Che fare - intervento precongressuale di Felice Lima

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"Che fare"
intervento di Felice Lima per il Congresso Md 2007

Nei mesi scorsi, anche a seguito delle note vicende relative ai nostri stipendi, si è animato, nelle mailing list dei diversi gruppi, un dibattito sulla nostra condizione.

A me pare che quel dibattito non possa essere archiviato, ma se ne debba approfittare per delle riflessioni sincere (anche se dolorose) su di noi.

Partirò dalla cosa più vera e più viva che ho trovato in quel dibattito: la rabbia.

La rabbia di un certo numero di colleghi per diverse cose.

1. Rabbia per le condizioni in cui lavoriamo.

2. Rabbia per la considerazione (poca) nella quale siamo tenuti dai cittadini e dalle istituzioni.

3. Rabbia per l'inaffidabilità (vera o presunta, in questa sede non ha importanza) dei vertici dell'A.N.M. e del C.S.M..

4. Rabbia per le condizioni stipendiali che ci riguardano.

Mi sembra che questa rabbia - anche se a volte manifestata con ragionamenti non tanto sensati - sia molto fondata e che ad essa i vertici dell'A.N.M. e del C.S.M. non abbiano dato alcuna risposta adeguata. In ogni caso, certamente non le hanno dato alcuna risposta "nuova".

Con riferimento all'assemblea autoconvocata di novembre ci si è preoccupati solo di sterilizzarla, manifestando in ogni dove fastidio e disprezzo.

L'atteggiamento dei vertici dell'A.N.M. è stato sfacciatamente quello di: che seccatura questi cretini che non capiscono niente e rischiano di fare solo danno.

E' emerso ancora una volta che nell'A.N.M. non c'è dimestichezza vera con la democrazia. Che l'A.N.M. è sostanzialmente una questione "dei vertici" e la base deve essere solo strumento di legittimazione di quei vertici.

A me pare che sottovalutare questa rabbia e/o metterla a tacere significhi assassinare quel poco di vita che resta nel malato terminale che è l'amministrazione della giustizia.

Non mi interessa quanto di buono e di cattivo ci sia in questa rabbia (metto in conto che probabilmente il male possa essere più del bene). Ribadisco che mi sembra l'ultima cosa viva che ci resta.

Concludo questo primo punto, dicendo che sono in totale disaccordo con molte delle affermazioni dei colleghi che si sono limitati a rivendicare uno stipendio maggiore, ma sono convinto che loro costituiscano per la magistratura una speranza, un'opportunità e una risorsa maggiore dei tanti Richelieu che investono tutti se stessi e, purtroppo, tutti noi nell'illusione (quelli in buona fede) e nella truffa (quelli più cinici, la stragrande maggioranza) che la soluzione di tutto sia un'abile strategia politico-elettorale.

Partiamo, quindi, dalla pessima considerazione nella quale siamo tenuti e dalla battaglia stipendiale invocata/negata.

E' pacifico e incontrovertibile che la condizione - pessima, degradata, deplorevole, inaccettabile - nella quale versa l'amministrazione della giustizia ha causa in responsabilità - in molti casi pienamente dolose - di persone estranee alla magistratura: i ministri, la politica, ecc..

Dunque, è indiscutibile che va combattuta una battaglia per informare i cittadini di questo fatto e per rivendicare da chi ha il dovere di fornirli gli strumenti - materiali e normativi - per un recupero di efficienza del sistema.

Mi sembra, però, altrettanto incontrovertibile che le responsabilità altrui sono ormai diventate un alibi per la totale inerzia della nostra categoria professionale rispetto al deficit di efficienza del sistema.

Per di più, io personalmente tendo ad avere un approccio con i problemi che più che guardare a ciò che gli altri possono fare per risolverli, cerca di verificare se io possa fare qualcosa per risolverli.

In sostanza: posta la battaglia per ottenere migliori condizioni di lavoro, credo che dovrebbe essere (uso il condizionale perché sembra concretamente non esserlo) inevitabile chiedersi se, così stando le cose e in attesa di vincere quella battaglia, ci sia qualcosa che noi possiamo fare per migliorare le cose.

Le ragioni fondanti questa domanda, se noi fossimo i santi che crediamo di essere e non siamo, dovrebbero essere etiche e deontologiche.

Oggi, però, in mancanza di una sensibilità etica e deontologica, credo ci sia anche una ragione cinica e utilitaristica che dovrebbe imporci un confronto con noi stessi.

E' del tutto folle, infatti, ostinarsi a non vedere che ciò che gli altri pensano di te e lo stipendio che sono disposti a darti non dipende da questioni di valore, da verità assolute, da volontà divine, da norme della costituzione. Ma - scusate l'uso troppo ampio del termine - dal "mercato".

Dunque, se vogliamo aumentare la nostra autostima, aumentare la stima degli altri per noi e aumentare la propensione del nostro datore di lavoro a darci uno stipendio più alto, dobbiamo assolutamente aprire gli occhi su come stiamo noi sul mercato.

Tutti sono disposti a dare più soldi alla Procura di Bolzano (e, infatti, glieli danno: il Fondo Sociale Europeo, gli enti locali, l'università), perché la Procura di Bolzano ha dimostrato di essere disposta a impegnarsi per offrire, nelle condizioni date, un servizio il migliore possibile. Nessuno è disposto a dare soldi (e infatti non glieli danno) a tanti altri uffici giudiziari che si limitano a piagnucolare sulle difficili condizioni in cui operano e, con svergognata evidenza, danno prova di non fare nulla per provare comunque a migliorare, foss'anche di poco, il servizio che rendono (o, meglio, non rendono).

