[Area] Magistratura democratica Newsletter 15

Magistratura democratica md a magistraturademocratica.it
Mar 14 Set 2021 20:00:37 CEST


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[Magistratura Democratica]

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14 settembre 2021

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Cari lettori,

questa newsletter presenta l'imminente convegnodal titolo: Un mare di vergogna (Reggio Calabria, dall'1 al 2 ottobre), organizzato da Magistratura democratica in collaborazione con ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione).

Quindi, l'attenzione torna sull'Afghanistan, attraverso l'articolo di Fabrizio Filice pubblicato dalla rivista Questione Giustizia.

Infine, continuiamo ad occuparci della stampa. Questa volta, con un approfondimento sulle querele temerarie nell'intervista di Giulia Merlo a Nello Rossi per il quotidiano Domani.

L'appuntamento con la newsletter MD, salvo eccezioni, è ogni martedì, alle ore 20

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Il convegno a Reggio Calabria
Un mare di vergogna
Dai respingimenti informali all'omissione dei soccorsi
L'inabissarsi dei diritti fondamentali

Venerdì 1 e sabato 2 ottobre 2021 si svolge il convegno organizzato da ASGI e Magistratura democratica, dedicato alle violazioni dei diritti umani fondamentali dei migranti, persone vulnerabili in movimento: dai respingimenti informali alle omissioni di soccorso.

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Programma

Venerdì 1 ottobre 2021

Ore 15.00
Proiezione dell'intervista
di Diego Bianchi ad Adelmo Cervi

PRIMA SESSIONE

Ore 15.15/16.45
Gli opachi rapporti tra Europa/Italia e la Libia
Sergio Scandura, giornalista di Radio Radicale
Matteo De Bellis, ricercatore di Amnesty International
Maurizio Veglio, avvocato ASGI

SECONDA SESSIONE

Ore 16.45/18.00
L'elusione degli obblighi internazionali sul soccorso in mare e la criminalizzazione della solidarietà
Fulvio Vassallo Paleologo, giurista
Arturo Salerni, avvocato associazione Progetto Diritti

Sabato 2 ottobre 2021

TERZA SESSIONE

Ore 9.30/10.45
Le Ong e il soccorso in mare: la voce dei protagonisti
Marco Bertotto, Ong Medici senza Frontiere
Sandro Metz, Ong Mediterranea
un esponente della Ong ResQ
Introduce e modera:
Emilio Sirianni, componente stabile del Consiglio nazionale di Magistratura democratica

QUARTA SESSIONE

Ore 10.45/12.15
Politiche di esternalizzazione, respingimenti, riammissioni informali: si va verso la fine del diritto di asilo?
Luca Minniti, giudice della sezione specializzata in materia di protezione internazionale presso Tribunale di Firenze
Chiara Favilli, professoressa associata di Diritto dell'Unione Europea presso l'Università di Firenze
Gianfranco Schiavone, componente del direttivo ASGI

Ore 12.15/12.45
Diritti umani e diritto disumano
Lectio magistralis di Luigi Ferrajoli, professore emerito di Filosofia del diritto presso l'Università Roma Tre

Ore 12.40
Conclusioni di Stefano Musolino, segretario generale di Magistratura democratica

Il convegno potrà essere seguito in diretta streaming su piattaforma Zoom, al seguente link:
https://zoom.us/j/93118375869
ID webinar: 931 1837 5869
Inoltre, sarà registrato da Radio Radicale

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Afghanistan
La responsabilità e l'impegno
vengono prima della solidarietà

La questione dell’Afghanistan evidenzia in modo particolarmente chiaro, nel contesto geopolitico, le ambiguità e gli opportunismi tattici che legano i Paesi occidentali alla narrazione dei diritti umani; ambiguità alle cui radici vi è un nodo politico e culturale da sciogliere, che affonda nella storia coloniale e anche nella questione di genere, non ancora realmente assimilata né elaborata dai nostri ordinamenti giuridici nonostante i proclami mediatici, sempre più diffusi in materia.
Il flusso migratorio già in atto dall’Afghanistan, che non sarà certamente paragonabile in termini quantitativi a quello degli ultimi anni, potrebbe indurre i Paesi occidentali a nuove “torsioni” del discorso sui diritti e a mettere di nuovo in primo piano interessi politici, economici e strategici. Per la parte che avrà nella vicenda afghana la giurisdizione, in particolare della protezione internazionale, sarà quindi chiamata a una sfida d’indipendenza da qualsiasi valutazione “altra” dal riconoscimento effettivo del diritto di asilo; così come dovrà dimostrare una capacità, maggiore rispetto a quella dei governi europei, di analisi e di implementazione della questione di genere(...)

