[Area] Magistratura democratica Newsletter 19

Magistratura democratica md a magistraturademocratica.it
Mar 12 Ott 2021 20:01:41 CEST


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[Magistratura Democratica]

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12 ottobre 2021

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Cari lettori,

questa newsletter si occupa di un preoccupante fatto di cronaca: l'assalto alla sede nazionale della Cgil.

Quindi, in una intervista diLiana Milella,Nello Rossiaffronta il tema del diritto all'eutanasia.

L'avvocato Michele Passione, in un articolo sul Domani, si sofferma sulla possibilità di un dissenso critico legato alla vicenda Lucano.

Si torna poi su un altro grave problema, affrontato nel convegno "Un mare di vergogna" a Reggio Calabria: i diritti fondamentali delle persone migranti, spesso violati e calpestati. Ne parlano Fulvio Vassallo Paleologo edEmilio Sirianni.

Infine, l'annuncio del festival, previsto a Urbino e Pesaro dal 22 al 24 ottobre: "Parole di giustizia". Al centro di questa edizione è il senso di insicurezza che attraversa la società.

L'appuntamento con la newsletter MD, salvo eccezioni, è ogni martedì, alle ore 20

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La sede nazionale della Cgil devastata #1
Un grave attacco alla democrazia

Il violento assalto alla sede nazionale della Cgil, operato da formazioni di estrema destra, rappresenta una grave ferita per la democrazia costituzionale: un colpo inferto alla difesa collettiva dei diritti e alle conquiste di chi ha sempre lottato per la sicurezza sul lavoro e l’emancipazione dei lavoratori dallo sfruttamento. Magistratura democratica esprime tutta la sua vicinanza alla Cgil, avvertendo al contempo il pericolo che gruppi organizzati di stampo squadrista, attraverso azioni violente come quelle verificatesi ieri a Roma, possano prendere il controllo del malcoltento.
Le immagini dell’attacco alla sede centrale della Cgil da parte di un folto gruppo di manifestanti provenienti dalla vicina Piazza del Popolo, dove poco prima migliaia di persone, riunite per contestare l’obbligatorietà del Greenpass, avevano accolto calorosamente chi inneggiava “oggi ci prendiamo Roma”, rendono ormai evidente la matrice fascista che ha guidato la protesta.
Un dissenso finora espressosi attraverso manifestazioni pacifiche rischia così di essere cavalcato da formazioni di estrema destra, che hanno obiettivi del tutto diversi dalla tutela del lavoro e delle libertà costituzionali.
Attaccando il più grande sindacato dei lavoratori si è infatti voluto colpire la stessa idea di difesa collettiva dei diritti e le conquiste di chi ha sempre lottato per la sicurezza sul lavoro e l’emancipazione dallo sfruttamento; si è voluto affermare, con la violenza, una concezione di libertà che è la negazione stessa di quella scolpita nella nostra Costituzione, ove la dignità di ogni individuo è tale se ne è garantita la libertà dai bisogni e la partecipazione al benessere comune.
Magistratura democratica, da sempre attenta alle posizioni critiche che provengono dalla società, coglie il pericolo che, attraverso azioni come quelle verificatesi ieri a Roma, possano prendere il controllo del malcoltento gruppi organizzati di stampo squadrista ed esprime la sua vicinanza alla Cgil.

Comunicato dell'Esecutivo di Magistratura democratica del 10 ottobre

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La sede nazionale della Cgil devastata #2
Per la Costituzione, contro i fascismi

