E' tradizione che alla donna sia riservato un ruolo
preminente nell'allevare e nell'assicurare la formazione dei figli
propri e, per quanto riguarda i contesti scolastici, anche dei figli
altrui, loro affidati.
Nella magistratura, invece, tale ruolo è da sempre
riservato in modo preminente all'uomo, nonostante, come abbiamo
sentito, nelle nuove leve sia dominante la componente femminile.
I dati relativi alla formazione parlano chiaro: se è
ormai sostanzialmente paritaria la partecipazione delle donne, quali
destinatarie della formazione, non altrettanto lo è la loro
partecipazione in ruoli attivi: nel Comitato scientifico le donne sono
4 su venti,e cioè il 15%; negli incarichi extragiudiziari ( scuole di
specializzazione, università, corsi per le forze di polizia,ecc. ) la
presenza si attesta attorno al 13%.
Un lieve aumento si ha solo con riguardo alla
formazione degli uditori , forse perché tale ruolo ricalca maggiormente
la funzione di "allevamento", da sempre riservata al sesso femminile,
che a tale compito si sente adeguato. Qui, infatti, il rapporto varia
da un terzo alla metà delle presenze.
Ma di nuovo, quando i destinatari della formazione
sono i colleghi con le funzioni, si scende al 27% in sede decentrata (
su 62 formatori le donne sono 17) e non si supera il 20% con riguardo
ai formatori centrali del Comitato Scientifico
Ci si domanda allora: tutto questo dipende dai
requisiti richiesti per l'assunzione di tali incarichi (titoli,
pubblicazioni, esperienze dirette sul campo), spesso perseguiti più
dagli uomini che dalle donne, già troppo impegnate a svolgere bene il
loro lavoro e a seguire il carico familiare?
Oppure, dipende da misoginia del CSM che, a parità di requisiti - o in barba agli stessi -, nomina uomini anziché donne?
Certamente sono vere entrambe le ipotesi (secondo Giuliana Civinini, gli uomini tendono a nominare altri uomini).
Tuttavia, dalla decennale attività del Comitato per
le pari opportunità, emerge un dato interessante: la mancata nomina di
un maggior numero di donne quali formatrici decentrate è dipesa,
quantomeno nella prima tornata , esclusivamente dalla scarsa
disponibilità espressa dalle donne stesse.
Analogo discorso può essere fatto con riguardo alla
minima presenza femminile tra i relatori degli incontri di formazione,
sempre e stabilmente inferiore ad un quinto. Anche qui la causa può
essere rinvenuta solo in parte nella preferenza manifestata dai
Componenti uomini del Comitato Scientifico a nominare colleghi uomini
quali relatori.
Lo si può rilevare da uno spoglio delle schede
recentemente pervenute al CSM, a seguito di specifico interpello per
raccogliere la disponibilità di tutti i magistrati ad essere nominati
relatori nei corsi di formazione: emerge infatti che solo 79 colleghe
(su circa 400 risposte) hanno risposto affermativamente , su un totale
di 3472 donne magistrato; e tra queste 79, solo 2 o 3 sono magistrate
che non hanno mai partecipato ad attività di formazione o ad altri
incarichi e che hanno voluto semplicemente mettere a disposizione dei
colleghi la loro esperienza specifica nel settore di cui si occupano.
Le altre sono colleghe già " in circolo" o come referenti decentrate, o
come membri di consigli giudiziari, o come incaricate di insegnamenti
universitari, o nelle scuole di specializzazione, o ancora come
collaboratori per l'uditorato, o come componenti di Commissioni
tributarie. Appartengono cioè sempre a quella piccola schiera di
magistrate che già, nella percentuale del 10-15 % , si occupano anche
di altri settori del servizio giustizia.
L'ottimismo che potrebbe nascere dalle risposte al
questionario della prof.ssa Zajczyk (secondo cui 76 colleghe su 137 si
son dette disponibili ad assumere incarichi formativi, e comunque
preferibilmente in sede decentrata) non è del tutto giustificato,
perché le donne che hanno risposto rappresentano già - rispetto alla
totalità delle colleghe - la parte più sensibile ai problemi comuni
della magistratura.
Delle 61 che hanno risposto negativamente, 15 hanno
evidenziato impegni familiari, 29 il carico di lavoro, 2 il
disinteresse e per fortuna solo 15 il senso di inadeguatezza della
propria persona all'incarico.
Il dato non ha necessariamente un connotato
negativo: vuol dire che le donne hanno un grande senso di
responsabilità rispetto al loro lavoro, lo mettono al primo posto
rispetto ad altre scelte , vogliono dedicare ad esso tutte le energie
che restano loro libere da inevitabili carichi familiari. Le donne non
vogliono fuggire il peso del loro lavoro e fare altro. E,
tendenzialmente, sono restie anche ad assumere incarichi per i quali è
normativamente prevista la partecipazione di magistrati, proprio per
non sottrarre tempo al lavoro ordinario. Ad esempio, per quanto
concerne la partecipazione delle colleghe alle Commissioni Tributarie
regionali ( mi riferisco a quanto rilevato in Lombardia agli inizi del
2004), risulta che a Milano le donne sono presenti nella misura del
14,2 % (35 su 48) , a Brescia son del tutto assenti; con riferimento alle Commissioni Tributarie provinciali, la media scende sotto al 9,59 % ; e nelle
Commissioni di concorso per gli uditori (con riguardo agli ultimi due
concorsi) la componente femminile non supera il 20- 22%% circa .
