggior tempo richiesto per l'acquisizione delle prove in giudizio, sospensioni dei dibattimenti di diversi mesi.   In sostanza l'avvocatura sospetta che la magistratura abusi del suo ruolo politico per influire nelle riforme e cerca di reagire. Poiché però avvocatura e magistratura hanno una sensibilità comune sui principi fondamentali e umanitari, questo è ciò che unisce fortemente le due categorie, e entrambe ripudiano la strumentalizzazione di fazione politica, e questo è un  altro elemento comune molto importante, quindi su quei temi che polemica può farsi?,  allora, quando si vuole altercare tra le due categorie, si fa questione di stato giuridico dei magistrati e a questo si replica con punzecchiature fastidiose. La situazione può rapidamente degenerare per amore di battuta, per così dire. Eppure la giurisdizione mai come  oggi è affidata alla virtù di chi la pratica, la conosce a fondo perché la pratica, e, a volte a differenza di altre categoria di frettolosi riformatori, ha anche qualche valida idea sul che fare per mantenerla integra ed efficiente, anche in tempi di veloci cambiamenti tutt'intorno.  Al fondo però vedo questo: in una situazione politica in rapido mutamento, credo che avvocati e magistrati siano interessati a fare fronte comune, sulla base del molto che li unisce, per garantire che, nel bailamme che si nota nella società in cui siamo immersi, almeno la normazione su giurisdizione, avvocatura e magistratura mantenga una certa coerenza sui principi fondamentali, e ottenga risorse e criteri organizzativi che siano in linea con l'esigenza di un servizio giustizia ragionevolmente efficiente; ed oggi mi pare che motivi di insoddisfazione, a parte alcune isole felici, per così dire, vi siano. Insomma, in particolare mettendosi nei panni di chi esercita la difesa giudiziaria nell'avvocatura, ed è bene sapersi mettere nei panni degli altri, bisogna riconoscere che talvolta il mestiere dell'avvocato è difficile, penoso, faticoso, specialmente nel penale dove l'informatizzazione del processo è ancora ai primordi.  Come ho scritto, autonomia dalla  politica è anche autonomia politica e quest'ultima richiede anche di saper unire ciò che per natura è unito, mentre ora appare innaturalmente in polemica: avvocatura e magistratura. L'unione fa la forza, si dice.  Abbiamo principi comuni, un'etica comune, esigenze comuni, una sapienza pratica comune che nasce dal costante reciproco frequentarci: mi piacerebbe che potessimo abbandonare l'arte adolescenziale della battuta polemica fatta in fondo per vedere l'effetto che fa, e riprendere a parlarci come persone colte,  mature, animate da alti principi ed anche  da quell'amor di patria, perdonate la retorica ma sono ultrasessantenne e mi è uscito dal cuore, che induce a ripudiare l'idea del tanto peggio per gli altri tanto meglio per noi.Mario Ardigò
    Il venerdì 31 gennaio 2020, 22:35:14 CET, elena. rivacrugnola <elena.rivacrugnola a giustizia.it> ha scritto:  
 
 concordo con ilio e con gianfrancoelena riva crugnola From: Gianfranco Gilardi Sent: Friday, January 31, 2020 4:49 PMTo: Paolo Ielo Cc: AreAperta Subject: Re: [Area] L'iniziativa della Camera Penale di Milano Credo che si possa continuare a ricercare la costruzione di ponti, anche con il richiamate  alle proprie responsabilità chi si rifiuta di farlo o cerca di demolirli. Certo, non è facile; ma non vedo altra via.Gianfranco Gilardi
  Il Ven 31 Gen 2020, 16:10 Paolo Ielo <paolo.ielo a giustizia.it> ha scritto:

  
​mi sono espresso male: ci mancava pure che l'ANM non reagisse con fermezza.

 
 
 
mi riferivo a nessun dissenso pubblico da parte dell'avvocatura ( non ricordo male affatto) che era il punto di discussione

 
 
 
p.

   Da: Angelo Renna
Inviato: venerdì 31 gennaio 2020 15:45
A: Paolo Ielo; Ilio Mannucci Pacini; area a areaperta.it
Oggetto: Re: [Area] L'iniziativa della Camera Penale di Milano   Caro Paolo, 
Ricordi male, il pubblico dissenso c’è stato.
Poichè da componente Gec ho contribuito a scriverlo rimando qui il comunicato dell’ANM non solo “in aiuto alla memoria” ma per onorare Francesco Saverio Borrelli nella ricorrenza di quella per me, e per molti, fu l’ indimenticabile inaugurazione dell’anno giudiziario del “resistere resistere resistere, come su una irrinunciabile linea del Piave”.

