[Area] I rischi dell'udienza telematica: la lettera di Luca Semeraro

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Mar 14 Apr 2020 10:36:43 CEST



 

I rischi dell’udienza telematica: la lettera di Luca Semeraro

 

Con il consenso dell’autore, rendiamo pubblica la lettera inviataci da Luca
Semeraro, con cui viene sottoposto a critica il nostro documento intitolato
“I rischi dell’udienza telematica”, che ripubblichiamo a seguire.

Le critiche di Luca – così come gli altri interventi, favorevoli e contrari,
che si sono susseguiti finora – offrono un’importante occasione di
discussione e di approfondimento.

Abbiamo sempre ritenuto l’apertura al confronto una cifra qualificante del
nostro modo di intendere l’impegno associativo. Vorremmo, infatti, essere
fautori di un associazionismo plurale e composito, che si nutre e
arricchisce tanto dei contributi collettivi quanto di quelli individuali.

Le osservazioni di Luca ci stimolano ad offrire una risposta sui temi
oggetto del nostro documento, frutto di una riflessione condotta all’interno
e all’esterno dell’esecutivo.

Nel frattempo, auspichiamo che il dibattito possa proseguire in maniera
approfondita, anche favorito dall’attuale condizione di lockdown, che ci
consente una possibilità di sedimentazione, di approfondimento e di
attenzione in altri tempi sconosciuta.

 

L’Esecutivo di Magistratura democratica

 

 

 

1. La lettera di Luca Semeraro

 

Al Presidente di Magistratura democratica

Al Segretario di Magistratura democratica 

Ai colleghi dell’esecutivo 

 

Carissimi colleghi, ritengo necessario esprimere il mio dissenso dal
documento dal titolo “I rischi dell’udienza telematica”. 

Premesso che la tutela e la garanzia “al massimo” dei diritti e delle
libertà è un valore condiviso, parto dal titolo del documento.

Ad un gruppo che usa i social network, che pubblica una rivista on line e si
avvale (o si avvaleva) di un esperto di comunicazione, non può sfuggire
l’importanza del titolo del documento: è la sintesi del messaggio, quello
che si vuole sia ripreso, anche dai media, con immediatezza. 

Dunque, l’udienza telematica è rischiosa: cioè pericolosa, perché comporta
la probabilità di un danno (cfr. Vocabolario Treccani).

Il titolo spara, quindi, subito il giudizio negativo dell’esecutivo di
Magistratura democratica sull’udienza telematica. 

Tale giudizio negativo è stato espresso in tempi di emergenza quando si sta
cercando, anche con notevoli sforzi, di non bloccare tutta l’attività
giudiziaria, ricorrendovi in casi limitati e proponendo ampliamenti in
specifiche procedure; senza valutare che conviveremo con un post emergenza
che non sarà breve ed infine che da questa esperienza dobbiamo trarre le
cose che possono essere molto utili anche per il futuro.

Che si tratti poi di un giudizio negativo sull’udienza telematica, senza
alcuna distinzione di sorta, emerge anche dal contenuto.

Il documento inizia infatti accennando alle udienze telematiche in tempi di
emergenza per tornare poi, per la normalità, al giudizio negativo sulle
modalità telematiche: e lo fa citando esperienze limitate e specifiche di
alcuni settori dei processi civile e penale, come risulta chiaramente dal
riferimento alla conciliazione, alle convalide delle misure precautelari ed
alla partecipazione a distanza. In sostanza, si ribadisce il generale
giudizio negativo erigendo un muro, per il futuro, in base ad alcune fasi
procedimentali senza neanche valutare che ne esistono altre nelle quali i
problemi esposti non si pongono minimamente. Trarre una valutazione
generale, perché tale è, da situazioni particolari è un errore logico; la
scelta dei tempi ed il rifiuto in sé, per me, è un errore politico. 

Perché, ove il legislatore lo preveda, come si chiede da più parti, un
avvocato di Lecce non può chiedere di partecipare a distanza all’udienza di
opposizione all’archiviazione a Milano? Può discutere, magari per 10’, senza
percorrere 1000 km?

Come ha ben spiegato Enrico Consolandi, si tratta di utilizzare un mezzo,
l’informatica con le sue applicazioni, per venire incontro ad esigenze
specifiche: l’informatica non è un fine.

Semmai, proprio l’esperienza delle udienze con imputati presenti con le
modalità della partecipazione a distanza, con i giudici costretti a
contendersi le poche aule attrezzate ed a salti mortali per evitare la
decorrenza dei termini, avrebbe consigliato maggiori aperture. 

