[Area] Controllo cieco

roberto.monteverde a tin.it roberto.monteverde a tin.it
Lun 15 Giu 2020 14:38:24 CEST


 Se dobbiamo discutere di autoriforma, di
rigenerazione morale, di scatto etico, che ne pensiamo allora della possibilità
di procedere alle decisioni sui magistrati da parte del CSM con “procedure di
controllo cieco”? I nominativi ed i dati anagrafici e biografici extra lavorativi
dovrebbero essere rigorosamente anonimizzati e le valutazioni svolte in base al
confronto secco dei curricola, merito
e attitudine. Come farlo, e farlo in modo che non filtri il nome del candidato,
è certo una questione difficile e impegnativa, ma è altra questione rispetto al
principio che i consiglieri non dovrebbero conoscere (e riconoscere) i
candidati, cosa che, data la situazione, potrebbe essere conveniente accettare.

Risolverebbe tutto? No, perché esistono
profili professionali che appena raccontati rendono evidenti la loro riferibilità
solo a quel magistrato, e ne esistono altri per i quali non può escludersi una
conoscenza diretta di uno più consiglieri della storia professionale del
candidato.

E allora? 

Intanto, per un’ampia (la più ampia) percentuale
di casi il sistema potrebbe funzionare, scindendo nettamente l’appartenenza di
corrente dal merito, neutralizzando nel “mucchio” la degenerazione e portando
un mattone a tacitazione delle speculazioni vendicative di chi odia ogni
controllo giurisdizionale.

Per la parte restante, quella dei magistrati
comunque riconoscibili da tutti per il loro percorso, occorre immaginare
qualcosa di diverso, a cominciare per esempio dalla decisione dello stesso
consiglio di procedere “in chiaro” alle valutazioni comparative, che certamente
riaprirebbero la strada alle accuse (o ai fatti) di “combine” fra correnti. Si
dovrebbero quindi accompagnare a questi passaggi, in generale, alcuni seri
ritocchi ai criteri di valutazione.

È inutile avere un magistrato giuridicamente
erudito, produttivamente efficiente ed organizzativamente efficace se poi è
cedevole alle pressioni interne ed esterne nelle sue scelte, perché noi il
magistrato lo vogliamo senza speranze di vantaggi o paure di conseguenze
negative, non è così? Ma come saperlo?

Con il parametro dell’autonomia e
indipendenza. Quali ne sono gli indici sintomatici? Molti.

Me ne vengono in mente alcuni: le
osservazioni ai progetti tabellari, che sono contestazioni alle idee del capo e
denotano autonomia; i contributi (necessariamente scritti o trasfusi in
verbali) alle riunioni organizzative, che vanno nella stessa direzione; l’aver
vinto con merito un disciplinare perché il fatto non sussiste, che denota un
attacco infondato al magistrato cui ha saputo resistere tutelando la propria
sfera autonoma; gli interventi in sede scientifica o anche meramente pubblica
in difesa dell’indipendenza (senza parlare ovviamente dei processi che tratta);
se in posizione apicale gli interventi a salvaguardia dell’autonomia e
indipendenza dei colleghi. Ma se ne possono certamente individuare molti altri.

L’importante è comunque rafforzare
questo parametro, l’unico che fa di un giudice un giudice, mentre tutti gli
altri lo fanno eventualmente “bravo”, cioè uno che non “sbaglia” nelle
decisioni (e mentre lo scrivo penso a tutte quelle che ho preso che potevano essere
anche ragionevolmente opposte), che lavora sodo e che sa e si sa organizzare.

Mi pare che si tratti interamente di
autoriforme alla portata normativa del CSM, cioè dell’autogoverno che
esprimiamo e ci rappresenta, e dunque un intervento autonomo che può
precedere la legge elettorale e le altre riforme ordinamentali che si
annunciano, spesso in senso punitivo, prescindendone e dimostrando la volontà e capacità
della magistratura italiana di saper affrontare le degenerazioni, forse anche smorzando
le velleità -e la loro superficiale persuasività- di scioglimento delle
correnti e della stessa ANM o il sorteggio per il CSM (per le quali occorre una
profonda revisione della Costituzione, compresi gli immodificabili principi
supremi della prima parte).

E per i magistrati personalmente
conosciuti da singoli consiglieri nella loro storia professionale, verso i quali
potrebbero nutrire preferenza o avversione a prescindere dal merito?

I consiglieri dovrebbero dichiarare il
riconoscimento del candidato, facendo confluire la pratica fra quelle dei
magistrati comunque noti a tutti. Ma se non lo fanno non ho soluzione da
proporre, se non quella di una qualche sanzione se vengono scoperti (fuori per
due giri, cambio di commissione?). 

E per i furbetti della cantonata, sempre
in agguato e sempre pronti a “segnalarsi” l’anima al diavolo, cioè al
consigliere di riferimento cui indicare cosa ha scritto nell’autorelazione anonima
per rendersi individuabile, c’è rimedio?

No, non c’è un vero rimedio, perché
proprio questi, come scrive Vladimiro Zagrebelsky su Giustizia Insieme, sono il vero problema, e  “Sarebbe tempo che … nel comportamento di
tutti e di ciascuno si sviluppasse un visibile cambio di passo”. Anche per essi
le uniche misure ipotizzabili sono tutte repressive e non preventive: dalla
tipizzazione di un illecito disciplinare (ma già si potrebbe procedere sulla
base dell’art. 3, lettera i) D.Lgs n. 109/2006: “l'uso strumentale della
qualità che, per la posizione del magistrato o per le modalità di
realizzazione, è diretto a condizionare l'esercizio di funzioni costituzionalmente
previste”), alla loro sostituzione d’ufficio nel posto richiesto con il candidato
secondo al concorso (questo lo può dire il CSM).

Non esiste un sistema umano allo stesso
tempo complesso e perfetto, ma insomma, abusando immeritatamente delle parole
di Giovanni Falcone, “qualcosa si può sempre fare”.

Roberto Monteverde
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