[Area] Magistratura democratica Newsletter 14

Magistratura democratica md a magistraturademocratica.it
Mar 7 Set 2021 20:03:32 CEST


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[Magistratura Democratica]

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7 settembre 2021

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Cari lettori,

la newsletter di Md torna dopo la pausa estiva, in un periodo connotato dal drammatico aggravarsi della crisi umanitaria in Afghanistan e dall’escalation di violenze contro civili inermi, e contro coloro che in questi anni hanno operato per rafforzare lo stato di diritto e le istituzioni. L’unica risposta all’altezza dei valori della democrazia è la mobilitazione per mettere in salvo ed accogliere tutte le persone a rischio, e per difendere le libertà e i diritti fondamentali di tutti, a cominciare dalle donne e dai bambini.
È questo il richiamo venuto nei giorni scorsi da numerosi interventi della magistratura associata, in ambito nazionale ed internazionale, e dalla comunità dei giuristi. A questo proposito, pubblichiamo la lettera di Medel all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.

In questa newsletter, anche una doppia intervista di Andrea Fabozzi de Il  Manifesto alla presidente di Magistratura democratica Cinzia Barillà e al segretario Stefano Musolino su politica e processi, nonché sulla necessaria funzione dell'associazionismo tra i magistrati. Quindi, ancora Musolino, questa volta intervistato da Liana Milella de la Repubblica, sulla tutela della privacy, in tema di intercettazioni.

Si torna, poi, su un argomento oggetto dell'edizione speciale, del 14 agosto scorso: il rapporto tra deontologia professionale e libertà di stampa, non sempre equilibrato. Lo dimostrala vicenda de Il Giornale, che costringe Magistratura democratica e la rivista Questione Giustiziaa ricorrere al giudice civile, a difesa della libertà di informazione e per il dovere di fare chiarezza.

Infine, sempre rimanendo su aspetti legati al giornalismo, un articolo del direttore di Questione Giustizia, Nello Rossi, sulla presunzione di innocenza, oggetto di un decreto in fase di attuazione e una sua intervista rilasciata a Liana Milella de la Repubblica.

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Lettera all'Unhcr in merito alla drammatica situazione
Il sostegno di Medel alle donne afghane

A Filippo Grandi
Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati

Vostra Eccellenza,

Le scrivo in qualità di Presidente di Medel– Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés e mi rivolgo a Lei in relazione alla drammatica situazione in Afghanistan, determinata dal repentino rovesciamento del potere in favore dei Talebani.

Medel vuole esprimere la sua più profonda preoccupazione per la crisi umanitaria che si va aggravando, e per il rischio di una definitiva regressione per i diritti fondamentali delle persone, a cominciare da donne e bambini.
Le notizie e le testimonianze che ci giungono ogni giorno confermano l’escalation di violenze e di ritorsioni contro chi ha rappresentato e testimonia oggi, in quel paese, l’impegno per la democrazia e lo stato di diritto.
Medel, che riunisce 23 associazioni di magistrati di 16 diversi paesi europei, è da sempre impegnata nel promuovere l’indipendenza della magistratura come garanzia di tutela delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone, e nel sostegno ai magistrati perseguitati e minacciati per la loro attività.
Condividiamo l’allarme lanciato già da tempo nella comunità internazionale per la strategia di violenza contro chi, in questi anni, ha operato per il rafforzamento delle istituzioni e del sistema giudiziario dell’Afghanistan.
Il brutale assassinio nello scorso gennaio di due donne giudici della Corte Suprema – Qadria Yasini e Zakia Herawi – conferma che oggi a rischio sono soprattutto le donne che coraggiosamente, anche a costo della vita, nelle istituzioni giudiziarie come in altri ambiti, hanno contribuito con il loro lavoro al rafforzamento dei diritti e dello stato diritto.
Medelritiene che oggi l’unica risposta della comunità internazionale all’altezza dei valori della democrazia sia la mobilitazione massima per mettere in salvo e per accogliere tutti coloro che rischiano la vita e che hanno difronte un futuro buio, fatto di negazione delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone.
Medelritiene che, difronte a questa gravissima crisi umanitaria, tutti dobbiamo sentirci chiamati in causa per una nostra risposta coerente con quei valori, indivisibili e universali, di dignità umana e di solidarietà scritti nelle nostre Costituzioni.
Grati per l’alta missione che l’Unhcr svolge nel salvataggio delle persone e nella protezione delle vite di migliaia di profughi e rifugiati, desideriamo assicurare tutto il supporto e il sostegno di Medele delle associazioni che vi aderiscono per agevolare l’attività di accoglienza dei magistrati, avvocati, e difensori dei diritti umani, in tutti i paesi in cui siamo presenti.
Medel resta a disposizione per ogni forma di collaborazione che l’Unhcr consideri utile.