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Abbiamo ancora negli occhi le scene dei violenti scontri di sabato scorso 9 ottobre a corollario della manifestazione No Vax che ha richiamato a Roma circa 10 mila persone: non ci lasciano le immagini dell’assalto alla sede della Cgil di Corso Italia, i manganelli, le devastazioni, le braccia tese nel saluto romano.
Ci indignano i tentativi di sminuire la portata di questi fatti drammatici ignorandone la matrice fascista: e non cediamo alla tentazione di nasconderci dietro le comode cortine di una malintesa neutralità che secondo una visione distorta della collocazione istituzionale della magistratura dovrebbe distoglierci da ogni presa di posizione. Siamo magistrati, ed abbiamo giurato sulla Costituzione antifascista: abbiamo il dovere di schierarci con tutti coloro che hanno letto quegli assalti come un gravissimo attacco a tutta la democrazia da parte di forze politiche organizzate che hanno cavalcato il movimento No vax per compiere un’azione in classico stile squadrista, colpendo la maggiore organizzazione rappresentativa dei lavoratori e delle lavoratrici del Paese, inneggiando alla libertà mentre si brandivano i manganelli e si usava violenza contro chi si opponeva al loro assalto.
Ma vi è dell’altro: siamo magistrati che animano questa Rivista, con l’intento di farne organo e strumento di pensiero, e luogo di confronto, quanto più aperto e libero, tra le idee più diverse, anche quelle che non ci appartengono. Questo nostro impegno non solo non ci esime dall’espressione del nostro sentire, ma anzi ci spinge ad assumere una posizione pubblica, con chiarezza, ed intransigenza: per evitare ogni sottovalutazione ed ogni confusione, per richiamare la nostra adesione ai valori democratici e dell’antifascismo incarnati dalla nostra Costituzione. Per queste irrinunciabili ragioni anche Questione giustizia aderisce alla manifestazione di sabato 16 ottobre indetta da Cgil Cisl e Uil: questo è uno di quei momenti in cui dobbiamo, vogliamo esserci anche noi. Di questo rendiamo conto ai nostri lettori, convinti come siamo che l’indifferenza, oggi più che mai, sia null’altro che complicità.

Testo della Direzione di Questione Giustizia, pubblicato l'11 ottobre

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Intervista a Nello Rossi di Liana Milella
«Diritto all'eutanasia, serve una legge»

