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Quello che hai fatto, nelle tue diverse funzioni e ruoli, per la giustizia italiana non deve essere dimenticato.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Edmondo Bruti Liberati <o:p></o:p></p><p class=MsoNormal><o:p> </o:p></p><p class=MsoNormal><o:p> </o:p></p><p class=MsoNormal>Corriere.it consultato 25 febbraio 2022 h 9.05<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Morta Liliana Ferraro: era tra le più strette collaboratrici di Falcone<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>di Giovanni Bianconi<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Conobbe il giudice antimafia nell’82 ad un convegno e fu lì che nacque l’amicizia scaturita nella collaborazione tra i due. Una vita dedicata alla lotta alla criminalità organizzata<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal style='text-indent:0cm'><o:p> </o:p></p><p class=MsoNormal>Ci sono persone importanti e famose per quello che hanno fatto, e ce ne sono di ugualmente importanti – sebbene meno famose – per quello che hanno fatto fare agli altri. A questa seconda categoria apparteneva Liliana Ferraro, magistrato salita alla ribalta delle cronache solo all’indomani della strage di Capaci, trent’anni fa. Era la principale collaboratrice di Giovanni Falcone, assassinato quand’era direttore generale dell’Ufficio affari penali del ministero della Giustizia, e Ferraro la sua vice. Dopo il 23 maggio del 1992 l’allora ministro Claudio Martelli la nominò direttore al posto del giudice ucciso dalla mafia. Ma di Falcone, Liliana Ferraro era diventata il braccio destro molti anni prima che lui approdasse a Roma.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Si incontrarono nel 1983, quando lei lavorava già al ministero e c’era il problema di supportare il pool antimafia messo in piedi dal consigliere istruttore Rocco Chinnici, fatto saltare in aria con un’autobomba, che arrancava tra mille rischi, difficoltà e scarsezza di mezzi. Ferraro cominciò a occuparsi di computer e auto blindate, e di ogni esigenza emersa dalle indagini sfociate nel maxiprocesso alle cosche. Nell’estate di sangue del 1985, dopo l’omicidio del vice-capo della Squadra mobile palermitana Ninni Cassarà, fu lei a organizzare il trasferimento di Falcone e Borsellino (con rispettive famiglie) nel carcere in disuso sull’isola dell’Asinara, deciso dalla sera alla mattina quando il prefetto le telefonò dicendole di non essere in grado di garantire la sicurezza dei due magistrati impegnati nella stesura dell’ordinanza di rinvio a giudizio di centinaia di mafiosi.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Finito il lavoro dei giudici istruttori, cominciò quello di Liliana Ferraro: stampare in gran segreto quel monumentale provvedimento (migliaia di pagine da riprodurre in centinaia di copie) presso il centro meccanografico del ministero del Tesoro, utilizzato per i cedolini degli stipendi statali. A Palermo era impossibile perché di punto in bianco non si trovava più la carta in città; in ogni negozio e centro di distribuzione le scorte di risme risultavano esaurite. Nel frattempo, sotto la sua regia, fu completata a tempo di record la costruzione dell’aula-bunker nel carcere palermitano dell’Ucciardone, la futuristica “astronave” blindata in grado di contenere in sicurezza migliaia di persone tra imputati, avvocati, giornalisti arrivati da tutto il mondo, pubblico.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>Di fronte alle difficoltà di celebrare in città di un dibattimento di dimensioni mai viste prima, si era ipotizzato di spostarne la sede a Roma o altrove, con una deroga alle disposizioni dei codici. Ma Falcone si era impuntato: lo Stato doveva processare la mafia laddove la mafia aveva sfidato e attaccato lo Stato, cioè a Palermo. Principio sacrosanto, che si è riusciti a tradurre in realtà grazie all’impegno quotidiano e pressante di Liliana Ferraro, che anche per quell’impresa dovette superare mille difficoltà. La collaborazione con Falcone divenne un’amicizia che l’ha vista sempre vicino al giudice, un passo indietro o di lato, nelle vittorie e nelle sconfitte, nei successi e nelle delusioni, fino all’ultimo anno vissuto a Roma, dove Ferraro lo aiutò in tutto: dalle questioni tecnico-giuridiche da risolvere all’acquisto di scope e detersivi per tenere pulito l’appartamento arredato messogli a disposizione dalla polizia, passando per la presentazione di nuove amicizie romane; piccoli spazi di normalità e spensieratezza in una vita tesa e complicata. Dopo la bomba di Capaci, Liliana Ferraro è uscita dall’ombra.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal>A parte la successione a Falcone al ministero, è diventata segretario della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata, componente del Consiglio di Stato, assessore alle Politiche per la sicurezza del Comune di Roma chiamata dal sindaco Walter Veltroni. In seguito sono arrivati altri incarichi pubblici, ma il suo nome è sempre rimasto inevitabilmente legato al lavoro svolto al fianco di Giovanni Falcone. Nelle celebrazioni per il trentesimo anniversario della strage che ha ucciso lui, sua moglie e gli agenti di scorta (e cambiato la storia d’Italia), sarà bene ricordare anche questa donna magistrato che, dietro le quinte, ha contribuito a farlo diventare il giudice antimafia più famoso al mondo.<o:p></o:p></p><p class=MsoNormal><span style='font-size:11.0pt;font-family:"Calibri",sans-serif'><o:p> </o:p></span></p></div><div id="DAB4FAD8-2DD7-40BB-A1B8-4E2AA1F9FDF2"><br /> <table style="border-top: 1px solid #D3D4DE;">
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