[Area] Verso il Congresso

Magistratura democratica md a magistraturademocratica.it
Mar 14 Lug 2020 14:51:01 CEST



 

VERSO IL CONGRESSO

 

“Non ci chiediamo più – scrive Tony Judt – di una sentenza di tribunale o di
una legge, se sia buona, se sia equa, se sia corretta, se contribuirà a
rendere migliore la società, o il mondo. Erano queste un tempo le domande
politiche per eccellenza, anche se non era facile dare una risposta:
dobbiamo reimparare a porci queste domande”.

 

Reimparare a porsi domande sulla giustizia, sul diritto, sui diritti delle
persone e sulla magistratura che vorremmo: di qui deve iniziare di nuovo la
strada di Magistratura democratica e dell’associazionismo giudiziario tutto.


 

Per questo motivo, nell’attuale crisi della magistratura e della
giurisdizione, sentiamo l’urgenza di avviare un percorso congressuale che
metta di nuovo al centro della riflessione del gruppo quella “concretissima
sofferenza” per la giustizia e per il nostro modo di interpretarla e di
essere giudici.

 

Viviamo un passaggio storico spinoso, caratterizzato dall’incedere di
populismi che erodono dall’interno le democrazie costituzionali,
costruiscono mentalità e politiche autoritarie e, al contempo, privano di
dignità le persone e i loro corpi: poveri, migranti, stranieri, detenuti,
malati, disabili, ‘matti’, donne, lgbtqpiapk.

 

Gli otto minuti e quarantasei secondi di agonia di George Floyd, ucciso
dalle forze di polizia il 25 maggio 2020 a Minneapolis (Minnesota, Usa),
rappresentano plasticamente la minaccia della nuda forza, quando prende il
sopravvento sul diritto e i pericoli collegati alla perdita di egemonia
della cultura delle garanzie e dei diritti inviolabili.

 

Di fronte a questi processi – che si sviluppano in maniera più o meno
virulenta nel mondo, in Europa e in Italia – la magistratura associata
italiana si è presentata nel suo stato peggiore. 

Le inchieste perugine e i loro corollari pubblici hanno evidenziato la
trasformazione dell’associazionismo giudiziario da fattore di emancipazione
della magistratura dalla sua condizione di subalternità a elemento di
debolezza esterna e interna. È questo il vero punto nevralgico della crisi
strutturale che investe la magistratura ed è a questo che vogliamo reagire e
offrire risposte credibili. 

 

La credibilità passa, in primo luogo, da una strada obbligata: il rifiuto
della logica in base alla quale la magistratura possa rigenerarsi con i soli
processi ai responsabili dello ‘scandalo’. È vero che non siamo tutti
uguali, ma è altrettanto indubitabile che la crisi messa in luce dalla
‘vicenda Palamara’ nasce da una miscela che pervade tutta le componenti
della magistratura e che si compone di tanti elementi: ritorno della
gerarchia e di una visione gerarchica delle funzioni e della dirigenza,
aspirazioni carrieristiche, conformismo, collateralismo con la politica.

 

Ne è stata immune la storia recente del nostro gruppo? Dobbiamo rispondere
con sincerità di no e lo facciamo, al contempo, rivendicando con orgoglio le
ragioni ispiratrici di Magistratura democratica, la sua storia e i motivi di
una appartenenza. In quattro anni di dirigenza ci siamo battuti per quelle
ragioni e per quella storia, coltivandole attraverso un dibattito culturale
e politico schietto che ci ha condotto in maniera trasparente a criticare
scelte di fondo delle maggioranze di ogni colore politico. 

Abbiamo provato a dare corpo e voce a istanze democratiche in tutti i campi
del diritto: dall’immigrazione al carcere, dal lavoro ai diritti del corpo,
quali espressione dell’affettività e della sessualità. Lo abbiamo fatto con
dibattiti, interventi sulle riviste dai noi promosse (Questione Giustizia,
Diritto Immigrazione Cittadinanza), convegni, provocazioni culturali.
Abbiamo perseguito con convinzione – rimarrà la nostra bussola – l’apertura
all’esterno, ai movimenti culturali e sociali, alle altre figure
professionali del variegato mondo della giustizia e del diritto (avvocatura,
università). Ci siamo mobilitati, per la seconda volta nella nostra storia,
a difesa della Costituzione repubblicana, rilegittimata dal referendum del 4
dicembre 2016. In quella Costituzione c’è anche il progetto di magistratura
e di giurisdizione nel quale si riconoscono i giudici italiani.

 

Troppe volte, però, derive elitarie e leaderistiche, cedimenti difensivi a
logiche di schieramento e deleghe ai ‘migliori’ hanno impedito a questo
gruppo una pienezza e franchezza di discussione democratica, sia al nostro
interno e nel dibattito associativo.