Dal questionario emerge tuttavia anche un dato
negativo: le donne manifestano cioè un senso di inadeguatezza,
soprattutto rispetto agli incarichi di formazione, e talora di
disinteresse.
Ma è possibile che le donne, che tanto impegno e
fatica mettono per prepararsi ad un concorso nozionistico, che
condiziona gli anni migliori della loro vita, in vista di un lavoro che
ritengono adeguato alle loro capacità, alla loro cultura e alla loro
sensibilità , una volta assunto il ruolo, non abbiano interesse per
come il lavoro nel suo complesso viene gestito, organizzato, garantito
da interferenze esterne, e preferiscano delegare agli uomini tale
compito?
Nella recente relazione al Parlamento sullo stato
dell'amministrazione della giustizia anno 2003, la funzione formativa -
nella forma attiva che in quella passiva - è espressamente qualificata
come "un dovere d'ufficio e non come una attività opzionale" .
Particolare importanza nella formazione assumono i
temi della deontologia, dell'organizzazione e dell'ordinamento
giudiziario, dei condizionamenti culturali e morali del magistrato; e,
ancora, i profili di ordine sociale ed economico, etico e filosofico (
basti pensare ai corsi sulla bioetica, a quelli sull' immigrazione
,alla tutela dei soggetti deboli, ecc.): tutti temi che implicano una
trasmissione di valori sui contenuti della giurisdizione e sul modo in
cui viene esercitata.
L' attività formativa non è limitata ad una mera
opera di aggiornamento professionale, ma è tesa a migliorare in senso
più ampio la sensibilità culturale dei magistrati per elevare il loro
grado di autonomia ed indipendenza e, in definitiva, per rendere più
proficuo lo svolgimento delle loro funzioni. E' dunque un terreno che
coinvolge i valori dell'indipendenza interna ed esterna.
Si legge nella Relazione che si è preferita, fino ad
oggi, una organizzazione della formazione connotata da mutevolezza non
solo nella struttura ma anche nei programmi e nei metodi di lavoro ,
per evitare il pericolo di omologazione e di cristallizzazione delle
soluzioni . E per questo è importante che tutti i magistrati vi
partecipino, mettendo in comune esperienza, cultura,sensibilità. Il
grande"serbatoio" da cui attingere i relatori è l'intera magistratura,
trattandosi di "una formazione fatta da magistrati per altri magistrati
in un processo di osmosi e di comunicazione continua".
Possibile che le donne non abbiano nulla da dire o
che si sentano inadeguate a trasmettere ai colleghi, giovani e meno
giovani, la loro esperienza lavorativa , il loro saper fare e saper
essere magistrate, il peculiare contributo di sensibilità proprio del
sesso di appartenenza, come evidenziato nel 1988 e nel 2001 dalla Corte
Costituzionale?
Non è lontano il tempo in cui un giurista come
Nicola Lipari, Presidente della Commissione del concorso per uditori
giudiziari conclusosi nel 1987, nel quale per la prima volta il numero
delle donne vincitrici è stato superiore a quello degli uomini, nella
sua relazione al CSM ha spiegato tale risultato evidenziando la
presunta "scoperta" da parte delle donne "che il concorso d'ingresso in
magistratura è abbordabile con buone possibilità di successo anche da
chi, pur non eccellendo per brillantezza d'ingegno, presenta mediamente
doti di diligenza e di tenacia applicativa" , utili per il superamento
di un concorso nozionistico, che richiede sforzo mnemonico (Foro it.
1988, V,pp.104 ss). Anche la maggior bravura delle donne nel
superamento di un concorso, nulla toglie alla superiorità dell'ingegno
maschile...
Certamente la formazione decentrata ha consentito a
molte colleghe di rompere gli indugi e di fornire una più fattiva
collaborazione . Ma molto ancora deve essere fatto, soprattutto al
nostro stesso interno, per vincere timidezze, resistenze psicologiche e
poca autostima, difficoltà organizzative, insensibilità, pigrizie. E
ciò è tanto più importante se si considera che la partecipazione attiva
alla formazione è un elemento di cui si tiene già ora conto in sede di
valutazioni di professionalità e di attribuzione di incarichi e di cui
si terrà ancora più conto se verrà approvata la riforma
sull'ordinamento giudiziario, attualmente in discussione in Parlamento.
Con il risultato che sempre di più le donne magistrato - pur preparate,
coscienziose, efficienti e sagge - costituiranno la serie B della
magistratura italiana, mentre ad un gruppo sempre più ristretto di
uomini di serie A - carichi di titoli scientifici e di incarichi -
resterà affidato il compito di organizzare il loro lavoro, di indicare
i percorsi formativi, di valutare la loro professionalità.
Milano, 17.4.2004