“L’ Anm Sul comunicato Ucpi in ricordo di Francesco Saverio Borrelli

Leggiamo sdegnati  il comunicato della giunta delle camere penali, diffuso oggi, a preteso ricordo di Francesco Saverio Borrelli.
Sconcerta che un organismo  rappresentativo del ‘avvocatura italiana ignori le regole elementari del rispetto,  persino nel giorno del lutto, che la migliore parte del paese, a cominciare dal Presidente della Repubblica, ha dolorosamente manifestato per la scomparsa di un gigante della storia repubblicana, come Francesco Saverio Borrelli.  E lo faccia, peraltro, con la più bieca e triste polemica, con un insieme di rozzi luoghi comuni, accostando volgarmente episodi e fatti, con un intento di polemica politica che sconcerta e offende la persona, la memoria, la storia, le istituzioni, e l’intera Magistratura.
Ci conforta sapere che altro è il rispetto che i singoli avvocati hanno mostrato oggi, sfilando in toga davanti al feretro del nostro Saverio.”

  Da: Area <area-bounces a areaperta.it> per conto di Paolo Ielo <paolo.ielo a giustizia.it>
Inviato: venerdì 31 gennaio 2020 15:09:53
A: Ilio Mannucci Pacini; area a areaperta.it
Oggetto: Re: [Area] L'iniziativa della Camera Penale di Milano    
Ilio,

 
ti conosco da troppo tempo e, sul tema, ti riconosco una coerenza assoluta. 
 
Ho vissuto e lavorato per lungo tempo a Milano e, in questa ultima esternazione, non riconosco l'avvocatura milanese della quale io ho uno splendido ricordo.

 
Rilevo, però, che negli ultimi anni, e qui il mio riferimento all'avvocatura milanese finisce, non vi è stata occasione in cui le camere penali non abbiano attaccato a testa bassa il mestiere di magistrato che non corrisponda alle loro, legittime e discutibilissime, aspirazioni, fino alle ignobili ( e mi limito, per non riempire la mail di aggettivi qualificativi dispregiativi) esternazioni successive alla morte di Francesco Saverio Borrelli, che, se non ricordo male, all'epoca del suo pensionamento salutasti nella tua qualità di Presidente della locale ANM.

 
E non ho sentito alcuna voce di pubblico dissenso, diversa da voci di corridoio.

 
Nessuno che abbia un minimo di raziocinio può dubitare del fatto che applicare sanzioni disciplinari ai magistrati che eccedano i tempi previsti dal processo sia idiozia pura. 
 
Ma era una soluzione che piaceva, perché nutriva la narrazione che la lunghezza dei processi è colpa dei magistrati, e non ho sentito alcuna voce di dissenso, neppure anonima.
 
Per stare alla tua splendida immagine: nessun ponte tibetano può tenere se da uno dei lati c'è qualcuno che sega le corde, invece di dare una mano a chi sta tentando di attraversarlo.
 
Con affetto ( vero, non quello che in qualche mail sembra dire "non capisci una cippa")
 
Paolo  

   Da: Area <area-bounces a areaperta.it> per conto di Ilio Mannucci Pacini <ilio.mannuccipacini a giustizia.it>
Inviato: venerdì 31 gennaio 2020 14:53
A: area a areaperta.it
Oggetto: Re: [Area] L'iniziativa della Camera Penale di Milano       Ho esitato molto prima di rendere pubblico un post che ho pubblicato in questi giorni su facebook.   Ho esitato perché convinto che in quest’epoca di muri (muri che anche domani si costruiranno e si rinsalderanno in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario di Milano, e forse altrove, muri di magistrati, chiamati a raccolta dall’ANM locale per esprimere fisicamente la propria solidarietà a Piercamillo Davigo, e di avvocati, chiamati a raccolta dalla Camera Penale locale) i gesti che tentano di costruire ponti (ponti tibetani, per usare le parole di Glauco Giostra, il cui libricino sul processo penale consiglio di leggere) sono visti con diffidenza se non con ostilità (e, quindi, contribuiscono a rinsaldare i muri).  Però, alla fine, la mia tradizione nonviolenta mi fa rompere gli indugi: sono i momenti più difficili quelli in cui non si può tacere (accettando di raccogliere gli sberleffi).  Sono poche righe, il rivendicare con orgoglio la mia testardaggine nel tentare di costruire ponti tibetani In questi tempi di conflitto, non è sufficiente dialogare, è necessario “fare” insieme, per me è rimasta l’unica speranza per migliorare il nostro fare giustizia, e proprio a Milano, magistrati e avvocati, insieme e con altri, proviamo a farlo, senza preoccuparci di appartenenze, confrontando le diversità, con rispetto di ruoli e posizioni
Ilio Mannucci Pacini_______________________________________________
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