[Area] Magistratura democratica newsletter 4

Magistratura democratica md a magistraturademocratica.it
Mar 8 Giu 2021 19:38:02 CEST


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[  ]( # )     8 giugno 2021
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Cari lettori,

questa newsletter si occupa del ruolo del pubblico ministero nella giurisdizione, oggetto di un ampio dibattito lo scorso fine settimana, nel webinar organizzato da Magistratura democratica. I lavori  si possono seguire nella registrazione video di Radio Radicale.

Dalla prima giornata del seminario emerge l'analisi sulla "cultura del limite" del docente di Diritto processuale Michele Caianiello, accanto a un "cammeo": il botta e risposta tra Nello Rossi, direttore di Questione giustizia e il giornalista del quotidiano La Stampa Giuseppe Salvaggiulo sul tema del pubblico ministero e la comunicazione. Sono solo una selezione degli interessanti contenuti emersi nel corso della "due-giorni" dedicata al pubblico ministero, che sarà oggetto di un ulteriore approfondimento. Nel frattempo, il giornale Domani ha ospitato sull'argomento uno scritto di Stefano Musolino, componente dell'esecutivo di Md.

Inoltre troverete i pareri di Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di sorveglianza a Firenze e di Giuseppe Ayala, con un passato di magistrato e politico, sulla vicenda Brusca, colti della trasmissione di Rai Radio Tre "Tutta la città ne parla".

Infine, l'annuncio di un webinar organizzato da Magistratura democratica, che si occupa di un ulteriore, drammatico tema internazionale: quello dei diritti calpestati in Palestina. L'iniziativa è in programma mercoledì 9 giugno, dalle ore 17 alle 19.
 
L'appuntamento con la newsletter Md, salvo eccezioni, è ogni martedì, alle ore 20.
 
      
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Per una cultura del limite  

 
Il pubblico ministero è imparziale, come dovrebbe esserlo il giudice, ma non è “terzo”. Si potrebbe citare un passaggio letterario, preso dal romanzo Siddartha: cercare significa avere uno scopo; trovare significa essere libero, restare aperto, non avere scopo. In questa logica, il pubblico ministero è condannato a non essere terzo perché cerca avendo, appunto, uno scopo: individuare persone a cui attribuire i fatti. Al contrario, il giudice uno scopo deve non averlo.
Questa distinzione è un elemento di cultura della giurisdizione, che si palesa in primo luogo come cultura del limite: sebbene ci sia uno spirito di imparzialità, che deve animare il nostro pubblico ministero, c'è anche un limite che lo contraddistingue, che appunto è lo scopo. Ma questo disegno è attuato in concreto? In teoria il pm controlla la polizia giudiziaria, e dovrebbe muoversi indipendentemente dal ricevimento della notizia di reato. Così si apre un ampio ventaglio di scelte, discrezionali. Se consideriamo la scarsità di risorse a disposizione e tutte le possibilità di intervento, ecco lo iato tra la realtà e ciò che prevede la Costituzione. A ciò si aggiunge un costante accrescimento del diritto penale.
Il problema non è solo quantitativo, ma anche qualitativo. Il nostro è un diritto penale di "lotta": alla corruzione, a chi intacca gli interessi finanziari dell'Unione europea, all'immigrazione clandestina, alla criminalità organizzata (come lo fu quella al terrorismo), favorito anche dagli obblighi di tutela.
La tendenza attuale è di aumentare il potere del pubblico ministero. Per questo, avere un senso del limite (che è lo scrupolo costante del pm), è l'unico modo per mantenere quell'uso alternativo del diritto, che negli anni Sessanta si connotava per una azione proattiva di promozione della Costituzione. Adesso, tale obiettivo si raggiunge attraverso un atteggiamento restrittivo.
In ogni caso, l'indipendenza del pubblico ministero è un aspetto che tende ad affermarsi nelle fonti sovranazionali, come ad esempio nella Procura Europea (o volendo anche nello Statuto della Corte penale internazionale). L'Italia con la sua Costituzione ha anticipato dunque alcuni tratti che, in tempi più recenti, paiono apprezzati anche nel contesto sovranazionale (seppure delle differenze rimangano, sotto diversi aspetti).