Con ossequio,
Filipe César Marques
Presidente di Medel – Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés (22 agosto 2021)

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Presidente e segretario di Md, doppia intervista a Il Manifesto
Politica e processi, i danni dell’«individualismo penale»

Il caso ha voluto che l’ultimo congresso di Magistratura democratica si sia tenuto a cavallo tra la presentazione delle proposte di riforma del processo penale elaborate dalla commissione Lattanzi, fatte proprie dalla ministra Cartabia, e la ratifica dell’accordo di maggioranza sulla giustizia che quelle proposte ha in buona parte lasciato cadere.
Questo spiega perché il giudizio sulla riforma da parte della corrente di sinistra della magistratura sia passato da un iniziale apprezzamento durante le assise – il Manifesto ne ha dato ampio resoconto – all’attuale delusione. In quel congresso di luglio Magistratura democratica ha rinnovato il suo gruppo dirigente. La nuova presidente è la giudice di Corte d’appello Cinzia Barillà, il nuovo segretarioil pm dell’antimafia Stefano Musolino, entrambi da Reggio Calabria.

Cinzia Barillà. La riforma del processo penale così com’è stata approvata dalla camera la giudichiamo un compromesso al ribasso. Molte dichiarazioni di principio sono condivisibili, come l’incremento dei percorsi riparativi, l’attenzione alla tutela delle vittime, la definizione di familiare estesa ai conviventi ed alle unioni civili, ma temo resteranno astratte e inattuate perché poco supportate dalla previsione di risorse umane e professionalità nei settori della esecuzione penale esterna e dei servizi sociali. Invece troverà spietata applicazione la improcedibilità in Appello e Cassazione, condannando alla morte processi per reati non ancora estinti. Aggiungo che, di nuovo, il legislatore scarica sui magistrati i problemi che non riesce a risolvere, obbligandoci a fare continue ordinanze per definire da noi i tempi di durata dei procedimenti, così aumentando il contenzioso.
Stefano Musolino. Questa riforma è una presa d’atto che alle condizioni attuali il sistema non regge. Dunque si tenta di diminuire il flusso dei procedimenti in entrata, introducendo le priorità nell’azione penale, mentre con la improcedibilità si mette una tagliola in uscita. Siamo delusi perché conoscendo l’impostazione della ministra e avendo letto le proposte della commissione Lattanzi sui riti alternativi, in particolare l’archiviazione meritata che è sparita del tutto, ci sembrava possibile una vera svolta. Così da costringere anche la magistratura a cercare strumenti alternativi alla sanzione penale e al carcere. È una grande occasione mancata.

La trattativa e alla fine il compromesso la ministra ha dovuto farli non solo e non tanto con le ragioni di una parte della maggioranza, 5 Stelle e Lega, ma soprattutto con gli allarmi lanciati da alcuni magistrati molto in vista. Ricordate certamente anche voi le profezie sui mafiosi a spasso nel caso si fosse affermata l’impostazione iniziale.
Stefano Musolino. Finché regge l’idea che la risposta ai problemi del paese vada cercata sempre nell’azione penale, avremo sempre un certo numero di procuratori in vista pronti a raccontarci che senza un pm forte e una pensante sanzione penale le cose non funzionano. È un gioco in buona parte mediatico che si ripete. In questo caso in maniera persino paradossale, perché se ci sono procedimenti al riparo dagli effetti dell’improcedibilità sono proprio quelli per mafia la cui definizione è nella quasi totalità dei casi garantita dalle norme sulla custodia cautelare.
Cinzia Barillà. È la ragione per cui abbiamo contestato il doppio binario, l’idea che vadano messi in sicurezza solo alcuni reati a discapito ad esempio dei morti sul lavoro o dei disastri colposi. La ministra ha optato per questo tipo di compromesso evidentemente perché non ha cercato un’interlocuzione con chi esprime un pensiero collettivo, ma ha preferito ascoltare alcune individualità molto capaci di sollecitare le paure. Per me è la riprova che il magistrato individualista non fa il bene della magistratura. Lo so che di questi tempi si attribuiscono alle correnti tutti i mali del mondo, ma un associazionismo vitale serve anche a elaborare proposte utili e coraggiose, senza rincorrere emergenze reali o dettate dalle preoccupazioni del momento.
Stefano Musolino. Aggiungo che aver imposto l’approvazione in parlamento con la fiducia ha impedito un dibattito nel quale le preoccupazioni come la nostra sicuramente sarebbero emerse. Invece si è blindato il compromesso tra le opposte, ma in realtà convergenti richieste di Lega e 5 Stelle, espressione entrambe a mio avviso di una politica giudiziaria di destra. La riforma ha perso gran parte della sua capacità di innovazione.

