[Area] Settimana Santa in famiglia - lungo -solo per chi è interessato alle polemiche sulle limitazioni alle liturgie per ragioni sanitarie

mario ardigo marioardigo a yahoo.com
Lun 6 Apr 2020 10:25:09 CEST


Settimana Santa infamiglia

 

 Affronto il tema religioso della cosiddetta “Settimana Santa” perché daquello che ho letto su questa lista penso possa interessare alcuni. Di questitempi sta anche assumendo un connotato politico. 

 Con l’espressione “Settimana Santa” si indica una serie di liturgie inpreparazione della celebrazione della Pasqua cristiana, che avviene di domenica,precisamente quella che segue la  primaluna piena successiva all’equinozio di primavera. Esse, tra i cattolici,  vanno dalla domenica che precede quella diPasqua, detta “delle Palme”, alla Veglia pasquale che si celebra con inizio nel Sabato Santo, il giorno che precede ladomenica di Pasqua.

 Queste liturgie sono molto importanti nelle concezioni teologiche deicristiani, perché celebrano la convinzione che la morte sia vinta e dunque un senso nuovo per la vita.Esse, come ha ricordato ieri Alberto Melloni su La Repubblica, sono innanzitutto  azioni di popolo, questo appunto significa l’etimologia greca della parola “liturgia”, ma, nella religionecattolica e in altre confessioni cristiane, vi hanno indubbiamente un ruoloimportante coloro che hanno ricevuto uno specifico mandato per la predicazionee, dove se ne è mantenuta l’istituzione, per la celebrazione sacramentale. Comeazioni di popolo richiedono che lagente converga per parteciparvi. Non sono semplici spettacoli a cui si assista,per cui, in definitiva, lo si possa fare di persona o per via telematica, indiretta o in differita. Questo crea grossi problemi di questi tempi, in cui,per ragioni sanitarie, si è disposto il divieto di simili celebrazioni conafflusso di altre persone oltre ai celebranti e ai loro assistenti.

  Da più parti si sono posteobiezioni in ambito cattolico, in particolare innanzi tutto dagli studiosi didiritto canonico ed ecclesiastico. Ci sono infatti dei limiti costituzionali aciò che la Repubblica può disporre in materia religiosa. 

 Altre obiezioni sono venute da coloro che sono legati a una concezionedella Chiesa secondo la quale tutte le liturgie sono monopolio di una classe disacerdoti ordinati, con tutti gli altri relegati in una posizione per così direaccessoria, per cui possono esserci o non esserci,  e vedono quindi consospetto quelle eventualmente celebrate da laici in contesti di famiglia, equesto anche se nella teologia cattolica si è da qualche decennio moltoaffermata, sulla base di antiche tradizioni, l’idea della famiglia come Chiesa domestica. Tra chi pone questoproblema ci sono anche  esponenti delclero e dei religiosi, che vivono le misure di prevenzione che limitano leliturgie religiose come una coartazione illegittima del loro potere sul popolodei fedeli e temono il conseguente disordine nella Chiesa, e, in particolare,  che, una volta che i laici abbiano imparato afare da sé, poi mantengano la pretesa di continuare anche finita l’emergenzasanitaria. 

 Da questi ambienti viene ciclicamente lanciata a chi dissente dalle loroposizioni l’accusa di protestantizzazione,che significa voler imitare le consuetudini liturgiche dei protestanti, tra iquali, in genere, c’è sicuramente maggiore capacità del popolo dei fedeli  di fare da sé, innanzi tutto per una maggioreconsuetudine con la riflessione biblica e poi per la loro specifica tradizione.In realtà, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, tra i cattolici siè molto imparato dai protestanti, e direi anche, per quello che ne so, che  si è imparato gli uni dagli altri, per cuivedo che in genere si è diventati amici, venendo da un passato molto diverso everamente orrendo. 

  Per rendere l’idea del problema,ricordo che, alla fine degli anni ’80, si svolse, nella Diocesi di Milano, unaprocedura canonica dopo che un periodico cattolico aveva rivolto a GiuseppeLazzati, morto da poco,  l’accusa didegenerazione protestante e un gruppo cattolico aveva denunciato il fatto alVescovo chiedendo giustizia. Io da giovane mi ero formato anche in quel gruppoe certamente se qualcuno dicesse che ho imparato dai protestanti certamente nonmi sentirei affatto diffamato, anzi ne sarei lusingato. In particolare stimomolto i protestanti italiani, dei quali so di più, e questo pur rimanendo parteviva della Chiesa cattolica.  E, infatti,ho effettivamente imparato dai protestanti, in particolare dal pensiero di ungrande loro teologo, Karl Barth, per quanto ne sono stato capace di capire comepersona che cerca di essere colta ma che ha solo una competenza teologica dibase, di prima informazione. Aggiungo che più conosco i protestanti italiani, eora che lavoro a due passi dalla libreria Claudiana Roma avevano iniziato adapprofondire questa conoscenza (ora è chiusa come le altre librerie), più listimo.  E, insomma, anche nei discorsisulla questione del divieto delle liturgie pubbliche nella Settimana Santa chesi è aperta ieri, si è sentita quell’accusa di protestantizzazione di cui dicevo. 