Articolo di Fabrizio Filice (comitato esecutivo di Magistratura democratica) il 9 settembre su Questione Giustizia. Link per il testo completo:
https://www.questionegiustizia.it/articolo/afghanistan-la-responsabilita-e-l-impegno-vengono-prima-della-solidarieta

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La libertà di informazione è uno dei principi costituzionali più citati, ma anche meno difesi nella prassi. Denunce pretestuose per diffamazione e liti temerarie contro i giornalisti vengono spesso utilizzate non per veder tutelata (e risarcita) la propria reputazione, ma per inibire l’iniziativa di chi indaga per far emergere verità che sempre più spesso vengono taciute. Nelle ultime settimane Domani è finito al centro di uno scontro con Eni che ha chiesto il pagamento di 100mila euro entro dieci giorni a titolo di risarcimento per una presunta campagna diffamatoria.
Il tutto senza aver avviato alcuna azione di tipo giudiziario. La materia è complessa, tuttavia «la tutela generale è insufficiente. Per i giornalisti è necessario un regime di tutela specifico, meglio rispondente alle peculiarità del mondo dell’informazione», spiega l’ex magistrato Nello Rossi, direttore editoriale di Questione giustizia, la rivista giuridica di Magistratura democratica.

La professione giornalistica merita particolare tutela giuridica?
È evidente che la libertà di informazione si salvaguarda “anche” fornendo ai giornalisti, che ne sono i principali attori, un quadro di certezze e di garanzie giuridiche. Il che significa misurarsi con i problemi posti dalla figura bifronte del giornalista, che ha due volti diversi e opposti.
Quali?
Per un verso il giornalista, che di regola vive solo del proprio lavoro, è un soggetto debole, che deve essere protetto dalle possibili ritorsioni e intimidazioni dei detentori del potere politico o economico. Ma egli esercita anche un temibile potere nei confronti dei singoli cittadini perché – con l’uso arbitrario della sua libertà – può ledere beni preziosi come l’onore personale e professionale e la reputazione. Di qui l'esigenza di contemperare tutela e responsabilità.
Una recente sentenza della Corte costituzionale è intervenuta, dichiarando parzialmente incostituzionale il carcere per i giornalisti in caso di diffamazione a mezzo stampa, nell’inerzia del parlamento. Quali interventi legislativi servirebbero, oggi?
In Italia le condanne di giornalisti a pene detentive per il reato di diffamazione erano ormai una rarità assoluta. Ma la decisione della Consulta resta importante perché ha chiarito definitivamente che il carcere per i giornalisti è in contrasto con la Costituzione e che una pena detentiva è concepibile solo nei casi limite dell’aperta istigazione alla violenza e dei discorsi di odio. La stessa Corte era consapevole che la sua decisione avrebbe comunque avuto una portata limitata e perciò l’aveva rinviata di un anno, sollecitando il parlamento ad approvare una nuova disciplina in materia di diffamazione a mezzo stampa e di azioni civili temerarie. Purtroppo, come già accaduto per la disciplina del fine vita, il termine annuale è decorso senza interventi del legislatore, che restano però indispensabili.
Non esiste solo la dimensione penale, dunque. Uno degli strumenti tipici per inibire l’iniziativa giornalistica sono le azioni civili temerarie: costano solo le spese di giudizio a chi le propone, ma per un giornalista – specialmente un freelance – sono un peso che spesso si trascina per anni. È una prassi che si può inibire?
In quest’ambito non sono concepibili divieti o preclusioni assolute. Contro gli abusi – che ci sono – occorre invece mettere in campo un forte potere deterrente che oggi nel nostro ordinamento non esiste. Con lo sguardo rivolto soprattutto ai giornalisti più giovani spesso precari e privi di copertura assicurativa.
Come si accerta la temerarietà di una causa e che elementi devono integrare la malafede e la colpa grave di chi agisce in giudizio?
Gli indici rivelatori della colpa grave o della malafede possono essere diversi. Una rappresentazione gravemente falsata di fatti che potevano essere accertati con la normale diligenza. La deliberata scelta di ignorare orientamenti interpretativi consolidati. Errori marchiani sul piano procedurale. Inoltre la parte soccombente può essere condannata d’ufficio a pagare un’ulteriore somma, determinata equitativamente dal giudice, quando questi ritenga che vi sia stato un vero e proprio “abuso” dello strumento del processo.