Il caso Palamara ha dimostrato il legame che c’è tra la verticalizzazione degli uffici giudiziari, e dunque la spinta alla carriera tra le toghe, e le degenerazioni del correntismo. Anche il più recente caso – per intenderci – Storari-Davigo mette in luce i difetti delle procure troppo gerarchizzate?
Cinzia Barillà. Secondo me in questo caso, di nuovo, dobbiamo mettere a fuoco i rischi dell’individualismo tra i magistrati. Per la mia esperienza è difficile che un collega si trovi così solo da aver bisogno di saltare tutte le procedure, come ha fatto Storari consegnando i verbali di Amara a Davigo. Torno dunque sul ruolo sano della corrente che serve a fare rete e a far lavorare meglio il magistrato. La serenità può essere recuperata condividendo il problema con i colleghi, senza violare la riservatezza. All’eccesso di gerarchia si può reagire in maniera collettiva.
Stefano Musolino. L’individualismo è un rischio che corrono anche i più bravi, come in questo caso. Storari si è trovato a non avere più alcuna fiducia istituzionale e dunque a decidere di saltare tutti i canali ufficiali che prevedono un rimedio ai contrasti di un sostituto con il suo procuratore. Il dramma è che la sua mancanza di fiducia istituzionale ha prodotto una clamorosa perdita di fiducia per tutta la magistratura. Quanto alla gerachizzazione io penso che occorra distinguere, la famosa orizzontalità che noi sempre predichiamo è cosa diversa in un ufficio di procura rispetto all’ufficio giudicante. Il procuratore deve assumere su di sé il coordinamento, non per limitare l’indipendenza dei pm ma perché spetta a lui garantire l’esercizio omogeneo dell’azione penale.

Qual è il vostro giudizio sui sei referendum proposti dai radicali e dalla Lega? Si può distinguere tra quesito e quesito?
Stefano Musolino. Ci sono quesiti di poco impatto e di pura polemica, come quello sulle firme per la presentazione delle candidature al Csm. Quesiti che ci vedono nettamente contrari e penso soprattutto alla separazione delle carriere perché portare il pm fuori dal rapporto con la giurisdizione significa spingerlo a farlo diventare l’espressione della voglia securitaria del momento. Invece autonomia e indipendenza hanno senso in funzione della tutela dei diritti dei più deboli di fronte alle pulsioni della maggioranza. Siamo invece favorevoli e da tempo a che gli avvocati partecipino alle valutazioni di professionalità nei consigli giudiziari. Abbiamo bisogno di riempire di contenuti i fascicoli personali così da favorire valutazioni migliori quando si tratta di conferire incarichi direttivi. La pochezza di quei fascicoli ha favorito la discrezionalità e rafforzato il metodo Palamara.
Cinzia Barillà. Proprio per le cose che abbiamo detto fin qui, per la nostra denuncia dell’individualismo nella magistratura e il nostro voler difendere il valore e il ruolo dell’associazionismo, non possiamo che valutare positivamente qualunque sguardo esterno sulla magistratura. In particolare quello degli avvocati. Dirò di più, oggi abbiamo la preoccupazione opposta. E cioè che, soprattutto in alcune realtà di provincia, gli avvocati siano troppo prudenti e si sentano troppo poco liberi nel valutare i magistrati.

Andrea Fabozzi, Il Manifesto,28 agosto

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Il segretario di Md boccia la richiesta di Enrico Costa di Azione
«Esistono già oggi le garanzie
per tutelare la privacy degli indagati»

«Serve coerenza. La riforma Cartabia accelera i processi, una legge sui tabulati li allungherebbe. Oltre ad ostacolare le indagini, in alcuni casi fino a bloccarle». Dice così il pubblico ministero di Reggio Calabria Stefano Musolino, eletto segretario di Magistratura democratica a fine luglio. Che risponde così ad Enrico Costa di Azione».

La querelle sui tabulati telefonici. Legge sì o legge no dopo la sentenza della Corte di giustizia del Lussemburgo? Lei da che parte sta?
«Non vedo alcuna necessità di una legge perché il sistema attuale è gia coerente con le indicazioni della Corte di giustizia del Lussemburgo. Il pm italiano, già nella fase delle indagini preliminari, è autonomo e indipendente, e svolge una funzione di garanzia dei diritti dell’indagato, tutelandoli anche in relazione a richieste abusive che giungessero dalla polizia giudiziaria. La legge esistente già prevede dei termini di conservazione dei dati sensibili, graduati in rapporto alla gravità del reato».