Tratto dall'intervento di Michele Caianiello
ordinario di Diritto processuale penale,
Università degli Studi di Bologna
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   Perché le regole servono  


 
Il pubblico ministero non dovrebbe mai rappresentarsi come il detentore della verità, ma come il soggetto istituzionale che coordina le indagini in vista ed in funzione della prova da raggiungere nel processo. Questo aspetto, insieme a quello di essere il primo garante dei diritti dei cittadini, è fondamentale per l’immagine pubblica del pubblico ministero.
In quest'ottica c'è stato un grande sforzo di elaborare, sul piano della comunicazione, poche regole virtuose, talvolta violate, ma che restano essenziali: la parità verso i media nell'accesso alle informazioni che il pm ritenga di dover dare; un dovere di parola e di verità, se deve salvaguardare la reputazione di persone tirate in ballo erroneamente in un processo; l’astenersi dal partecipare ad occasioni mediatiche nelle quali si simuli o si anticipi il processo; il rispetto della dignità delle persone coinvolte a partire dal costante ribadimento della presunzione di non colpevolezza dell’indagato nella fase delle investigazioni.
Il pm non deve dunque sempre tacere ma saper parlare, quando è necessario, con la sobrietà, l’equilibrio, la ragionevolezza che il cittadino ha il dovere di pretendere da un magistrato. Il lungo viaggio dalla regola del silenzio ad una comunicazione appropriata è in corso, non senza cadute di stile e deviazioni di percorso; ma questa è la strada da imparare a percorrere.

Tratto dall'intervento di Nello Rossi
direttore della rivista Questione giustizia


   ...O è meglio non averne  


 
Per una sanità dell'informazione è preferibile che le regole relative al rapporto pubblico ministero-giornalisti siano poche, e non stabilite in modo esclusivo da chi è detentore delle informazioni. Un eccesso di regolamentazione, pur con nobili intenti, può produrre un’informazione paradossalmente più conformista, irregimentata e morbosamente dipendente dai detentori delle stesse informazioni.
Sul piano pratico, alcune regole sono tanto giuste da apparire superflue (presunzione di non colpevolezza, rispetto della dignità delle persone coinvolte); altre più incisive, come la par condicio notitiarum, largamente disattese: ci sono notizie solo su certi giornali, indagini seguite solo da alcuni media. Ciò capita per diverse ragioni, come l'interesse di alcune testate per determinate indagini; la specializzazione di cronisti che riescono a interpretare meglio di altri alcune vicende; il rapporto con altre fonti.
Rispettando la par condicio ci vorrebbe una conferenza stampa del pm, una discovery generalizzata per dire a tutti quello che un giornalista ha capito o scoperto? Oltreché impossibile, sarebbe professionalmente e eticamente sbagliato.
Il tema non è risolvibile per normazione (tanto meno se le norme le decidono i pm), ma per responsabilità dei soggetti coinvolti, nella distinzione dei ruoli e dei rispettivi statuti professionali e deontologici.

Dall'intervento di Giuseppe Salvaggiulo
giornalista del quotidiano La Stampa
       
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Link  

Si può assistere alle due giornate del webinar sul ruolo del pubblico ministero collegandosi al sito internet di Radio Radicale, dove è possibile controllare il minutaggio, individuare e condividere il video di ogni relatore. In ordine temporale, i due link:

https://www.radioradicale.it/scheda/638838/il-ruolo-del-pm-nella-giurisdizione-attualita-e-prospettive

https://www.radioradicale.it/scheda/638839/il-ruolo-del-pm-nella-giurisdizione-attualita-e-prospettive

Infine, l'articolo di Stefano Musolino sul Domani:

https://www.editorialedomani.it/giustizia/il-ruolo-difficile-del-pm-tra-riflessi-mediatici-e-critiche-h8yfww4b         [  ]( # )
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Il caso Brusca / 1
Bortolato: «Collaborazione
e ravvedimento non coincidono»  

 
La vicenda Brusca dimostra che collaborazione e ravvedimento non necessariamente coincidono. Tant'è che se Giovanni Brusca si fosse realmente ravveduto sarebbe uscito ben prima, proprio in base alla legislazione sui collaboratori.
Nel 2019, infatti, il Tribunale di sorveglianza di Roma gli ha rigettato un’istanza di misura alternativa, alla quale avrebbe potuto accedere proprio in base alla legislazione premiale. Oggi lui è uscito solo perché ha scontato interamente la pena.
La vicenda ci insegna innanzitutto che le pene temporanee prima o poi finiscono, che la pena di morte è stata cancellata dal nostro ordinamento repubblicano e che, appunto, non può esserci parificazione tra collaborazione e ravvedimento, cioè "pentitismo", come ha confermato la Corte costituzionale con le due pronunce sull'ergastolo ostativo.
Brusca ha terminato la pena un po’ prima perché ha avuto il beneficio della liberazione anticipata. Do per scontato che la sua condotta in carcere fosse irreprensibile e che tutti i pareri fossero favorevoli (è necessario il parere del Pubblico ministero e, in questo caso, anche del Procuratore nazionale antimafia). La pena è finita e tuttavia mi risulta che sia stato sottoposto a una misura di sicurezza che si chiama libertà vigilata e che continuerà nel tempo, finché la Magistratura di sorveglianza, che è tenuta a esaminare la pericolosità sociale del condannato post-pena, non dichiari che non è più pericoloso.
Brusca ha stretto un patto con lo Stato e lo Stato questo patto lo ha rispettato traducendo una pena all'ergastolo in una pena a termine, fino a trent'anni, che è stata espiata. Certamente questo risultato può sembrare iniquo o anche immorale a fronte della gravità ed entità dei reati commessi da Brusca, ma non dobbiamo dimenticare l'importanza dello strumento investigativo della collaborazione che ha permesso di assicurare alla giustizia tutta un'altra serie di persone che hanno commesso gravi reati, come e più di lui.