 Per finire si è aggiunta la polemica politica di un esponente dell’opposizionecontro il Governo, mediante la qualche modo appare che si sia cercato di darepiù voce e copertura a chi, tra i cattolici italiani, vorrebbe la rimozione o l’attenuazionedel divieto di liturgie pubbliche. Si tratta, vorrei ricordare,  anche di una polemica con i vescovi italiani,che hanno aderito pienamente all’impostazione governativa, vietando liturgiecon afflusso di popolo, riconoscendo assolutamente giustificate le misure diprevenzione sanitaria disposte dall’autorità civile. Quindi la polemica daparte di quegli ambienti cattolici di cui dicevo, condotta talvolta  con toni particolarmente aspri, ha anche unaspetto intra-ecclesiale e si rivolge pure contro il Papa in carica, vescovo diRoma.  

 Le chiese parrocchiali cattoliche comunque, e solo quelle, rimangonoaperte e vi si può andare a pregare individualmente, nel rispetto deldistanziamento prescritto dalle disposizioni governative. Va ricordato che unapratica molto importante tra i cattolici è quella dell’adorazione religiosa  fatta in chiesa, in forma individuale ecollettiva: questo comporta che le chiese cattoliche, in particolare quelleparrocchiali, sono solitamente aperte per gran parte del giorno, naturalmentedove vi sia gente sufficiente per svolgervi il servizio di aprire, presenziaree chiudere, svolto da preti, religiosi o laici, perché anche l’adorazione fattain quel modo rimane una liturgia,quindi un’azione di popolo, sebbenenon avvenga nel corso di una specifica celebrazione, come quella che qualchegiorno fa ha concluso la spettacolare preghiera straordinaria del Papa inoccasione dell’epidemia, svolta sul sagrato della basilica di San Pietro, neldeserto di popolo. L’adorazione, in definitiva, non è come quando si va incerte lavanderie automatiche, in cui non ci sono addetti, ma solo le macchine,e uno va, fa quello che vuole fare e se ne va, in un’azione self service. Per come mi è statoinsegnato fin da piccolo, quando si prega lo si fa sempre in unità di preghiera, e quindi anche nel chiuso della propriastanza o in una chiesa deserta  si è popolo. 

 Di questi tempi, si cerca di supplire alle celebrazioni liturgichecattoliche in chiesa con  partecipazionefisica del popolo con quelle trasmesse via network. Il popolo assiste da casa ei preti celebrano nelle chiese deserte. A volte vi è la presenza di altrepersone, laiche e non,  che svolgono unqualche altro ministero, come quello dell’accolito, del ministrante  o del lettore, ma di nessun altro.  E’ la stessa cosa? Non è la stessa cosa. Lo haricordato l’arcivescovo di Milano qualche giorno fa nel suo Messaggio di speranza per questa Pasqua 2020:

«Quandole celebrazioni sono state impedite, quando sono state sostituite datrasmissioni televisive, quando ogni prete ha dovuto inventarsi un qualche modovirtuale per entrare nelle case, per far sentire un segno di prossimità e dipremura pastorale, quando catechisti e catechiste, educatori e ministristraordinari hanno raggiunto i “loro ragazzi”, i “loro malati” tramite ilcellulare, i credenti hanno percepito che mancava la cosa più importante. Sì,sono gradite la premura, la parola buona, la frase del Vangelo; sì, aiuta laproposta di non perdere tempo, di rendersi utili in casa e dove si può. Sì,tutto vero. Ma trovarsi per la celebrazione della messa, cantare, pregare,stringere le mani amiche nel segno della pace, ricevere la comunione ètutt’altro. Di questo sentiamo la mancanza. Quando abbiamo fame, non potremomai sfamarci guardando una fotografia del pane. Quando siamo sospesisull’abisso del nulla, l’espressione intelligente “credente ma a modo mio,credente ma non praticante” suona ridicola, un divertimento da salotto,impropria là dove per attraversare la tempesta abbiamo bisogno di una presenzaaffidabile, di un abbraccio, di una comunione reale con Gesù, per essere nellavita di Dio. Niente di meno. Poter “andare a messa” sarebbe il segno che ètornata la normalità non solo nella libertà di movimento, ma nella convinzioneche non si tratta di buone abitudini, ma di una questione di vita e di morte.Il pane della vita non è infatti una bella frase, ma la rivelazione che senzaGesù non possiamo fare niente: le buone idee, la buona educazione, i buonipropositi sono tutte cose importanti. Ma abbiamo bisogno di una parola cheillumini il nostro passo, di un credere che sia vivere della relazione decisivacon Dio, di uno spezzare il pane della vita per non morire in eterno. Abbiamobisogno di diventare un solo corpo e un solo spirito spezzando l’unico pane. Sein questo tempo abbiamo provato l’emozione di pregare insieme in casa, abbiamoimparato che è possibile, che unisce, che non esaurisce il desiderio diincontrare il Signore e anzi fa crescere il desiderio di “andare a messa”. Sideve raccomandare che nella “chiesa domestica” si conservino sempre i ritidella preghiera e che il ritrovarsi in casa aiuti a sentirsi parte della grandeChiesa che ci raduna da tutte le genti.»