Quindi lei dice che una legge non serve, però ci sono molti suoi colleghi che, all’opposto, ritengono che una legge disciplinerebbe in modo chiaro e definitivo l’uso dei tabulati ed eviterebbe il caos delle interpretazioni difformi proprio com’è avvenuto dopo la sentenza europea.
«La Cassazione, nell’ultima sentenza di fine luglio, ha già escluso la diretta applicabilità della decisione della Corte di giustizia; sicché non vi è affatto un caos interpretativo, perché le nostre regole già oggi offrono le garanzie richieste dall’Europa».

Lei è un pm, per questo vuole comunque la possibilità di accedere ai tabulati senza ostacoli?
«Non è così. L’accesso ai tabulati è una risorsa investigativa talvolta indispensabile ed il sistema attuale lo regolamenta, modulando in maniera ragionevole il diritto alla privacy, con le esigenze di accertamento dei reati».

Però oggi un pm come lei, di fronte a un delitto, fino a che punto può chiedere i tabulati di un possibile indagato?
«Posso muovermi nel perimetro dei soggetti che sono entrati in relazione con il reato da scoprire e con i suoi possibili autori. Il tabulato è un mezzo di ricerca della prova esplorativo, consegna risultati generici ed equivoci che impongono sempre ulteriori verifiche per poter diventare alla fine una prova effettiva nel processo».

Ha letto le dichiarazioni di Enrico Costa di Azione? Lui, sin da marzo quando è uscita la decisione del Lussemburgo, insiste per una legge. Dice che con l’accesso libero ai tabulati la nostra privacy è a rischio.
«Non sono d’accordo. Perché già oggi il sistema garantisce in maniera adeguata la tutela della privacy dei cittadini coinvolti nell’indagine. Esclusi ovviamente i casi di eventuali abusi che sono punibili disciplinarmente e che costituiscono, perciò, una patologia del sistema e non certo un suo tratto fisiologico».

Costa, con una sua proposta di legge, chiede che anche per i tabulati valga la stessa regola delle intercettazioni, via libera solo per i reati punti oltre 5 anni. Sarebbe un ostacolo alle vostre indagini?
«Certo, sarebbe decisamente un ostacolo. Le faccio un esempio che tutti possono comprendere. Mi riferisco per esempio alle truffe, anche quelle realizzate online. Un reato che già figura sotto i 5 anni di pena, ma per il quale le indagini non possono neppure prendere l’avvio in mancanza dei tabulati telefonici, a partire da quelli della vittima. In sostanza, se la proposta Costa diventasse legge, a fronte di una denuncia di truffa siffatta, la gran parte dei procedimenti sarebbe immediatamente archiviata per l’impossibilità stessa di avviare un’indagine».

Insomma, lei sta dicendo che il risultato di una legge sarebbe un freno alle indagini stesse. Però ci sono alcuni suoi colleghi, come il procuratore aggiunto di Torino Cesare Parodi, che seppur a malincuore, accettano l’idea di una legge…
«Un sistema che tollera l’acquisizione - sostanzialmente obbligata - da parte di soggetti privati di informazioni personali anche solo per navigare su internet a tutela di interessi economico commerciali, non può irrigidire l’acquisizione di informazioni assai meno invasive come quelle dei tabulati che invece sono necessarie per scoprire gli autori di un reato e quindi garantire la sicurezza di tutti».

Non teme che la possano accusare di non voler rispettare le garanzie di riservatezza dei potenziali indagati?
«La garanzia dei diritti deve sempre conciliarsi con procedure adeguate alla loro tutela. E quelle esistenti già oggi sono sufficienti allo scopo. Prevedere ulteriori superfetazioni aggraverebbe inutilmente il procedimento, ne allungherebbe i tempi, renderebbe più precari gli esiti, senza aggiungere alcunché alla reale tutela dei diritti».

Quindi, mentre si stanno approvando le nuove regole sul processo penale, con l’improcedibilità, e si mettono paletti rigidi sui tempi, una stretta sui tabulati comporterebbe conseguenze negative proprio sulla rapidità del giudizio?
«È proprio così. La riforma Cartabia ha preso atto dell’incapacità del sistema di sostenere gli attuali carichi di lavoro, prevedendo perciò dei limiti di tempo che segnano il massimo di tollerabilità per la durata di un procedimento. Ogni ulteriore intervento dovrebbe tenerne conto, preoccupandosi di valutare la compatibilità tra nuove procedure, diritti che si vogliono garantire e tempi complessivi del procedimento. Non mi pare che la proposta Costa vada in questa direzione».