“L’Italia è uno stato laico. Il che implica il massimo rispetto per le convinzioni dei cattolici, per i quali la vita è un dono indisponibile, ma anche la capacità dello Stato, ove vi sia una maggioranza in Parlamento, di procedere per la sua strada, disciplinando l’eutanasia legale. Che non imporrà nulla ai credenti, ma consentirà a ciascuno la decisione di porre fine a una vita ridotta a intollerabile, e spesso mortificante, sopravvivenza”. Dice così Nello Rossi, ex procuratore aggiunto di Roma che ha chiuso la carriera da avvocato generale in Cassazione, e oggi direttore di Questione Giustizia, la rivista online di Magistratura democratica, che più volte in questi mesi ha affrontato il nodo dell’eutanasia.
In Cassazione, da ieri, ci sono 1.239.423 firme per chiedere il diritto all’eutanasia. Da magistrato le ritiene tante o poche?
“Un sostegno così forte all’iniziativa referendaria trasmette un messaggio preciso. Moltissimi cittadini ritengono che i tempi sono maturi per il riconoscimento della libertà di ciascuno di porre fine alla propria vita in modo dignitoso e senza patire sofferenze ulteriori rispetto a quelle, divenute intollerabili, derivanti da malattie incurabili o da trattamenti artificiali di mera sopravvivenza. Il che significa abbandonare l’idea della indisponibilità della vita e far entrare nel catalogo dei diritti individuali quello di decidere di sé sino all’ultimo atto dell’esistenza”.
Ammetterà che tante firme rappresentano sicuramente una forte messa in mora del Parlamento dopo la sentenza della Consulta sul caso Cappato che risale addirittura al 27 novembre del 2019…
“È un fatto che, sino ad ora, le questioni di vita e di morte poste da tante situazioni estreme e drammatiche sono state affrontate e decise – a mio avviso con misura e saggezza – nei tribunali, dai giudici comuni e dal giudice costituzionale. Ma ciò ha comportato che a vicende umane tragiche si sia aggiunto il calvario, spesso inevitabile, di processi penali dall’esito incerto fino alla fine. È venuto il momento che la Repubblica offra in questo campo certezze e concreta assistenza”.
Queste firme, con i casi di cronaca che si accavallano - da Dj Fabo, a Daniela, a Mario, a Laura, ad Antonio, solo per citare quelli seguiti dall’Associazione Luca Coscioni - non dimostrano che ancora una volta le Camere sono spaventosamente in ritardo rispetto alle richieste degli italiani?
“Non vedo un legislatore inerte. Registro, piuttosto, un prolungato stallo del Parlamento. Eppure la Corte costituzionale, con le sue pronunce, ha indicato un percorso ragionevole sul tema del fine vita. Mi chiedo allora: perché non imboccarlo con decisione ed insistere su contrapposizioni ideologiche che finiscono con l’essere e con l’apparire crudeli a fronte delle cronache angosciose di cui lei parla?”.
Che previsioni fa sull’esito del referendum? La Consulta lo riterrà ammissibile?
“Sarebbe arduo fare previsioni ed è un compito che non mi compete. Ma è certo che, qualunque sarà la soluzione adottata, si tratterà di una delle decisioni più difficili che la Corte abbia mai dovuto prendere”.
Cerchiamo di capire perché decidere sarà così difficile. Ipotizziamo che ci possa essere un via libera della Corte. E che, a seguire, gli italiani votino facendo superare al referendum il quorum necessario. Guardiano il testo che uscirebbe in caso di vittoria. Che propone di abrogare la parte dell’articolo 579 del codice penale che oggi punisce con una pena molto alta - da 6 a 15 anni - “l’omicidio del consenziente”. Questo nuovo testo sarebbe applicabile e accettabile?
“Questo è un punto sul quale occorre essere fino in fondo chiari. Leggendo il quesito referendario e valutando la cosiddetta normativa di risulta - cioè la norma che scaturirebbe dalla parziale abrogazione dell’articolo 579 del codice, che oggi punisce l’omicidio del consenziente – si constata che la vittoria del “si” avrebbe un unico effetto: cancellare la sanzione penale per chiunque (familiare, amico, medico, altro “incaricato”) sopprima, con il suo consenso, una persona maggiorenne, sana di mente, libera e consapevole nella sua volontà di morire”.
Sta dicendo che, con un testo come questo, ci sarebbe chi potrebbe approfittarne?
