[Area] R: AREADG E LE NORME SULLA GIUSTIZIA NEL ‘DECRETO RISTORI’

Santoro, Mag.to Mil. Vincenzo - MAGMIL-TMVR vsantoro a gm.difesa.it
Mar 3 Nov 2020 10:42:39 CET


Buongiorno a tutti
Sto cercando di capire quale sia l’ambito entro il quale può collocarsi l’udienza da remoto.
Al momento mi pare pacifica sola la previsione iniziale del comma 5 dell’articolo 23, nella parte in cui dispone che “Le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice possono essere tenute mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia”.
In questo caso non c’è bisogno di consenso delle parti e compete, pare, al singolo giudice (presidente del collegio o giudice monocratico) valutare se debba farsi corso alla udienza da remoto. Di per sé, ma poi interviene il seguito che lo impedisce, la previsione iniziale del comma 5 si presta a ricomprendere tra le udienze da remoto anche quelle in cui le parti concludano, proprio perché in tal caso vi è solo la partecipazione delle parti processuali.
Non capisco, però, la portata della parte finale del comma 5, quella in cui si prevede che “ Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle udienze nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonché alle discussioni di cui agli articoli 441 e 523 del codice di procedura penale e, salvo che le parti vi consentano, alle udienze preliminari e dibattimentali”.
Ad una prima lettura la norma parrebbe dire:

a)      Non può svolgersi udienza da remoto nel caso in cui “devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, nonché alle discussioni di cui agli articoli 441 e 523 del codice di procedura penale”.

b)      Le udienze preliminari e dibattimentali possono svolgersi da remoto se le parti vi consentono.
E qui vado in confusione perché: la lettera a) è già contenuta nella previsione iniziale del comma 5, quando indica il contesto in cui può darsi una udienza da remoto, in quanto non contempla i testi , periti e consulenti;
la lettera b) non la capisco, perché non so cosa rimanga delle udienze dibattimentali e preliminari da svolgersi da remoto con il consenso della parti una volta esclusa la parte concernenti i testi e le conclusioni e preso atto della parte iniziale del comma 5.
Secondo voi è possibile riferire il consenso della parti, come fonte di legittimazione delle udienze da remoto, anche alle udienze con testimoni, parti, consulenti o periti ed a quelle di conclusione?
Mi rendo conto che può sembrare una forzatura; ma mi chiedo quale sia, ad intendere la previsione alla lettera,  l’ambito concreto in cui, nelle udienze dibattimentali e preliminari, si può procedere da remoto solo con il consenso delle parti e quindi a prescindere da quello indicato nella parte iniziale del comma 5.
Grazie per l’aiuto.
Vincenzo Santoro

Da: Area [mailto:area-bounces a areaperta.it] Per conto di Coordinamento AreaDG
Inviato: sabato 31 ottobre 2020 14:00
A: <mailinglist-anm a associazionemagistrati.com> <mailinglist-anm a associazionemagistrati.com>; area <area a areaperta.it>; <nuovarea a nuovarea.it> <nuovarea a nuovarea.it>
Oggetto: [Area] AREADG E LE NORME SULLA GIUSTIZIA NEL ‘DECRETO RISTORI’

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 AREADG E LE NORME SULLA GIUSTIZIA NEL ‘DECRETO RISTORI’

Il decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020 relativo alla gestione dell'emergenza COVID nel settore giustizia, suscita forti perplessità circa il metodo che ha condotto alla sua adozione, e merita riflessione esattamente come quella sul merito del provvedimento
Il decreto è stato, infatti, anticipato da un documento congiunto sottoscritto dall'Unione delle Camere Penali Italiane e da alcuni Procuratori di importanti distretti, ed, incredibilmente. ne recepisce in modo quasi pedissequo i contenuti, compresi quelli che appaiono del tutto inadeguati a fronteggiare l'ingravescenza del contagio nelle aule giudiziarie e nel corso delle fasi dibattimentali del processo.
Infatti, il documento bilaterale in questione, oltre a richiedere opportuni interventi normativi finalizzati a gestire in modo più sicuro la fase delle indagini e le interlocuzioni tra PM e difesa, si avventura, senza alcun coinvolgimento della magistratura giudicante, nell'indicazione delle modalità ritenute apoditticamente  più opportune per la gestione della ben più complessa fase del giudizio. Al punto 4, in particolare,  pur ipotizzando l'accesso ad una trattazione cartolare o da remoto di alcune udienze, ne limita drasticamente la portata, richiedendo, nella sostanza, che, nonostante la indubbia acutizzazione dei contagi negli ambienti giudiziari, la stragrande maggioranza dei processi vengano comunque  trattati  con la modalità ordinaria.