 Che il documento esprima un giudizio del tutto negativo sull’udienza
telematica emerge poi chiaramente dalla parte finale del documento, quello
sul modello di giudice. Ora, il riferimento al contatto con l’imputato – è
scritto imputato, quindi si sta parlando del processo penale – è un
romanticismo fuori dalla realtà: l’imputato non è obbligato a presenziare al
processo e può scegliere di non partecipare; normalmente non vi partecipa,
come insegna l’esperienza quotidiana. Nella quasi totalità dei casi i
processi si decidono senza alcun contatto fisico con l’imputato: in alcuni
casi questa è la regola, come nel giudizio di legittimità. Dunque, non è
questo un argomento dirimente; la tesi ripete lo stesso errore logico.

E poi: ma veramente l’esecutivo pensa che chi è favorevole all’udienza
telematica regolamentata ad alcuni casi non ritenga che la sua decisione
riguardi una persona e la sua esistenza? Il percorso decisionale interiore
non dipende certo dal mezzo utilizzato ma dalla ponderazione profonda del
materiale probatorio; dalla capacità di ascolto delle parti.

Infine, il punto che ritengo profondamente sbagliato: “Analoghe perplessità
fanno sorgere tutte le ipotesi che decontestualizzano la decisione,
ipotizzando camere di consiglio delocalizzate, con gravi dubbi su
riservatezza, ponderazione e valore delle decisioni assunte in tali modi”.

Le perplessità sono poi esplicitate nel documento con la netta contrarietà a
decisioni prese in un “altrove” lontano e decontestualizzato.

Ora, posto che se sono un giudice monocratico difficilmente posso essere
altrove e decontestualizzato da me stesso, il documento si riferisce
chiaramente ai collegi ed in particolare a quelli della Cassazione. Dunque,
è uno stop a tutte le iniziative in corso che i magistrati della Corte, me
compreso, stanno prendendo per evitare la totale paralisi dell’attività
giurisdizionale: perché è bene ricordare che attualmente la Corte di
Cassazione vive una stasi subita dai magistrati che invece chiedono
un’immediata ripresa, tenuto conto della specificità del rito.

Si tratta di quei procedimenti, civili e penali, nei quali il contatto con
le parti, semplicemente, non esiste. Le decisioni si prendono sulle carte. 

Dunque, la scelta di contrasto a queste iniziative è netta, per altro in
linea con il documento delle camere penali, e delegittima chi le ha prese.

Perché l’esecutivo ritiene che le camere di consiglio “a distanza”, con le
stanze virtuali, non debbano essere tenute?

Per due ragioni, perché l’assenza di valore (!) della decisione, a cui fa
riferimento il documento, è l’effetto e non la causa. 

La riservatezza. Si teme evidentemente che la stanza virtuale possa essere
ascoltata, intercettata o registrata. Se così è, allora prepariamoci a
camere di consiglio con smartphone spenti e privi di batteria; computer,
tutti, spenti durante la camera di consiglio, anche quelli su cui i giudici
hanno gli appunti per le decisioni. Torniamo, durante le camere di
consiglio, alle ricerche non su Italgiureweb ma su codici commentati, ed a
scrivere i dispositivi a mano; aboliamo l’uso dei registri informatici: per
violare la riservatezza di una camera di consiglio è sufficiente un computer
o uno smartphone acceso. E via gli stagisti ovviamente. 

Vi domando: ma le multinazionali che muovono miliardi secondo voi non fanno
le Call conference? Hanno problemi di riservatezza e di tutela di segreti
industriali molto più rilevanti di noi che dichiariamo inammissibile un
ricorso in settima sezione, per altro dopo aver già avvisato il difensore
dell’esito quasi certo del suo ricorso.

Ponderazione. La ponderazione di una decisione non dipende dal mezzo usato
ma dalla capacità professionale dei magistrati e, in caso di udienza
telematica, dalla messa a disposizione informatica degli atti. Esattamente
come accade quando si decide “live". Solo che gli atti sono su uno scaffale
a tre metri da terra…

Dunque, ritengo che affermazioni così nette siano state un errore e siano
anche poco lungimiranti.

Saluti a tutti, 

Luca Semeraro 

 

p.s.: Lascio all’esecutivo la scelta di rendere pubblica la mia lettera.

 

 

 

2. Il nostro documento, intitolato “I rischi dell’udienza telematica”

 

Stiamo vivendo un periodo eccezionale, speriamo irripetibile.

Lo stato di emergenza per ragioni di sanità, seguito alla pandemia da
Covid-19, si è abbattuto anche sul sistema giustizia, sospendendo tutta
l’attività giudiziaria (da ultimo – d.l. 23/2020, art. 36 – sino al termine
dell’11 maggio 2020), con limitate eccezioni connesse allo stato di
restrizione della libertà personale, nel processo penale, e alla
vulnerabilità del destinatario della tutela, nel processo civile.