“Dico che la pura e semplice “depenalizzazione” dell’omicidio del consenziente, nei termini di cui ho detto, si porrebbe su di un piano completamente diverso da quello dell’eutanasia attiva volontaria esistente in altri Paesi. Nei quali l’eutanasia è ammessa in situazioni patologiche gravissime, accompagnata da regole certe sulla prestazione del consenso e sulla sua revocabilità sino all’ultimo momento, affidata a medici che sono legittimati a praticarla dopo aver acquisito il parere di organismi etici ed attuata in forme rispettose della dignità umana, avendo cura di non provocare ulteriori sofferenze. Aggiungo che estendere all’omicidio del consenziente le regole del “consenso informato” per i trattamenti terapeutici non sarebbe né facile né scontato”.
Ha letto cosa ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, proprio ieri davanti a una platea di medici? Dice che “suscita una grave inquietudine la prospettiva di un referendum per depenalizzare l'omicidio del consenziente”. E aggiunge che “non vi è espressione di compassione nell'aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali".
“Il nostro è uno Stato laico: ha dovuto ricordarlo di recente il presidente del consiglio in carica, intervenendo nelle discussioni suscitate dal ddl Zan contro l’omofobia. Il che implica il massimo rispetto per le convinzioni dei cattolici, per i quali la vita è un dono indisponibile, ma anche la capacità dello Stato, ove vi sia una maggioranza in Parlamento, di procedere per la sua strada, disciplinando l’eutanasia legale. Che non imporrà nulla ai credenti, ma consentirà a ciascuno la decisione di porre fine ad una vita ridotta a intollerabile, e spesso mortificante, sopravvivenza”.
Scusi, ma lei oggi non vede quali sono le difficoltà in cui si imbatte chi, tetraplegico e ridotto a una vita che non si può definire una vita, vuole morire e cerca di ottenere l’autorizzazione al suicidio? Rispetto alla sentenza della Consulta si accavallano le difficoltà, gli ostacoli, ma soprattutto lo scaricabarile di chi, come le Asl, dovrebbe fornire risposte. E allora non è il momento di intervenire?
“Seguo anch’io, con dolorosa partecipazione, le storie di disperazione riportate dalla stampa. Purtroppo esse sono figlie della mancanza di una normativa chiara che obblighi le istituzioni a rispondere tempestivamente ad una richiesta di morte medicalmente assistita. Il testo base di una vera e necessaria legge sull’eutanasia, oggi all’esame delle commissioni della Camera, prevede l’intervento di un medico e una procedura di decisione ragionevolmente rapida e garantita. La chiave di soluzione del problema è lì”.
Lei è un laico e sostiene di essere a favore dell’eutanasia. Non ritiene che troppi ostacoli normativi - come il moltiplicarsi delle autorizzazioni - di fatto la rendano impossibile?
“In questo campo le garanzie legali sono assolutamente indispensabili per scongiurare abusi e rischi di una nuova eugenetica a danno di anziani o deboli . Ma esse possono coniugarsi con una procedura ragionevolmente rapida. Su questo aspetto il referendum non dice e non può dire nulla. Perciò, di fronte ad esso, anche chi è favorevole all’eutanasia rischia di trovarsi interiormente diviso. Tra il “desiderio politico” che l’eutanasia sia introdotta anche in Italia e la “razionalità giuridica” che gli ricorda che la soluzione referendaria genererebbe gravi problemi e, con ogni probabilità, darebbe vita a nuovi, angosciosi processi penali“.
Quindi lei pensa che, comunque, una legge serva ugualmente? E al Parlamento direbbe che va fatta prima del referendum in modo da evitarlo?
“Non c’è dubbio che sia così. Il Parlamento deve uscire dal pantano, approvare rapidamente il testo già ampiamente discusso, sciogliendo gli ultimi nodi ancora da dipanare”.
La Consulta, sul caso Cappato, aveva posto quattro condizioni, ammettendo l’aiuto al suicidio per “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”. Non sarebbe sufficiente attenersi a tutto questo, che è già molto impegnativo e oggi non viene rispettato, per fare una legge?
“Nulla può sostituire una legge e le certezze che può offrire sui tempi e sulla procedura da seguire per rispondere ad una persona che abbia indiscutibili ragioni per scegliere di por fine alla sua vita con dignità e senza sofferenza. C’è però un punto essenziale da chiarire: il concetto di “trattamento di sostegno vitale” che legittima la richiesta dell’eutanasia - di cui parlano il giudice costituzionale e il testo all’esame della Camera - non può essere rappresentato solo da nutrizione, idratazione e respirazione artificiale. Deve essere esteso a cure, ad es. quelle chemioterapiche, che tengano in vita una persona solo a prezzo di gravi sofferenze. La richiesta di eutanasia dovrebbe essere ammessa anche in questi casi. Come qualche tribunale ha già detto in maniera argomentata e condivisibile”.

