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Lun 17 Apr 2023 12:35:07 CEST


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Lettera ai mot
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Una lettera ai colleghi in tirocinio che in questi giorni popolano le
procure italiane, non scordando i mot che siamo stati affinché l’entusiasmo
non sia mai sopraffatto dalle incombenze quotidiane e mai smorzato dalle
delusioni.

Una delle storie che non cancellerò dalla memoria è quella di quel
testimone, un vigile del fuoco, che riferiva di ricordare perfettamente
l’ora in cui aveva assistito ad una aggressione, le 12:30, perché a
quell’ora preparava abitudinariamente il pranzo per sua figlia, una ragazza
disabile che ama mangiare la pastina al formaggino. Erano dettagli
irrilevanti per il processo, ma non erano irrilevanti per quell’uomo, quel
padre, che ha voluto lasciarci un pezzo di sé.

Per questo amate il vostro lavoro, anche quando è faticoso, quando lascia
l’amaro in bocca, quando non ripaga per gli sforzi fatti: perché ci rende
parte della storia di tante persone. Sono le vittime, in primo luogo. Ma ci
sono i testimoni, gli indagati, le forze dell’ordine, gli avvocati, i
colleghi.

Il tempo mi ha dato modo di vivere tante situazioni che incroceranno anche
il vostro cammino. Rammentatelo ogni volta che vi rapportate con una
qualunque delle parti, soprattutto un attimo prima di perdere la pazienza.
In udienza non potevo che osservare la dignità con la quale la giovane
collega, colpita dalla tragedia della malattia del marito (prima) e della
sua morte (poi), affrontava l’udienza: serena, professionale, anche ironica
laddove c’era da smorzare la tensione.

O la calma di quell’avvocata a cui il destino aveva strappato una bambina:
gli occhi spenti, ma l’ostinazione delle domande che, nel ruolo di
difensore della parte civile, rivolgeva al teste.

Non è vero che il P.M. insegue i fatti da *scoop*, quelli che ne esaltano
la figura sulla stampa, dandogli notorietà. Certamente qualcuno peccherà di
vanità, sarà sedotto dall’idea di anteporre sé stesso e la propria immagine
al caso. Figure così, sono effimere e scompaiono con la stessa velocità con
cui sono nate. Ma chi resiste, sotto le carte, nelle attese in Tribunale,
in mezzo alle scorte, è guidato solo dall’amore per ciò che fa.

Da qualche tempo, dopo gli anni dedicati al contrasto dei reati contro la
pubblica amministrazione, il settore delle “fasce deboli” mi ha aperto una
finestra su un mondo variegato, difficile, spesso disastrato. Col termine
“fasce deboli” ci si riferisce al settore che si occupa del contrasto ai
reati contro le vittime vulnerabili: maltrattamenti, *stalking*, violenza
sessuale. Ingloba anche speciali competenze di diritto civile, potendo il
P.M. esercitare facoltà che consentono l’apertura di istituti di sostegno
nei confronti di persone incapaci di provvedere a se stesse.

Il settore delle fasce deboli, tradizionalmente, è la Cenerentola degli
uffici di Procura e sarà, per restare in tema, la “favola” che vivrete, per
i più, al vostro ingresso in magistratura.

Spesso vi si assegnano, infatti, i “mot” poiché diventa l’occasione per i
Colleghi titolari di “scappare” verso settori considerati migliori. I
Colleghi che, invece, vi approdano dopo, magari per la necessità
determinata dalla decorrenza del termine decennale in altro settore,
piuttosto che dopo il mandato in DDA, la vivono comune un Purgatorio
necessario, ma transitorio (ma il più delle volte come una catastrofe
nucleare).

Meno tecniche e più emotive. Monotone poiché ripetitive. Emergenziali.
“Sempre le stesse cose” come se le cicliche recriminazioni degli avversari
politici rendessero gli abusi d’ufficio questo Canevale di Rio.

Sono queste le “lamentele” più comuni che si sentono a proposito delle
fasce deboli.

La verità è che quando ti occupi di fasce deboli scopri un mondo difficile
da esplorare. Entri negli aspetti più intimi della vita delle persone e
devi stare ben attento a non confondere i (pre)giudizi sugli stili di vita
o sulle scelte altrui, con i canoni di valutazione della prova. La
delibazione, più che mai difficile, passa sempre e solo per l’elaborazione
del Codice, della giurisprudenza, dunque per l’uso dei classici standard
probatori.

Le fasce deboli rappresentano un mondo che non vorresti conoscere o se lo
hai conosciuto te lo vorresti lasciare alle spalle: la condizione di
povertà di tante famiglie, dove un assegno di mantenimento di 200,00 euro
fa la differenza, la sofferenza di madri i cui figli – tossici, malati di
mente, alcolisti – le opprimono fisicamente e psicologicamente, ponendole
dinanzi al bivio della denuncia della loro stessa carne o del silenzio che
vuol dire quotidiano inferno.

Queste situazioni sono le più difficili da affrontare perché sei
consapevole che sia la vittima che il carnefice hanno bisogno di aiuto. E
tu puoi, vuoi e devi occuparti innanzitutto della vittima e sai che lo
Stato non si è dotato di strumenti sufficienti per lavorare sul
maltrattante patologico.

È una sconfitta dello Stato, che sentirai anche tua.

È spesso motivo di ripensamento per la vittima che si era decisa sì a
rinunciare, ma non può sopportare un figlio, una madre, un marito in
custodia cautelare in carcere.

Si tratta, infatti, di vittime, che non vogliono salvare solo se stesse, ma
anche l’altro. Nel mondo dei fragili, devi essere veloce perché un secondo
in più fa la differenza. Nel mondo dei fragili ti ricordi perché hai scelto
questo mestiere: per aiutare i più deboli, per combattere le ingiustizie,
per lottare contro i soprusi.

Più che mai, infatti, il settore delle fasce deboli ti consente di
intervenire dove c’è bisogno e di vedere il risultato del tuo lavoro con
tempestività. E quel giorno che sommerso dalle incombenze tornerai a casa
stanco, pensando che domani sarà di nuovo lo stesso turbinio, ad un tratto,
ripensando alla tua giornata, ti scapperà un sorriso.

Perché sei stato utile.

*Graziella Viscomi*
*Procura Catanzaro*
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