Liana Milella, la Repubblica on-line (31 agosto)

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Per la libertà di informazione
La rivista Questione Giustizia
chiama in giudizio Il Giornale

Questione Giustizia ha deciso di chiamare il quotidiano Il Giornale dinanzi al giudice civile per rispondere sia dell’articolo a firma di Luca Fazzo pubblicato il 14 agosto 2021, intitolato «Chiamata alla rivolta. GOLPE DEI MAGISTRATI CONTRO IL GREEN PASS» e sottotitolato «Le toghe rosse di Md: “ una misura anticostituzionale, non va applicata. Il rifiuto dei no vax è da proteggere”» sia del successivo rilancio dell’operazione denigratoria con un articolo, sempre a firma di Luca Fazzo, del 15 agosto. È un’azione a difesa della verità e della libertà della rivista e di quanti vi scrivono.
Se, infatti, nello scrivere o nel decidere di pubblicare articoli, saggi o documenti, si dovesse paventare l’infinita gamma di possibili falsificazioni attuate a partire da tali pubblicazioni, il risultato sarebbe la scelta del silenzio o dell’autocensura. Prospettive, entrambe, alle quali non intendiamo soggiacere. Di qui la decisione obbligata di agire in giudizio per accertare i fatti. In difesa della libertà di informazione.

1. Una notizia inventata
Il 14 agosto 2021, il quotidiano Il Giornale pubblicava in prima pagina, a caratteri cubitali, un articolo a firma di Luca Fazzo, che aveva come occhiello «Chiamata alla rivolta», come titolo «GOLPE DEI MAGISTRATI CONTRO IL GREEN PASS», come sottotitolo «Le toghe rosse di Md: “È una misura anticostituzionale, non va applicata. Il rifiuto dei no vax è da proteggere”».
Il quotidiano proseguiva parlando di «una crociata delle toghe rosse contro il certificato verde», del proclamato «dovere di non applicarlo» e di un «appello di Md» contro una misura anticostituzionale. Contro la verità erano attribuite a Questione Giustizia e a Magistratura democratica, che “promuove” la rivista, tesi e posizioni espresse nel «documento» di un organismo collettivo, l’Osservatorio permanente per la legalità costituzionale (composto esclusivamente da studiosi esterni al mondo della magistratura) che QG, come organo di informazione, aveva ritenuto di pubblicare per dare conto del confronto aspro, in atto nella nostra società, sul tema della certificazione verde. Pubblicazione avvenuta senza alcun intervento della rivista sul titolo o sui contenuti del documento stesso, proprio per rispettarne il carattere di testimonianza del pensiero di un organismo terzo, e che poneva Questione Giustizia sulla stessa lunghezza d’onda dei molti organi di informazione che, per rispecchiare il quadro di posizioni culturali e giuridiche esistenti nella società italiana, hanno scelto di dar conto di critiche nei confronti del c.d. green pass.

2. La tempestiva smentita
A seguito dell’articolo de Il Giornale, la direzione della rivista interveniva tempestivamente, inviando al direttore del quotidiano, dott. Augusto Minzolini, una richiesta di rettifica ai sensi della la legge sulla stampa, comunicando alle agenzie di stampa una smentita e pubblicando, lo stesso giorno, un articolo a firma del direttore di QG intitolato «Questione Giustizia smentisce il Giornale».
In tutti questi interventi si metteva in luce che l’articolo de Il Giornale costituiva una operazione di falsificazione dei fatti, compiuta in totale spregio della verità ed al fine di disinformare, ingannare e denigrare e si sottolineava che, sia prima che dopo la pubblicazione del «documento» dell’Osservatorio, sulla Rivista erano apparsi articoli di segno diverso ed opposto.
In particolare si ricordava che, in un articolo del 5 agosto, intitolato Venerdì 6 agosto 2021. Esordisce la certificazione verde, il direttore di QG, aveva rappresentato le - peraltro elementari - ragioni per cui la rivista pubblica a volte anche «idee che non condivide» ed aveva ribadito con chiarezza: «Per parte nostra restiamo convinti che la campagna di vaccinazione sia uno strumento di liberazione dai più gravi timori per la salute individuale e collettiva e che la vaccinazione sia al tempo stesso un diritto ed un onere, il cui mancato adempimento può giustificare una serie di calcolate restrizioni e limitazioni adottate nell’interesse collettivo, in vari ambiti della vita sociale».