Intervista a Nello Rossi, direttore di Questione Giustizia di Liana Milella, pubblicata su La Repubblica on-line di sabato 9 ottobre.

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La vicenda Lucano
Il dissenso critico sulla sentenza

“Il rispetto del vincolo della legalità” (processuale, sostanziale, costituzionale) non può e non deve consentire incursioni corsare incuranti di quanto accertato in aula e svilire i principi scolpiti nella Costituzione, ma neanche impedire il legittimo dissenso critico.
Sulla sentenza emessa lo scorso 30 settembre dal Tribunale di Locri sono state dette molte cose da parte di autorevoli commentatori, che hanno per lo più concentrato le critiche sulla sproporzione della sanzione concernente il principale imputato (Lucano) e sulla supposta volontà di cancellare un modello di accoglienza dei migranti che, pur probabilmente contraddistinto da forzature (reati, per i giudici calabresi), sarebbe stato inviso a buona parte dell’establishment.
“Il rispetto del vincolo della legalità” (processuale, sostanziale, costituzionale) non può e non deve consentire incursioni corsare incuranti di quanto accertato in aula e svilire i principi scolpiti nella Costituzione, ma neanche impedire il legittimo dissenso critico.
Sulla sentenza emessa lo scorso 30 settembre dal Tribunale di Locri sono state dette molte cose da parte di autorevoli commentatori, che hanno per lo più concentrato le critiche sulla sproporzione della sanzione concernente il principale imputato (Lucano) e sulla supposta volontà di cancellare un modello di accoglienza dei migranti che, pur probabilmente contraddistinto da forzature (reati, per i giudici calabresi), sarebbe stato inviso a buona parte dell’establishment.
LA PRESA DI POSIZIONE DELL’ANM
Mi interessa piuttosto evidenziare come i fatti di Riace abbiano determinato l’Anm ad emettere un comunicato stampa con il quale, richiamati “i valori della giurisdizione”, ci si è soffermati su “alcuni principi che devono essere sempre preservati nel dibattito pubblico sulle vicende giudiziarie”.
Al dunque, si è così (ovviamente) riconosciuto spazio di critica su quanto avviene nelle aule processuali, rilevandosi tuttavia che poiché “i processi penali, tutti, sono una laboriosa ricerca della verità…che è approdo finale, e non premessa del processo”, debba stigmatizzarsi “l’attacco mediatico nei confronti dei magistrati requirenti e giudicanti”.
Non è certo la prima volta che il sindacato dei giudici prende posizione (con richiesta o meno di “pratiche a tutela”) a difesa di una decisione, ma qui è interessante notare come la nota sembri riferirsi in particolare a chi, dall’interno della magistratura (Magistratura Democratica) ha invitato ad aprirsi alla civitas e ad uscire dalla cittadella assediata.
Ora, premesso il relativismo processuale della verità, non occorre qui richiamare il pensiero di Derrida (Forza di legge. Il “fondamento mistico dell’autorità”) sul rapporto asimmetrico del Diritto con la Giustizia, avendo sostenuto il filosofo francese che “la forma giuridica è l’esito di rapporti di forza politico-economici”.
Muovendo dalla diversa prospettiva secondo la quale “nell’epoca moderna…la cultura occidentale si è nutrita di una concezione della Giustizia in cui tutti i rapporti morali, giuridici e politici confluiscono nella medesima idea di legalità, sicché tende ad apparire giusto ciò che è conforme alla legge” (Ricoeur), si è affermato (Cartabia, Violante) che “il Diritto e la Giustizia devono tornare a dialogare, che il Diritto e la Morale devono gravitare su orbite distinte, ma non del tutto inincidenti”, e anche che (Lombardi Vallauri) “Il Diritto, per sfuggire al rischio di porsi come dinamica autoreferenziale, deve essere giustificato filosoficamente a partire da opzioni valoriali che attengono alla concezione della Giustizia”.
LA CULTURA DELLA GIURISDIZIONE
Sia come sia, penso davvero che “la cultura della giurisdizione” (formula spesso abusata, quasi sempre per nobilitare posizioni conservatrici) si alimenti con le aperture ad ogni istanza di natura sociale, in particolare per alcuni rami del diritto, ciò non significa e non deve significare che i giudici debbano corrispondere alle aspettative popolari (populiste), né quando esse invochino law and order, giustizia per le vittime, pene esemplari, né quando (come – pur solo da una parte – nel caso di specie) si critichi una durissima sentenza di condanna. Su questo, penso, gli avvocati avrebbero qualcosa di interessante da dire, e forse questa storia potrà offrire nuova occasione di confronto sul punto.
Con una lettura dei fatti parzialmente diversa da quella che qui si propone il Presidente dell'Ucpi (con un lungo post su Facebook, dunque con posizione apparentemente non coinvolgente la Giunta dell'Unione) ha parlato di “vera matrice ideologica del pur legittimo fronte innocentista, che non ha nulla a che fare con il tema delle garanzie difensive”.
Credo che Gian Domenico Caiazza abbia colto solo in parte le prese di posizione di Livio Pepino, Luigi Manconi, Luigi Ferrajoli, e altri ancora, che non hanno affatto nascosto la possibile sussistenza di reati nelle condotte tenute da Mimmo Lucano, evidenziando piuttosto altri aspetti, non solo afferenti la draconiana sanzione.
Credo dunque che sia riduttivo parlare dell'esistenza di “un mondo valoriale nel perseguimento del quale si è unilateralmente persuasi che non sia lecito opporre il vincolo del rispetto della legalità”.
Ovviamente, spesso tout se tient, e la stessa Anmha richiamato l'epilogo della vicenda trattativa in uno con quello del processo di Locri. Vicende diverse, reazioni diverse; del resto, ogni storia processuale vive di dinamiche sue proprie.
Resta il fatto che “il rispetto del vincolo della legalità” (processuale, sostanziale, costituzionale) non può e non deve consentire incursioni corsare incuranti di quanto accertato in aula e svilire i principi scolpiti nella Costituzione, ma neanche impedire il legittimo dissenso critico. Nessuno pretende che “la giustizia penale faccia propri quei valori” (quelli patrocinati a Riace, e poi in aula, da Mimmo Lucano), ma credo che nessuno tra gli autorevoli commentatori dell'affaire abbia chiesto rinunzie “in nome di essi a giudicare fatti e conformità alla legge delle condotte [che] equivale a negare il valore universale del diritto e della legge”.
Lo ius dicere è affare di tutti; sono gli uomini, e non Atena, che devono continuare a fare in modo che “dire il Diritto” non sia compito sacerdotale, né popolare; in nome del popolo, non solo italiano.