Tratto dall'intervista di Marcello Bortolato, magistrato, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze. Con Edoardo Vigna ha pubblicato nel 2020 il libro: Vendetta pubblica. Il carcere Italia (Laterza)
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Il caso Brusca / 2
Ayala: «Per i collaboratori è solo una questione di costi e ricavi»  

 
Vedo qualche esponente politico, sui giornali, che parla di vergogna per la scarcerazione di Brusca. Ma la vera vergogna italiana è l'esistenza di tre criminalità organizzate: la Mafia, la 'Ndrangheta e la Camorra, che condizionano pesantemente l'economia del nostro Paese.
Siamo l'unica democrazia occidentale ad avere un problema di questo genere. Per cercare di contrastare il fenomeno si è ricorsi anche ad incoraggiare un fenomeno che era impensabile fino agli inizi degli anni Ottanta, ovvero che per ragioni opportunistiche esponenti di Cosa nostra rompessero il muro di omertà, rendendosi particolarmente utili alla crescita della pressione giudiziaria dello Stato, nei confronti delle organizzazioni malavitose.
La questione io la porrei su un ragionamento tra costi e ricavi. La normativa tesa a incoraggiare i collaboratori di giustizia si è rivelata molto utile per l'acquisizione di dati preziosissimi, come individuare molti esponenti di Cosa Nostra che non si conoscevano e trovare i responsabili di delitti gravissimi. Certo, è un costo prendere atto che un uomo come Giovanni Brusca esca dopo 25 anni, ma in questa ideale “contabilità”, che mi sto sforzando di applicare con pragmatismo e persino un pizzico di cinismo, i ricavi sono straordinariamente superiori ai costi pagati. E qui si torna al punto di partenza: la vergogna non è che Brusca esca, ma l'esistenza nel 2021 di organizzazioni criminali tra le più pericolose al mondo.

Tratto dall'intervista di Giuseppe Ayala, già pubblico ministero al maxiprocesso di Palermo e sostituto procuratore della Repubblica. Grande amico e braccio destro di Giovanni Falcone, ha coadiuvato il pool antimafia. Deputato, senatore e sottosegretario alla giustizia nei governi Prodi e D'alema. Tra i suoi libri: Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino (Mondadori, 2008)
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Link  

Le interviste integrali di Marcello Bortolato e Giuseppe Ayala in Tutta la città ne parla, la trasmissione condotta da Piero del Soldà (nella foto a lato) su Rai Radio Tre:

https://www.raiplayradio.it/audio/2021/05/TUTTA-LA-CITTA-NE-PARLA-af9cf132-8c6a-4c52-a240-3ec01a69ae79.html         [  ]( # )
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   I diritti negati di un popolo, nel webinar di Md  

Questa iniziativa si svolge all’indomani di una nuova strage, come sempre insensata e disumana. Prenderanno parte all'incontro alcuni studiosi e testimoni della questione palestinese, nella consapevolezza che l’unica possibilità di pace sia rappresentata dalla conoscenza dei fatti e dal rispetto dei diritti. Intanto si può riflettere su un particolare: uno dei simboli più struggenti della resistenza in Palestina è rappresentato da una chiave. Molti anziani, cacciati dal 1948 in poi dalle loro case e deportati spesso in campi profughi conservano gelosamente, per poi tramandare alla loro discendenza, le chiavi della loro abitazione, nella speranza e convinzione, tenaci, di potervi fare ritorno.
 
 

Link

https://zoom.us/j/99195969736?pwd=bHo5Y3VaM084NEc2dWNhT29ObjVxZz09

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MAGISTRATURA DEMOCRATICA
c/o
Associazione Nazionale Magistrati
Palazzo di Giustizia
Piazza Cavour 00193 - Roma
CF: 97013890583

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