3. Il rilancio
Il Giornale – in evidente contrasto con il dettato della legge sulla stampa - pubblicava la rettifica solo in un trafiletto relegato nella pagina 35 del quotidiano e, per sovrammercato, il 15 agosto, rilanciava l’opera di grossolana falsificazione iniziata il giorno prima, con un articolo, sempre a firma di Luca Fazzo, recante nell’occhiello «Così le toghe rosse volevano sabotare anche gli altri dpcm» e nel titolo «Così la toga rossa già un anno fa voleva boicottare le misure antivirus».
Nell’articolo si affermava, tra l’altro, che «da tempo il pm Varone sosteneva la tesi della rivolta: "il decreto sulla Fase due ? Niente può limitare il diritto di vivere"» e si indicava il pubblico ministero Gennaro Varone come un «esponente di Magistratura democratica», menzionando un suo intervento su YouTube come prova dell’esistenza di un risalente orientamento di rivolta, di «boicottaggio» e di «sabotaggio» esistente in seno a Magistratura democratica e alla rivista.
Il dott. Varone deciderà per suo conto come reagire alle affermazioni che lo riguardano. Per parte nostra possiamo solo precisare, con il massimo rispetto per lui ed al solo fine di far valere la verità, che egli non è iscritto a Magistratura democratica e non ne è un esponente. Precisazione, questa, compiuta esclusivamente per mettere ulteriormente in evidenza come anche il “rilancio” de Il Giornale sia infarcito delle stesse arbitrarie invenzioni che caratterizzavano l’articolo del giorno prima.

4. Le critiche sono sempre legittime, le falsità no
Ricordati i fatti, rappresentiamo la nostra posizione e le nostre convinzioni. La pubblicazione del documento dell’Osservatorio può essere considerata, a seconda dei punti di vista, giusta o sbagliata, condivisibile o criticabile, espressione di un atteggiamento di apertura al confronto intellettuale o frutto di un improvvido scivolone.
Nella dialettica - che vogliamo ad ogni costo libera - delle diverse e confliggenti opinioni, l’alternarsi ed il contrapporsi dei consensi e dei dissensi ci sta tutto e non saremo certo noi a lamentarci per questo. E se Il Giornale o altri organi di informazione ci avessero criticato per la scelta compiuta non avremmo battuto ciglio, perché queste sono le regole di un gioco che, pubblicando una rivista, anche noi accettiamo senza remore. Non è questo, però, ciò che è accaduto. Il quotidiano ha infatti compiuto, in sequenza, due operazioni di arbitraria falsificazione della realtà.
Dapprima ha attribuito alla rivista e al gruppo che la promuove la posizione di un altro soggetto collettivo, il cui studio è stato pubblicato con nomi, cognomi e sicura paternità intellettuale. Poi ha rappresentato – incredibilmente – tale documento come una «crociata», un «appello», un «invito alla rivolta», un «golpe», voluti e messi in atto direttamente dalla rivista e del gruppo che la promuove.
Il tutto in prima pagina e con enorme risalto, come del resto si conveniva ad un così inquietante “piano eversivo”, meritoriamente svelato dal quotidiano nell’interesse della Repubblica. Ed il tutto, aggiungiamo, senza darsi minimamente carico di verificare né il tono ed i contenuti dei molti articoli pubblicati sulla rivista on line nel corso della lunga stagione dell’epidemia (tra cui il menzionato articolo del direttore del 5 agosto, liberamente ed immediatamente consultabile in prima pagina sul sito web di Questione Giustizia) né il numero della rivista trimestrale, Il diritto nell’emergenza, interamente dedicato ai temi spinosi del contrasto all’emergenza pandemica.
Sia chiaro: non pretendiamo affatto di essere letti. Ma riteniamo che chi decide di muoverci accuse gravissime, qualificandoci come “golpisti” e “sabotatori” (accuse peraltro penalmente rilevanti se non fossero comiche) e intende additarci come promotori di crociate e di appelli alla rivolta dovrebbe assolvere all’onere di informarsi nel momento stesso in cui pretende di esercitare il diritto di informare i lettori sulle nostre asserite malefatte.