Articolo di Michele Passione sul Domani di venerdì 8 ottobre

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Un mare di vergogna #1
A chi non piace il modello Riace

Un confronto sugli obblighi di soccorso in mare sanciti dal diritto internazionale e dall’ordinamento italiano, ma anche un’occasione di rinnovato impegno sul fronte della difesa dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione. Questo è stato il convegno “Un mare di vergogna” promosso da Magistratura democratica in collaborazione con l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione a Reggio Calabria l’1 ed il 2 ottobre. A partecipare, un fronte solidale comune che vede impegnati, con differenti ruoli, magistrati, avvocati, giornalisti, associazioni non governative, cittadini. Il convegno si è svolto mentre nel Mediterraneo si continuava a morire, nell’indifferenza generale, in una fase caratterizzata da una riconferma degli accordi con i libici, anche a fronte della contiguità di diversi settori della Guardia costiera libica con organizzazioni criminali e della scomparsa, confermata dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni e da Amnesty international, della maggior parte dei migranti intercettati in acque internazionali e riportati in Libia, scomparsa dietro cui si cela la restituzione di migliaia di persone a trafficanti senza scrupoli che ne abuseranno e che li utilizzeranno per ulteriori estorsioni. È questo un mare di vergogna. Negli stessi giorni che hanno preceduto il convegno si è appreso della sentenza su Mimmo Lucano e sul sistema di accoglienza diffusa a Riace, che ha scosso le coscienze di tutti i partecipanti, da sempre in prima linea per affermare i valori di legalità e solidarietà sul territorio ed in particolare in una terra come la Calabria dove ampi settori del sistema di accoglienza sono risultati inquinati.
Come aveva accertato già nel 2017 la Commissione parlamentare di inchiesta sui centri per stranieri in Italia, senza che però seguisse una bonifica del sistema che invece è rimasto appannaggio di grosse organizzazioni che hanno puntato su centri tanto grandi quanto caratterizzati ancora oggi da una gestione opaca e fortemente legata ai poteri locali. E proprio dal 2017 partivano in parallelo le campagne di criminalizzazione dei soccorsi umanitari e dell’accoglienza diffusa con il risultato raggiunto di uno svuotamento del Mediterraneo centrale, ormai privo di mezzi di soccorso statali ma anche di navi della società civile in grado di salvare quelle migliaia di persone che venivano soccorse negli anni fino ad allora, a cui corrisponde lo smantellamento del sistema di accoglienza. Al punto che dopo gli ultimi soccorsi operati al largo delle coste calabresi i naufraghi sono stati costretti a sbarcare nel porto di Messina per la mancanza di posti nei centri di accoglienza in Calabria. Una regione che è diventata meta di una nuova rotta dall’Egitto e dalla Libia orientale, battuta in gran parte da profughi di guerra e gestita da trafficanti ucraini e di altri Paesi dell’Europa orientale. Sono questi i dati reali con i quali ci siamo confrontati, ben lontano dagli scontri ideologici e dalle opinioni pregiudiziali, basate spesso su vere e proprie falsità, che dominano il dibattito politico e purtroppo cominciano a trasparire anche in recenti provvedimenti della giurisprudenza. Nelle parole dei magistrati che hanno coordinato le diverse sezioni del convegno un richiamo forte al ruolo della giurisdizione per la difesa della centralità della persona, del rispetto degli obblighi di soccorso in mare, del sistema gerarchico delle fonti normative e del principio di indipendenza della magistratura, garanzia dello Stato di diritto nel nostro Paese. Una indipendenza dal potere politico che deve costituire garanzia del rispetto dei diritti fondamentali della persona, non certo separatezza ed autoreferenzialità, che pure sembrano riemergere in alcuni settori dopo le reazioni indignate alla sentenza su Riace. Sarà un impegno di lungo periodo, al quale potrà contribuire anche la giurisdizione, capovolgere la narrazione dominante che anestetizza le coscienze e battere i virus culturali che hanno attaccato i valori fondanti del patto Costituzionale ed i diritti fondamentali della persona