Questo testo, comunicato tralaltro con modalità discutibili, inspiegabilmente, è diventato l'ossatura portante del decreto legge con riferimento alla giustizia penale.
Si prevede infatti, che le udienze  possano celebrarsi  mediante videoconferenza  e collegamenti da remoto, con il consenso delle parti ,  per quelle dibattimentali e preliminari  purché queste ultime non prevedano esame di testi, parti, consulenti e periti né discussione. In tali ultimi casi neanche il consenso delle parti, ed in particolare, del difensore e dell'imputato, può consentire l' accesso ad un a modalità di trattazione diversa da quella ordinaria.
Questa previsione sembra, in realtà, ignorare le difficoltà oggettive che, in queste ultime settimane, hanno caratterizzato proprio la fase del giudizio penale. Infatti, la ripresa pressoché totale delle attività giudiziarie e con essa l'afflusso  intensificato delle persone negli ambienti giudiziari, già inidonei a garantire il rispetto delle condizioni minime di sicurezza, sta generando come era prevedibile, un consistente numero di contagi tra gli avvocati, il personale amministrativo e la magistratura.

Siamo convinti che un approccio più consapevole e realistico ai rischi sanitari inscindibilmente collegati alla celebrazione dei processi, nella generale ed ormai cronicizzata inadeguatezza degli ambienti giudiziari, avrebbe consigliato, nel perseguire l'interesse comune diretto ad evitare un secondo lockdown della giustizia, di ampliare il novero delle udienze suscettibili di essere trattate da remoto, anche soltanto potenziando la possibilità per le parti di scegliere tale modalità attraverso un accordo condiviso.
Si è invece preferita una soluzione astratta che costringe sempre e comunque alla trattazione in presenza, tralasciando qualsiasi interlocuzione con la magistratura giudicante e con la stessa Associazione Nazionale Magistrati nella definizione di un documento di intesa che ha cosi fortemente indirizzato le scelte del Ministro.
Stigmatizziamo che si è deciso di perseverare nella trattazione degli affari giudiziari  secondo  le stesse modalità della prima fase emergenziale con il rischio, ogni giorno più concreto, di trovarsi costretti a non trattare nulla paralizzando  nuovamente la giustizia penale.
Perplessità suscitano anche le norme riguardanti il processo civile e del lavoro: innanzitutto, non è chiara la formulazione del primo comma dell’art. 23, e quindi la definizione del termine finale di efficacia delle disposizioni emergenziali. Quest'ultimo sembra potere essere individuato, attraverso l'interpretazione di un complesso reticolo di norme nella data del 31 gennaio 2021. Trattandosi di norme che derogano ad istituti processuali una maggior chiarezza normativa ci sembrava essere doverosa.
Con evidente rimeditazioni, preso atto dell’aggravarsi dell’emergenza, il legislatore ha nuovamente, e questa volta condivisibilmente, consentito che la trattazione a distanza dei processi possa avvenire anche con i giudici al di fuori degli uffici giudiziari, superando le criticità da molti (compresa l’ANM) segnalate, sfociate anche in un questione di costituzionalità sollevata da un Tribunale.
Positiva è anche la regolamentazione a distanza di tante attività, come le camere di consiglio, i procedimenti di separazione e divorzio, così come la previsione della possibilità di tenere le udienze pubbliche a porte chiuse, e la sospensione dei procedimenti esecutivi.
Ombre sembrano addensarsi, invece, sulla mancanza di idonee indicazioni per i procedimenti locatizi, o per quelli fallimentari, nei quali restano le criticità proprie di tutti quei giudizi in cui le parti personalmente possono comparire.
Un quadro, insomma, che resta frastagliato, ma caratterizzato da una esigenza, nel civile evidentemente avvertita anche dal foro, di limitare quanto più possibile gli accessi agli uffici giudiziari, secondo una visione chiaramente emergenziale, ma dalla quale è auspicabile possano emergere elementi (come ad esempio i depositi tramite PEC) da utilizzare in futuro per una più efficace gestione del processo.
E' grave, perciò, constatare che le medesime esigenze di tutela dell'incolumità e della salute pubblica e degli operatori non abbiano animato anche le scelte adottate in merito al processo penale, in un momento in cui (anche per la persistente idea della separazione delle carriere al centro del dibattito politico) è più che mai necessario offrire al dibattito pubblico riflessioni comuni a tutta la giurisdizione.

Grave e forse non adeguatamente ponderata nel suo significato e nelle sue conseguenze la scelta di alcuni procuratori di intrattenere autonome interlocuzioni esterne sui temi dell’organizzazione di altri uffici giudiziari, sostituendosi nella rappresentanza della magistratura al Consiglio superiore e all'Associazione nazionale magistrati.
Una simile scelta appare oltremodo criticabile sia perché in linea con l’inaccettabile idea della separazione delle carriere, sia perché è stata immediatamente colta dalla politica, che ha un evidente interesse a confrontarsi con una decina di capi uffici, che non con l’intera magistratura.
Il Coordinamento di AreaDG.
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