5. In difesa della libertà di parola e di informazione
Del resto la nostra rivista non è l’unica realtà della magistratura ad essere investita da “deformazioni” a mezzo stampa che talora sembrano avere preso il posto delle “informazioni” e delle sempre legittime critiche nei confronti di singoli magistrati e delle loro associazioni. Risale solo a qualche mese fa un episodio che ancora ci riempie di ansia e di preoccupazione per il tono e la qualità del dibattito pubblico sulla giurisdizione nel nostro Paese.
Parliamo delle violente aggressioni verbali dirette a presentare come una “reazione scomposta” e come una “minaccia” la legittima posizione critica - espressa da Giuseppe Santalucia, il mite e fine giurista che oggi è il presidente dell’Anm - sul “metodo” del ricorso ai referendum per affrontare alcune questioni di giustizia.
Come se oggi i magistrati e le loro associazioni non avessero più diritto di parola su temi che riguardano la giustizia né il diritto di discutere e criticare iniziative istituzionali, siano esse legislative o referendarie, che riguardano la sfera del giudiziario e dovessero essere in malo modo zittiti quando hanno l’ardire di manifestare il loro pensiero.
Se poi il fine ultimo della mini-campagna agostana de Il Giornale fosse quello di porci nell’angolo, nella posizione di osservati, o meglio di “falsificati” speciali, ancora di più avremmo il dovere morale e giuridico di reagire. Se, infatti, nello scrivere o nel decidere di pubblicare scritti o documenti, dovessimo ogni volta paventare l’infinita gamma di possibili alterazioni della verità attuate a partire dalle nostre pubblicazioni, il risultato sarebbe la scelta del silenzio o dell’autocensura.
Prospettive, entrambe, che non ci piacciono affatto e alle quali non abbiamo intenzione di soggiacere. Di qui la decisione obbligata di agire in giudizio per accertare i fatti e ristabilire la verità. In difesa della libertà di informazione.

Nello Rossi, rivista Questione Giustizia(31 agosto)

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Vaccinazione e certificazione verde sulla stampa
Il dovere di fare chiarezza
Anche Md fa ricorso al giudice civile

Ogni critica rappresenta l’anima del confronto e deve perciò essere sempre tenuta in considerazione: anche se aspra, caricaturale o persino oltraggiosa. Ma altra e diversa cosa dalla critica è l’attribuzione di pensieri ed opinioni mai espressi, per giunta contrari a verità. Quando ciò accade, l’informazione si trasforma in menzogna e la “notizia” in artificio ingannevole, falso ed infamante.
Per un gruppo associato della magistratura le critiche sono il sale del confronto: le teniamo in considerazione anche quando sono aspre, persino quando sono caricaturali ed oltraggiose. Prendere la parola nel dibattito pubblico, infatti, significa accettare il contraddittorio anche quando questo è iniquo e produce effetti deformanti il tuo pensiero.
Ma quando i toni lividi sono agganciati ad un’opinione che ti viene attribuita senza che tu l’abbia mai espressa, l’informazione si trasforma in menzogna e la conseguente critica in un artificio ingannevole ed infamante.
È questo il trattamento che ci ha riservato Il Giornale, dapprima con un articolo a firma di Luca Fazzo pubblicato il 14 agosto 2021, in prima pagina, che aveva come occhiello “Chiamata alla rivolta”, come titolo “GOLPE DEI MAGISTRATI CONTRO IL GREEN PASS”, come sottotitolo “Le toghe rosse di Md: «È una misura anticostituzionale, non va applicata. Il rifiuto dei no vax è da proteggere»”.
L’articolo metteva sull’allerta il lettore, affermando che fosse in corso “una crociata delle toghe rosse contro il certificato verde”, in quanto Magistratura democratica stava contrastando le indicazioni istituzionali, reclamando il “dovere di non applicarlo”, al punto che si era giunti ad un vero e proprio “appello di Md” contro una misura anticostituzionale.
Si tratta del seguito di una campagna di fake news contro Magistratura democratica e la rivista Questione Giustizia, che la prima promuove.
Nell’ambito della condivisa necessità di dare spazio ad un contraddittorio di opinioni sui temi più attuali che riguardano i diritti, la rivista aveva infatti pubblicato anche un documento a firma dell’Osservatorio permanente per la legalità costituzionale, a favore delle tesi “no green pass”. In un successivo editoriale, il direttore di Questione Giustizia aveva ribadito la posizione della rivista favorevole alla vaccinazione, spiegando le ragioni della pubblicazione in un contraddittorio di opinioni diverse sul tema.
Questo non era bastato per impedire che un’onda informativa, portata avanti da plurimi siti privi di struttura, attribuisse a Questione Giustizia e di riflesso a Magistratura democratica posizioni “no green pass”.
Abbiamo reagito, chiedendo ed ottenendo rettifiche, pubblicando su Facebook, Twitter e sul sito internet di Md la nostra posizione favorevole alla vaccinazione.
Nonostante ciò, con l’articolo citato, Il Giornale ha continuato ad attribuirci una posizione “no green pass” e, soprattutto, sulla base di questa falsa rappresentazione ci ha attribuito iniziative golpiste, indicandoci come impegnati in una crociata a tutela dei diritti dei “no green pass”, contro le indicazioni delle più autorevoli istituzioni del Paese.
Abbiamo chiesto a Il Giornale una rettifica, ai sensi della legge sulla stampa, ed un’intervista ad un nostro dirigente per fare verità sulla posizione del gruppo. Quel quotidiano, il giorno successivo, ha relegato la rettifica ad un trafiletto nelle ultime pagine ed ha rincarato la dose, rilanciando l’azione diffamatoria con un articolo, sempre a firma di Luca Fazzo, recante nell’occhiello “Così le toghe rosse volevano sabotare anche gli altri dpcm” e nel titolo “Così la toga rossa già un anno fa voleva boicottare le misure antivirus”. In sostanza, si riportavano le affermazioni di un magistrato, falsamente indicandolo come un “esponente di Magistratura democratica”.
La gestione della richiesta di rettifica ha svelato il doloso intento diffamatorio de Il Giornale a danno di Magistratura democratica, rappresentata all’opinione pubblica, sulla base di falsi presupposti, come un gruppo di magistrati impegnato in una crociata golpista, dedito al sabotaggio delle normative vigenti, pronto a sollecitare i cittadini alla rivolta. E lo si è fatto su un tema di grande sensibilità sociale, sul quale intensa è l’attenzione dell’opinione pubblica, al fine di precostituire falsi pregiudizi sul conto di Magistratura democratica, incrinando così la sua capacità futura di essere riconosciuta interlocutrice affidabile e credibile nel dibattito pubblico sul tema dei diritti.
Abbiamo provato a rappresentare la nostra posizione rivolgendoci a Il Giornale. Ma la risposta è stata quella che abbiamo descritto. Non abbiamo, dunque, un modo diverso dal ricorso al giudizio civile per difenderci dalle rappresentazioni artificiose, tendenti a screditare pubblicamente Magistratura democratica attraverso l’attribuzione di opinioni mai espresse.
Non siamo interessati all’entità del risarcimento, che devolveremo interamente in una delle iniziative di Emergency, in memoria di Gino Strada, con cui Magistratura democratica ha condiviso molte iniziative a tutela dei diritti dei più poveri ed emarginati.
Ma siamo impegnati nella difesa del dover essere di Magistratura democratica: un gruppo di magistrati geneticamente insensibile alla chiusura corporativa, che vuole restare aperto al confronto pubblico sul tema dei diritti, facendosi provocare ed interpellare dalle sfide della modernità.
Continueremo a farlo anche al tempo delle fake news e delle trash news, senza perdere il gusto del confronto aperto e curioso, continuando a farci mettere in discussione, ma senza mai farci intimidire.