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Articolo di Fulvio Vassallo Paleologo, giurista e uno dei protagonisti del convegno di Reggio Calabria, pubblicato dal settimanale Left, in edicola da venerdì 8 ottobre

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Un mare di vergogna #2
Quando le norme annullano la solidarietà

Ci sono due passaggi dell'ordinanza del Tribunale di Catania, che si riferiscono al sequestro della nave Open Arms nel marzo del 2018. In quell'occasione l'equipaggio, dopo aver salvato alcune decine di migranti rifiutò di consegnarli alle forze navali libiche. Poi, saltato anche l'approdo a Malta, arrivò alle nostre coste, superando anche gli ultimi ostacoli formali che erano stati frapposti dalle autorità italiane, fino a quando la nave non venne sequestrata, ipotizzandosi il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
La norma è palesemente in conflitto con azioni di solidarietà e di aiuto in mare, come in questo caso. I conflitti sono inevitabili. Come dovrebbero dovrebbero essere risolti dai giudici? In quella ordinanza il Tribunale di Catania pone un'azione di necessario contemperamento degli obblighi di norme nazionali e internazionali sulla salvaguardia di persone che rischiano il naufragio, con la tutela dell'ordine pubblico, le esigenze di sicurezza e di pacifica convivenza all'interno di ogni singolo Stato, aggiungendo che si dovrebbero porre sullo stesso piano gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali con le regole di condotta previste dalla legge Minniti. Quindi, una visione sorprendentemente orizzontale, dove tutto è sullo stesso piano: diritto d'asilo, pericolo per l'incolumità e la vita umana, obblighi di salvataggio in mare e un documento di natura paracontrattuale quale quello ideato dal Ministro degli Interni. Una visione nella quale si disperdono quei “mai più” pronunciati dopo l'apertura dei cancelli di Auschwitz e di Birkenau, dove la norma va ricercata faticosamente dal giudice in un affastellarsi di atti dove si può trovare tutto e il contrario di tutto. Nel mestiere di giudice si dovrebbe essere capaci di individuare il senso delle norme primarie, per recuperare quella verticalità che sembra disperdersi in certe decisioni, ed essere capaci di illuminare queste ultime nella realtà in cui le norme debbono essere applicate. Probabilmente è lo snodo più difficile davanti al quale è posto un magistrato: un passaggio, in alcune decisioni che suscitano clamore, che pare essere stato, a volte, rimosso.
La realtà ha troppe sfaccettature per essere incasellata all'interno di una informativa di polizia giudiziaria. Per comprendere quello che è successo in un contesto di accoglienza come quello di Riace, dobbiamo aspettare le motivazioni della sentenza, ma alcune cose balzano agli occhi: sono state messe in evidenza da personalità dotate di cultura giuridica.
Magistratura democratica è nata con una prassi che rappresentò un momento di rottura all'interno della corporazione e che fu definita come interferenza. Invece non era altro che la critica dei provvedimenti giudiziari fatta da chi esercita funzioni giudiziarie, in maniera tale che l'esercizio della giurisdizione diventi un momento di trasparenza. Ancora oggi, a distanza di 50 anni, c'è un'enorme resistenza a questo esercizio di critico, che invece è indispensabile perché la democrazia funzioni.

Sintesi dell'introduzione di Emilio Sirianni (presidente di sezione della corte d'appello di Catanzaro), al congresso di Reggio Calabria

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Un mare di vergogna, i video

I link per rivedere il convegno di Reggio Calabria:
https://www.radioradicale.it/scheda/647871/
https://www.radioradicale.it/scheda/647872/

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L'evento

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