  E tuttavia, lo ha ricordato Melloni nell’articoloche ho citato, in realtà le famiglie cattoliche, costrette nel loro limitatoambito ma pur sempre Chiese domestiche,non sono veramente obbligate a limitarsi alla partecipazione televisiva aliturgie celebrate dai preti da soli, in chiese vuote, in definitivalimitandosi ad assistere più che partecipare. Dovunque il popolo si raduni con l’intentodi fare Chiesa, di celebrare la Parola, di condividere vita e pane, lì esso ègià sacramento (nel senso inteso dai cattolici), è Chiesa  (secondo laconcezione condivisa dai cristiani). E’ così che accade nei tanti luoghi dovela presenza del prete non può che essere che estremamente saltuaria oaddirittura non vi possa proprio essere, perché, ad esempio, impedita dallapolitica del luogo. I cattolici, in particolare, hanno la convinzione teologicache “la Chiesa è, inCristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumentodell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano” [espressione che apre la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le genti, deliberata dalConcilio Vaticano 2° (1962-1965)]. E’ scritto infatti: «Perché, se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome,io sono in mezzo a loro» [Vangelo secondo Matteo 18, 20].  Quest’idea che si è Chiesa radunandosi nel nome delFondatore, condividendo la Parola e il pane, mi pare che sia condivisa dallealtre Chiese cristiane, a prescindere dalle antiche questioni teologiche sullaquestione dei sacramenti.  Il problema,naturalmente, sta nella capacità delle famiglie di auto-organizzare liturgiedomestiche e, in questo campo, certamente potremmo imparare molto dagli amiciprotestanti. In realtà, in genere, tra i cattolici si è ancora molto, troppo(lo riconoscono gli stessi preti), dipendenti dal clero, per cui se non c’èfisicamente un prete tra noi spesso non sappiamo che fare. E si è persa anche l’anticae un tempo radicatissima consuetudine liturgica del Rosario recitato infamiglia. Dico questo anche se in diversi gruppi cattolici, di variaspiritualità, si è  acquisita quellacapacità, vi è anche una specifica attività di formazione. Non si tratta difare a meno dei preti, ai quali  ingenere i cattolici rimangono molto legati, ma di aggiungere ciò che di questitempi, per le misure sanitarie di contenimento in atti, non è possibileottenere nelle nostre chiese, perché non ci si può andare tutti insieme, inmolti, ciò che appunto  si può conseguirefacendoci Chiesa domestica negliambienti in cui si è confinati. 

  Siamo nel mezzo di un pericolo molto grave.Le misure di contenimento sanitario delle autorità pubbliche sono giustificate.La malattia virale che dobbiamo fronteggiare è molto contagiosa e può causaregravi conseguenze per la salute  e anchela morte, ma il distanziamento sociale, il confinamento sociale e la deconcentrazionesociale dove il confinamento sia impossibile, così come le prescrizioneigieniche di non toccarsi occhi, naso e bocca con mani non accuratamente lavatee di areare spesso gli ambienti chiusi dove si soggiorna, così come di cercaredi coprirsi naso e bocca dove non sia possibile mantenere un distanziamentointerpersonale minimo, valgono sicuramente, ce lo dicono gli esperti, a ridurremolto il pericolo di contagio. Alcune importanti consuetudini liturgiche vannocontro quelle prescrizioni, dove comportino ad esempio il riunirsi in tanti inambienti chiusi poco areati, e di scambiarsi abbracci, baci, strette di mano, odi passare  alimenti e bevande di mano inmano o  di condividere  calici: ma quando è questione di vita o dimorte sarebbe insensato oltre che una cosa cattiva mantenerle. Né siamo obbligati,anche da persone persuase della loro fede, a condividere certe convinzionimagico sacrali dei secoli antichi. La salvezza non ci verrà per azioneprodigiosa, magico-sacrale, non illudiamoci, se non per quel grandissimoprodigio che è l’agàpe in sensocristiano, che si ha quando, abbandonando il servaggio alla crudele naturadalla quale biologicamente discendiamo e che ci determina, non agiamo più comele antiche belve nostre progenitrici secondo la carne, ma esercitandomisericordia, benevolenza e soccorso anche oltre le nostre tribù familiari oetniche, secondo ciò che in religione ci è stato insegnato sul senso di quell’espressioneche fa “Padre nostro” e che tanto ricorre nel nostro pregare da cristiani, ma acui spesso si mostriamo impari.

Mario Ardigò 

  

 

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