Non abbiamo fatto sentire forte la nostra voce critica – o, comunque, lo
abbiamo fatto poco – su logiche di compatibilità e del compromesso, governo
dell’esistente, scelte riduttive dell’autonomia e dell’indipendenza, interne
ed esterne. Nodi risalenti sono arrivati al pettine e vanno rimossi.

 

È giunto il momento di iniziare un nuovo percorso. 

Crediamo in una magistratura progressista che, in quest’epoca di accresciute
diseguaglianze e di moltiplicate povertà, sappia declinare di nuovo, accanto
a progetti di efficienza e organizzazione, la volontà di inverare il
progetto costituzionale di difesa dei diritti delle persone, soprattutto di
quelle più svantaggiate, degli ultimi. 

Per realizzare questo progetto sono necessarie alcune precondizioni. La
prima, la più importante: tornare alla magistratura come potere diffuso e
orizzontale, libero da logiche gerarchiche, reali o simboliche. 

 

Per centrare l’obiettivo è necessario un nuovo associazionismo, un nuovo
modo di stare insieme.

L’esperienza del nostro associazionismo giudiziario è un bene prezioso, da
difendere e rivendicare insieme ai valori che lo hanno reso un fattore di
crescita di tutta la magistratura e della sua identità collettiva: l’unità
associativa e il pluralismo delle idee. Valori, questi, oggi minacciati
dalle proposte di riforma della legge elettorale del Consiglio Superiore
della Magistratura, dalla riconfigurazione del panorama associativo e da
dinamiche che rappresentano fattori convergenti di spinta verso la
polarizzazione e l’esclusione di chi non si omologa a tale processo.

La ricerca di una via di uscita dalla crisi passa necessariamente attraverso
la ricostruzione dell’identità collettiva e plurale: un nuovo percorso di
riflessione comune sui valori fondamentali dell’etica, della deontologia e
della professionalità, di analisi severa dei cambiamenti culturali che sono
alla base di una caduta della tensione ideale, di denuncia e presa di
distanza dai punti oscuri ove si annidano i germi delle degenerazioni.

 

In un contesto che rimette in discussione l’assetto costituzionale della
magistratura e del sistema di autogoverno, dobbiamo e vogliamo essere
ambiziosi: ritrovare le ragioni dell’unità associativa; chiamare tutta la
magistratura e tutti i magistrati ad un’assunzione di responsabilità per la
difesa dei valori della giurisdizione e dell’esperienza unica del nostro
associazionismo unitario, vero e proprio motore della democratizzazione
della magistratura e baluardo della sua indipendenza.

Sentiamo l’urgenza di ribadirlo con forza, in un panorama caratterizzato da
riemergenti opzioni nazionalistiche e populiste che hanno portato, e
rischiano di portare, allo smantellamento progressivo delle garanzie di
indipendenza dei sistemi giudiziari anche nei Paesi membri dell’Unione
Europea. 

Proprio nell’associazionismo giudiziario i magistrati europei hanno
acquisito crescente consapevolezza dei valori in gioco e sviluppato capacità
di vigilanza nell’individuazione dei segnali precoci di regressione
democratica. È attraverso l’impegno associativo comune che i magistrati
europei svolgono un’azione di sostegno alle magistrature e alle associazioni
nazionali, per far fronte agli attacchi portati alla loro indipendenza e
alle loro libertà. È in questo impegno comune che si sono rafforzate
l’identità del giudice europeo e il suo senso di appartenenza a una comunità
di diritto, fondata sul primato dei diritti e dello Stato di diritto. Un
percorso irreversibile che, con il contributo di tutti, la giurisdizione
deve continuare a compiere, verso l’effettiva realizzazione di uno spazio
comune di Giustizia.

 

Per questi motivi, è ormai venuto il tempo, per noi, di ridare slancio a un
nuovo progetto in tutti i campi, dall’autogoverno all’ANM, e di immaginare
una vita associativa in cui la democrazia interna non si risolva a momento
elettorale e alla sola delega ai capi.

Dobbiamo ripensare allo statuto del gruppo, per conciliare in maniera
innovativa la sua storica forza ideale con il tramonto del “secolo breve”.
Dobbiamo pensare a nuovi modi di partecipare alla vita del gruppo, a partire
dalle iscrizioni.

 

Al congresso di Bologna, nel novembre del 2016, abbiamo iniziato un percorso
che nel prossimo autunno avrà la sua scadenza naturale. Gli eventi di questo
ultimo anno ci impongono di valutare la possibile anticipazione di questa
data e, comunque, di avviare sin d’ora il dibattito, in tutte le sezioni e
fra tutti gli iscritti.

 

Roma, 14 luglio 2020.

 

L’Esecutivo di Magistratura democratica

 

 

--

Magistratura democratica

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