Queste norme di carattere generale sono sufficienti a tutelare i giornalisti da azioni intimidatorie o ritorsive?
A mio avviso no. Nel contenzioso riguardante i giornalisti entrano in campo variabili – economiche, politiche, culturali – che richiedono un regime di tutela specifico, meglio rispondente alle peculiarità del mondo dell’informazione.
Come sarebbe possibile realizzare una maggiore deterrenza?
Chi promuove un’azione civile, rigettata dal giudice perché chiaramente infondata e pretestuosa, dovrebbe essere a sua volta condannato a pagare al giornalista una somma elevata a titolo di risarcimento. Somma che può essere predeterminata per legge – ad esempio un quarto della domanda risarcitoria, come prevede il disegno di legge Di Nicola all’esame del Senato – o quantificata dal giudice a partire da una significativa soglia legale. Una sorta di contrappasso per scoraggiare le richieste di risarcimenti milionari, proposte con la prevalente finalità di intimidire. Tuttavia siamo ancora all’anno zero e, nonostante molte proposte di legge si siano susseguite negli anni, nessuna è mai arrivata all’approvazione. In effetti la politica non sembra aver l’interesse o la capacità di adottare iniziative riformatrici. Al Senato sono da tempo impantanati sia il ddl Di Nicola in materia di liti temerarie, sia il disegno di legge di riforma complessiva del reato di diffamazione a mezzo stampa, che peraltro è stato oggetto di numerosi rilievi critici da parte di organismi rappresentativi dei giornalisti. Sono state criticate, in particolare, la mancata depenalizzazione della diffamazione (rimangono infatti in vita multe penali ritenute troppo elevate) e il regime delle rettifiche che estinguerebbero il reato ma solo a patto che la rettifica sia pubblicata senza alcuna replica.
È la politica ad avere più da perdere se si crea un deterrente alle querele temerarie?
Non sono un esperto di retroscena politici. Ma credo che la politica dovrebbe avere più coraggio e più capacità innovativa. E non solo sul versante delle liti temerarie. Si deve puntare maggiormente sulla giustizia riparativa che rammenda gli strappi e le lacerazioni del tessuto sociale provocati dall’illecito. Nella società dell’informazione e dell’immagine la più incisiva riparazione del danno provocato da un articolo lesivo dovrebbe consistere nella pubblica ammissione dell’errore e nella “restaurazione” della reputazione compromessa.
Un capitolo a parte va dedicato anche alle querele dei magistrati ai giornalisti. Il tema è delicato perché si tratta di due figure di controllo democratico, che però spesso si scontrano ed esiste un preconcetto che dice che i magistrati querelanti vincano sempre, perché il giudice della controversia è loro collega.
Da più parti si sono di recente levate critiche contro i magistrati che propongono querele. Non le trovo giuste. Da un lato le statistiche giudiziarie smentiscono ampiamente la tesi che i magistrati “vincano sempre”. Dall’altro lato c’è da considerare che per un magistrato l’onore professionale e la reputazione non sono orpelli ma strumenti essenziali di lavoro, che a volte è necessario difendere accettando il rischio del giudizio. Piuttosto c’è da superare il malvezzo per cui una affermazione diventa vera se non c’è stata una querela.
Siamo di fronte all’ennesimo cortocircuito di un sistema imperfetto?
La libera stampa e la magistratura indipendente devono operare come “poteri infedeli”, liberi da pregiudiziali vincoli di fedeltà verso altri poteri ma anche pronti a controllarsi reciprocamente. È quando questa “sana” relazione di reciproca infedeltà si inceppa, quando i due poteri non si controllano a vicenda ma si coalizzano e colludono impropriamente che cominciano le deviazioni e le scorrettezze.

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Intervista di Giulia Merlo al direttore di Questione Giustizia Nello Rossi, apparsa sul Domani on-line del 10 agosto e nel quotidiano del 4 settembre

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