Documento della dirigenza di Magistratura democratica (1 settembre)

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La direttiva Ue e il decreto legislativo in itinere
«Il diritto a non essere "additato"
come colpevole prima del giudizio»

È sul versante mediatico e della motivazione dei provvedimenti giudiziari che, nel nostro Paese, la presunzione di innocenza può essere contraddetta e vulnerata.

È questo il filo conduttore del decreto legislativo ancora in itinere, che - in attuazione della Direttiva UE n. 343 del 2016 - mira a rafforzare la presunzione di innocenza dell’indagato e dell’imputato, con l’ambizione di incidere profondamente sul linguaggio di tutte le “autorità pubbliche”, sulla comunicazione degli uffici giudiziari e sulla motivazione delle decisioni interne al processo.

Non è facile, oggi, prevedere se le nuove norme daranno il via ad una vera rivoluzione culturale nella rappresentazione delle persone sottoposte ad indagini e a processi o se le innovazioni resteranno una facciata destinata a mascherare malamente la sopravvivenza di inveterati “pregiudizi”. È certo però che la genuina adesione all’ispirazione di fondo della nuova normativa non implica la rinuncia a ragionare, anche criticamente, sui differenti aspetti del testo normativo, sulla sua genesi, sulle sue ricadute nei mondi del diritto e dell’informazione.

Introduzione all'articolo di Nello Rossi (Questione Giustizia, 3 settembre).
Per il testo completo:
https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-diritto-a-non-essere-additato-come-colpevole-prima-del-giudizio

Sullo stesso argomento, sempre Nello Rossi ha rilasciato una intervista a Liana Milella del la Repubblica (2 settembre). Link:
https://www.repubblica.it/
politica/2021/09/02/news/giustizia_nello_rossi_presunzione_innocenza-316218127/

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