Le uniche attività non sospese vengono peraltro svolte, sia nel civile che
nel penale, mediante l’utilizzo di strumenti telematici che consentono la
trattazione da remoto; strumenti senza dubbio utili per la fase
dell’emergenza, disciplinati dalle linee guida del Csm, da numerosi
protocolli nei singoli distretti e ora al vaglio del legislatore.

Siamo consapevoli di come il procedimento “da remoto” abbia consentito di
contemperare la tutela del diritto alla salute di tutti e l’interesse a “non
mandare in quarantena” la giustizia, in settori che sono fondamentali per la
convivenza civile: la democrazia non può infatti tollerare la “sospensione”
della giurisdizione, strumento e luogo di tutela dei diritti e di garanzia
delle libertà.

L’impiego delle tecnologie telematiche per quanto riguarda la formazione e
comunicazione, anche nel penale, di atti e documenti – a condizioni di
reciprocità con l’avvocatura – è certamente un dato positivo e, sotto questo
profilo, ci auguriamo che l’esperienza di questi mesi possa dare una
accelerazione all’evoluzione positiva del sistema.

Tuttavia, riteniamo necessario ribadire che una volta cessata la situazione
di emergenza – e mettendo in conto come anche per la giustizia, al pari di
altri settori della vita del paese, si tratterà di un processo graduale –
occorrerà tornare alla “normalità” e, con essa, alla pienezza di tutte
quelle regole processuali che non sono neutre, essendo state previste dal
legislatore in funzione dell’effettività del diritto di difesa e del ruolo
di garanzia della giurisdizione.

Da questo punto di vista, l’udienza da remoto e la trattazione scritta nel
processo civile rischiano di vanificare i positivi risultati della
trattazione effettiva dei processi in udienza, a partire da un tasso di
definizione conciliativa molto elevato.

Il pericolo, allora, è quello di un ritorno a udienze come inutili
dispensatrici di termini e a un giudice civile quale mero estensore di
sentenze, al termine di un dialogo processuale ripetitivo.

Le stesse considerazioni valgono, poi, anche per il processo penale.

L’udienza di convalida dell’arresto e del fermo “a distanza” deroga,
infatti, alla regola processuale che richiede la presenza della persona
arrestata o fermata dinanzi al “suo” giudice. Una regola che risponde ad
evidenti ragioni di tutela della persona privata della libertà personale,
non a caso garantita dal codice anche attraverso la previsione di termini
ristretti per condurre in udienza l’arrestato, in ipotesi di celebrazione
del giudizio direttissimo.

Nel momento in cui si deve valutare la legittimità dell’operato della PG è
necessario che l’arrestato sia a contatto fisico con il giudice chiamato a
decidere, in una posizione anche soggettiva di non condizionamento, che gli
consenta un esercizio pieno del diritto di difesa; una posizione, questa,
oggettivamente non garantita dalla condizione di stretto contatto con chi ha
effettuato l’arresto o il fermo.

Ancora: nel nostro ordinamento, le ipotesi di processo a distanza sono
disciplinate come eccezioni, in ragione sia del diverso valore assunto dalle
dichiarazioni rese da testi e imputati in un esame a distanza, sia del
valore del contatto continuo con il difensore. La presenza fisica, dunque, è
garanzia non solo del diritto di difesa, ma anche del risultato
epistemologico dell’acquisizione probatoria.

Analoghe perplessità fanno sorgere tutte le ipotesi che decontestualizzano
la decisione, ipotizzando camere di consiglio delocalizzate, con gravi dubbi
su riservatezza, ponderazione e valore delle decisioni assunte in tali modi.

Crediamo, infatti, che al modello di giudice che auspichiamo appartenga la
consapevolezza che la fatica, anche fisica, del contatto con le parti del
processo, e in primo luogo con l’imputato, sia necessaria; e che le
decisioni giudiziarie riguardino le persone e la loro esistenza, e che non
si manifestino in un “altrove” lontano e delocalizzato.

Per questo, vogliamo sottolineare che i cambiamenti introdotti, necessari
per affrontare la crisi senza paralizzare la giustizia, presentano rischi
che non si possono sottovalutare, e che quelli evidenziati non sono
accettabili in tempi di normalità.

Occorre, quindi, rifuggire dalla tentazione di credere che tutte le
facilitazioni permesse dalla crisi possano costituire un buon lascito per il
futuro. Questo pensiero, infatti, potrebbe divenire il pretesto perché,
terminata la fase critica, si introducano o stabilizzino deroghe a quelle
norme che la nostra legislazione ha introdotto per tutelare e garantire al
massimo i diritti e le libertà.

Roma, 10 aprile 2020.

 

L’Esecutivo di Magistratura democratica

 

 

--

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