<html><head><meta http-equiv="Content-Type" content="text/html; charset=UTF-8" /></head><body style='font-size: 10pt'>
<div class="pre" style="text-align: justify;"><a href="https://www.giustiziainsieme.it/it/cultura-e-societa/3024-perfect-days-di-wim-wenders-recensione-di-dino-petralia"><span style="font-family: georgia, palatino, serif; font-size: 11pt;">Perfect Days di Wim Wenders - recensione di Dino Petralia</span></a><br /><span style="font-family: georgia, palatino, serif; font-size: 11pt;">«Un’abitudine contemplativa che ordina le cose in armonia con i suoi contorni e che, per il ritmo di un tempo che scorre diseguale, le rende tuttavia sempre diverse e attraenti, addestrandole ad un ascetismo appagante, ad occasione di complicità tra uomo e natura. È questa la cifra esistenziale di Hiroyama, protagonista pressoché assoluto dell’ultimo (capo)lavoro di Wim Wenders; maturo e meticoloso puliziere dei bagni pubblici di Tokyo, amante di letture e musiche degli anni sessanta, fotografo dilettante d’alberi e fronde, raccoglitore di piccole piantine spontanee, osservatore muto del mondo intorno, senza l’invadenza del curioso né la malizia del giudicante, ma con la gentile intesa di un assenso che silenziosamente mescola generosità e riconoscente stupore per la vita.»</span></div>
<div class="pre" style="text-align: justify;"> </div>
<div class="pre" style="text-align: justify;"><a href="https://www.giustiziainsieme.it/it/cultura-e-societa/3014-foglie-al-vento"><span style="font-family: georgia, palatino, serif; font-size: 11pt;">Foglie al vento di Aki Kaurismäki - recensione di Eva Di Palma</span></a></div>
<div class="pre" style="margin: 0; padding: 0; font-family: monospace">
<p class="text-justify" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 11pt; font-family: georgia, palatino, serif;"><em>«Sappiamo o non sappiamo, amici miei, cos’è il silenzio?,</em> chiede Rilke nei suoi <em>Sonetti a Orfeo</em>. La stessa domanda sembra porcela il regista finlandese, nella solitudine proletaria di Helsinki, che, in questo film, giunto sei anni dopo <em>L’altro volto della speranza</em>, appare sollevata dallo spazio e dal tempo. </span></p>
<p class="text-justify" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 11pt; font-family: georgia, palatino, serif;">È l’atmosfera adatta per i suoi protagonisti, due anime laterali, mal conciliate alla vita e estremamente tenere, sulle cui solitudini personali ci affacciamo come sbirciando dentro una Wunderkammer. </span></p>
<p class="text-justify" style="text-align: justify;"><span style="font-size: 11pt; font-family: georgia, palatino, serif;">Difficile collocare le loro vicende in un’epoca precisa, tra colori pastello, abiti informi e démodé, tecnologia vetusta e sparuta, locandine di Godard e Bresson nelle vetrine del cinema rétro (la settima arte come via di fuga dal reale), arredamento d’altri tempi. Unici indizi temporali: la guerra in Ucraina (la <em>“dannata guerra”</em>, come la chiamerà Ansa), della quale giungono notizie attraverso un radio giornale e un calendario affisso nella laida e spoglia cucina di un pub (del 2024, però), scenario dell’ennesimo sfruttamento, dell’ennesima sconfitta.»</span></p>
</div>
</body></html>