[Area] La scomparsa di Franco Cordero: il ricordo di Magistratura democratica

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Lun 11 Maggio 2020 07:46:08 CEST



 

LA SCOMPARSA DI FRANCO CORDERO: IL RICORDO DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA

 

(http://www.magistraturademocratica.it/articolo/il-ricordo-di-magistratura-d
emocratica_3073.php)

 

Franco Cordero era un uomo schivo; potremmo dire, nell’accezione particolare
che la parola assume quando si parla di vecchi gentiluomini piemontesi, un
uomo burbero. Eppure capace di straordinaria ironia e umanità e con una
consapevolezza del dovere civile di mettere la propria sconfinata cultura al
servizio dei valori collettivi che costituisce un sublime esempio di
aristocratica umiltà. Non era facile coinvolgerlo in iniziative pubbliche,
anzi aveva la fama di essere inaccostabile, e quando miracolosamente riuscii
a ottenerne la disponibilità per la partecipazione a un convegno di Md che
stavo organizzando in Cassazione e chiesi a Stefano Erbani, prezioso
mediatore di quella disponibilità, come contattarlo per i dettagli, lui mi
disse: “è semplice, il suo numero è sull’elenco del telefono”, e così credo
sia stato fino a oggi. Questo insignificante dettaglio, sarà la commozione
per la sua morte, mi sembra oggi cogliere una cifra emblematica della sua
personalità, insieme alla cortesia del tratto nella nostra conversazione
telefonica e l’espressione piacevolmente sorpresa che gli attraversò lo
sguardo quando andai, come segno di cortesia, ad accoglierlo all’ingresso
della Corte per accompagnarlo nell’aula del convegno. Il suo intervento fu
magistrale, asciutto e avvincente. Era il febbraio del 2004 e il tema in
discussione era quello del rapporto tra il giudice e l’interpretazione della
legge, ma non c’era nessun compiacimento accademico in quell’incontro: il 21
gennaio il Senato aveva approvato in prima lettura la riforma
dell’ordinamento giudiziario e nel disegno di delega era inserita una
previsione che vincolava il legislatore delegato a introdurre come illecito
disciplinare: “l’adozione di atti e provvedimenti il cui contenuto
palesemente e inequivocabilmente sia contro la lettera e la volontà della
legge o costituisca esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi
legislativi o amministrativi ovvero riservata ad altri organi
costituzionali”, nel testo approvato  in commissione c’era addirittura un
riferimento censorio della “giurisprudenza creativa”. Era all’evidenza il
precipitato della filosofia di fondo della riforma dell’ordinamento
giudiziario: mortificare l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati
limitandone l’azione nell’attività giurisdizionale e ricostruendo meccanismi
vincolanti di carriera per ottenere, per dirla proprio con le parole di
Cordero “Tribunali servizievoli, sillabanti le formule dettate dagli
eletti”. Questa era la posta in gioco nella cornice di una mal interpretata
supremazia della politica che, nell’ottica di un distorto maggioritario,
attribuiva a chi aveva avuto la maggioranza parlamentare il monopolio
assoluto del potere. Quale ostacolo fosse per questo disegno una
magistratura autonoma era fin troppo evidente.  Questo tema era stato al
centro del congresso di Md in una memorabile tavola rotonda coordinata da
Franco Ippolito con Giuliano Amato e Stefano Rodotà. Il giorno dopo il
convegno, si sarebbe aperto a Venezia un congresso dell’ANM che avrebbe
segnato un punto fermo nella difesa dei valori della giurisdizione. Sulla
base della consapevolezza della gravità della sfida si era mobilitata la
coscienza civile del paese anche attraverso le sue intelligenze più
raffinate. Sembra una storia ormai lontana, mentre invece bisognerebbe
tenere vivo il ricordo di quella stagione perché si  corre il rischio di
sminuire in aneddotica la successione delle leggi ad personam, che pure non
erano uno scherzo,  dimenticandone il nesso con un più radicale, certamente
il più radicale fino ad allora, tentativo di riassetto degli equilibri
istituzionali nel bilanciamento dei poteri: la  convinzione che il sistema
maggioritario invece di richiedere, come richiede, un più penetrante sistema
di contrappesi, innesti una “presa diretta” tra il paese e la sua
rappresentanza  parlamentare  conferendo a questa una posizione di
supremazia rispetto agli altri poteri. Non dimentichiamo che proprio in quel
periodo fiorì d’imperio in tutte le aule di giustizia la citazione monca
dell’art. 101 della Costituzione “la giustizia è amministrata in nome del
popolo”. Era proprio la parte mancante del 101, “i giudici sono soggetti
solo alla legge” a dare il senso di quel cortocircuito tra il “popolo
sovrano” e la maggioranza parlamentare che esso esprime attraverso il voto,
che costituiva l’inebriante scoperta e l’obbiettivo dei nuovi governanti. Il
nuovo millennio ci ha poi portato inedite e rinnovate versioni della
medesima illusione, ma oggi non parliamo di questo.

La più raffinata delle intelligenze che si sentì in dovere di contrastare
questo disegno fu quella di Franco Cordero e lo fece in un modo inedito e
geniale, diventando ironico, iperbolico, graffiante, immaginifico polemista,
senza mai cedere al protagonismo mediatico, centellinando le apparizioni
pubbliche (lo ricordo in qualche rara occasione televisiva) e inventando una
cifra comunicativa nella quale l’abbinamento con le vignette di Altan
coglieva il cuore del messaggio senza banalizzarlo. Ma questo non può far
dimenticare la rigorosa lezione scientifica che tanti di noi hanno tratto
dal suo manuale sulla procedura penale, nata come ancella povera delle
dottrine processuali e tardivamente assunta ad autonoma dignità, che a ogni
edizione diventava più ricco di squarci illuminanti sulla storia degli
istituti, di lapidarie definizioni e di folgoranti connessioni che nascevano
dalla sconfinata sapienza dell’autore e sfidano ancora il lettore a
confrontarsi con i problemi e a rifuggire atteggiamenti di passivo
recepimento delle soluzioni, per non parlare delle vette dei suoi testi
scientifici e letterari, da “Riti e sapienza del diritto” a “Gli
osservanti”.

Per questo abbiamo tutti un debito di riconoscenza nei confronti di Franco
Cordero e dovremmo tenere tutti a mente il suo numero nell’elenco telefonico
dell’eternità.

 

di Betta Cesqui

 

 

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