[Area] La risposta paradossale: contro i diritti, contro la razionalità
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Sab 11 Mar 2023 15:05:19 CET
La risposta paradossale: contro i diritti, contro la razionalità
Il decreto-legge n. 20 del 2023 all'articolo 7 abroga il terzo e quarto
periodo dell'articolo 19 comma 1.1. del decreto legislativo n. 286 del
1998 (Testo unico sull'immigrazione) che consentiva il riconoscimento
della protezione speciale alle persone che in Italia avevano costruito
una vita privata e familiare. Norma per la quale, è di tutta evidenza,
non sussistono i requisiti della necessità e dell'urgenza previsti
dall'articolo 77 della Costituzione.
La riforma andrà a colpire persone che in Italia lavorano con contratti
regolari, hanno un'abitazione e spesso avevano trasferito qui anche la
famiglia. Persone, insomma, ormai parte integrante del sistema sociale
del nostro paese. La riposta ai morti di Cutro non è stata una
rivisitazione critica della _ratio_ punitiva e respingente che ha
governato le politiche migratorie, ma si propone di estromettere queste
persone dal sistema legale, impedire loro - nella volontà del Governo -
di chiedere un permesso per protezione speciale.
La conseguenza immediata potrà essere quella di produrre un esercito di
irregolari che non potranno essere allontanati, in mancanza di accordi
per il rimpatrio con la maggioranza dei paesi dai quali provengono e che
andranno ad alimentare il mercato del lavoro nero e dello sfruttamento o
della criminalità, su cui lucrano potentati economici sempre più
invadenti, interessati ad abbattere i costi della manodopera (ad esempio
nel settore agroalimentare o in quello della logistica).
Il diritto fondamentale della tutela della vita privata e/o familiare è
previsto dall'articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti umani e
dall'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
Europea, fonti sovraordinate ai sensi dell'art 10 e 117 della
Costituzione alle quali la legge ordinaria non potrà certo derogare. Non
sono diritti comprimibili. Sono diritti fondamentali che l'Europa
riconosce e di cui stimola la protezione.
Non corrisponde al vero, dunque, quanto si legge in alcune dichiarazioni
politiche, che la protezione speciale sarebbe contraria alla normativa
UE. Quasi tutti i paesi europei, infatti, a fianco delle ipotesi di
_status_ di rifugiato e protezione sussidiaria, previsti dalla direttiva
UE 2004/83/CE (cd. _Direttiva qualifiche_), prevedono ipotesi di
protezione complementare a tutela dei diritti fondamentali tutelati
dalle Carte sovranazionali o dalla propria normativa interna. Tale
possibilità è espressamente prevista dalla c.d. _Direttiva rimpatri_ (n.
2008/115/CE, art 6.4), dall'art. 6, co. 5, lett. c, del _Codice
frontiere Schengen_ - regolamento 2016/399 -, dall'art. 17(2)
_Regolamento Dublino_ 2013/604, dagli articoli 19 e 25 del _Codice
visti_ - regolamento 810/2009, e ne hanno usufruito, sia pure con
modalità diversificate, almeno 20 dei 28 Paesi dell'Unione europea
(Austria, Cipro, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia,
Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Malta, Paesi Bassi,
Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria).
Altra conseguenza dell'abrogazione introdotta dal decreto emanato ora
dal Governo, sarà quella di aumentare enormemente il contenzioso,
affidando ai giudici il compito di applicare le norme fondanti il nostro
ordinamento giuridico.
Anche il fine di scoraggiare gli ingressi "irregolari", perseguito con
l'aumento delle quote di ingresso di chi ha già un'offerta di lavoro in
Italia, non centra l'obiettivo.
Le quote di ingresso in questi anni non hanno funzionato, non solo
perché stabilite in misura infima rispetto alle reali esigenze e perché
recanti una procedura di attivazione particolarmente complessa
(nonostante le semplificazioni introdotte dall'articolo 2 del
decreto-legge n. 20 del 2023) soprattutto da parte di piccoli
imprenditori o privati, ma soprattutto perché in pochissimi saranno
coloro che chiameranno una persona loro sconosciuta, che vive all'estero
e le cui capacità lavorative non avranno la possibilità di sperimentare.
Inoltre, storia e realtà hanno dimostrato che i flussi migratori non
sono arrestabili, finché non cessano le ragioni politiche ed economiche
che spingono le persone a lasciare gli Stati di origine per cercare
altrove un luogo in cui sopravvivere.
Anche solo immaginare, infine, che il traffico di esseri umani si
combatta con l'innalzamento esorbitante delle pene per i c.d. scafisti,
è solo un'illusione che alimenta il mito del panpenalismo, al fine di
anestetizzare le paure sociali e tacitare le coscienze, individuando un
nemico da combattere, anzi da abbattere.
La tecnica legislativa, poi, lascia - ancora un volta - molto a
desiderare. La previsione penale, infatti, è strutturata con una formula
così ampia e indeterminata che pone seri problemi di aderenza ai
principi costituzionali, autorizzando interpretazioni che potrebbe
estenderne l'applicazione anche a chi interviene per garantire aiuti
umanitari.
Applicare questa nuova fattispecie di reato a chi "_dirige, organizza,
finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato
ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso
nel territorio dello Stato_" pone sullo stesso piano condotte
profondamente diverse tra loro, con una pena edittale minima
elevatissima.
Anche l'individuazione del nemico da abbattere con la sanzione penale è
frutto di approssimazione. L'esperienza dei processi penali celebrati
contro i c.d. scafisti ci insegna, infatti, che chi si assume il rischio
di condurre l'imbarcazione che ospita i migranti è di regola una persona
altrettanto vulnerabile, alla quale si affida il timone in cambio della
gratuità del viaggio o altri modesti vantaggi. Insomma: un povero tra i
poveri, non certo il gestore del traffico e neppure un tassello della
criminalità organizzata transnazionale che organizza il traffico di
esseri umani. Per i timonieri degli scafi la pena prevista dall'articolo
12 del decreto legislativo n. 286 del 1998 è già oggi elevatissima; se,
per come è usuale le persone trasportate sono più di 5, la pena prevista
va da 5 a 15 anni. Non erano necessari, perciò, né inasprimenti delle
pene, né nuove fattispecie di reato che non servono a garantire maggiore
sicurezza sociale e non tutelano meglio - neppure indirettamente - la
vita delle persone che attraversano il mare cercando una prospettiva
dignitosa di futuro.
Anche a fronte di sciagure così enormi come la strage di Cutro, non si
vuole prendere atto che non c'è alcuna contingente emergenza bensì un
fenomeno strutturale che deve essere governato e di fronte al quale
l'Europa e l'Italia hanno il dovere di adottare una legislazione utile a
fermare quello che si configura come un vero e proprio genocidio,
introducendo canali di ingresso legali: visti per ricerca di lavoro, per
lavoro, per richiesta di asilo, ecc.
L'ingresso regolare, e dunque necessariamente controllato attraverso
l'istituzione di canali legali, è l'unico mezzo che esclude la perdita
di vite, mette nel nulla i disegni di sfruttamento dei trafficanti di
vite umane, e consente all'essere umano che vi accede di vedersi
riconoscere il diritto di asilo garantito dalla Costituzione e di
coltivare le proprie legittime aspettative di vita e di lavoro.
_Esecutivo di Magistratura democratica_
_ _
_11 marzo 2023_
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