Affrontata la questione da questo punto di vista, salta subito agli occhi, peraltro, che i magistrati non sono capaci di guardare al mondo con lucidità e obiettività e che la loro autoreferenzialità incide negativamente sulla loro capacità di analisi.

La prima cosa che salta agli occhi, infatti, è che dobbiamo crescere e smetterla di frignare come dei bambini viziati, come degli inutili fighetti figli di papà.

Ho letto, in piena battaglia sindacale per gli stipendi, che noi siamo eroi che lavorano in condizioni terribili, che noi siamo sacerdoti di una religione sacra che immolano tutti se stessi al bene dei cittadini ingrati, che noi ci dobbiamo comprare da noi codici e riviste, eccetera.

Ma:

1. questo non è vero;

2. per la parte in cui è vero non riguarda noi, ma tutti, qualunque lavoro facciano.

Parto dalla seconda considerazione e vi invito a riflettere: secondo voi i medici dei pronto soccorso, i poliziotti della Questura di Catania o peggio di Palmi, le maestre delle scuole di periferia, i capi servizio di certi Comuni, gli stradini dell'Anas, i conducenti dei treni a lunga percorrenza, eccetera, lavorano in condizioni migliori della nostre?

E i funzionari di Alitalia o quelli delle Ferrovie dello Stato?

Secondo voi ai medici dei pronto soccorso i libri glieli compra la U.S.L.?

Sapete che stipendio prende un medico universitario in servizio in una chirurgia d'urgenza?

Avete idea di che responsabilità - morali, giuridiche, economiche - assume decidendo se operare o no un bambino che arriva con la testa fracassata?

Il comandante dell'aliscafo che l'altro giorno si è scontrato con una nave nello stretto di Messina aveva delle responsabilità e operava in condizioni difficili. Ha pagato con la vita. E come lui e prima di lui tanti altri. I morti sul lavoro in Italia mi sembra siano ottomila l'anno. Evidentemente queste persone lavorano in condizioni peggiori dei nostri fighetti/colleghi.

Allora, per favore, smettiamola.

Tutti i professionisti che conosco, che abbiano capacità e coscienza, operano oggi come oggi in condizioni molto difficili, con grandi responsabilità, senza alcuna copertura.

Ho visto colleghi nostri rubastipendio (e sono veramente tanti) condannare medici sfigatissimi per non avere subito riconosciuto una malattia rarissima in un pronto soccorso in piena emergenza.

Non è vero, poi, che noi siamo questi grandi eroi.

Ci sono molte persone davvero eccezionali e generose fra di noi, ma non sono tutti e neppure la maggioranza.

Vorrei fare mille esempi specifici con nomi e cognomi, per rendere più concreto e credibile il mio discorso, ma questo susciterebbe reazioni irritate e addirittura querele e rovinerebbe tutto, quindi resto sul generico.

Potrei, per esempio, elencare decine di colleghi del distretto di Corte di Appello in cui lavoro che letteralmente rubano lo stipendio (non "lavorano poco", proprio letteralmente "rubano lo stipendio"). Ho letto l'altro giorno un foglio di statistica che ci comunicava che uno di noi ha scritto in tutto il 2006 solo trenta sentenze civili. Quelle che io scrivo in due mesi. Per gli altri dieci mesi evidentemente è stato in vacanza. C'è un collega che viene in ufficio due mattine la settimana, dalle 8.00 alle 11.30 e basta e non si porta neppure un foglietto di carta a casa. E si lamenta pure in continuazione che ha troppo lavoro. E questo senza che succeda nulla, nonostante tutti questi casi siano arcinoti a tutti, capi uffici compresi e, soprattutto, purtroppo, avvocati e parti comprese.

Siamo il regno dell'irresponsabilità. E dell'impunità.

Quanti di noi hanno pagato davvero - al pari di un medico del pronto soccorso o di un conduttore di treno o di aliscafo - per le devastati scemenze che a volte si leggono in tante sentenze? Per la totale disorganizzazione dell'ufficio che dirigono o che è loro affidato? Per la totale incapacità di migliorare sotto qualsiasi profilo il servizio che devono rendere?

Di fatto, nessuno di noi risponde veramente - se non in casi talmente clamorosi che meriterebbero la galera - della gestione irragionevole dei ruoli, della trattazione illogica delle cause (cause urgenti vanno lontano, cause bagatellari vicino), dei ritardi incontrollati dei consulenti tecnici, della irragionevole violazione di legge che è la sistematica compensazione delle spese nel civile, che produce un enorme contenzioso incoraggiato dall'"impunità".

Nella maggior parte dei tribunali non si riesce a ottenere che i giudici adottino, sulle materie ordinarie, criteri di decisione omogenei (il che pure aumenta il contenzioso) e in molto casi addirittura non si riesce a ottenere neppure che siano esposti in maniera trasparente e agevolmente conoscibile gli orientamenti dell'ufficio così da consentire all'utenza di adeguarvisi e di tenerne conto a fini transattivi.

La maggior parte dei capi e sottocapi degli uffici interpreta questo ruolo come una onorificenza: lavorano poco, assumono pochissime responsabilità, evitano le grane come la peste, ci tengono moltissimo all'autista, al posto a teatro e simili.

Gli orari d'ufficio sono per troppi un optional.

La puntualità una pretesa offensiva: non siamo impiegati, siamo principi.

Ho già scritto in un'altra occasione che sono in magistratura da più di vent'anni e nulla è cambiato.

Gli ospedali fanno schifo, ma sono cambiati moltissimo.

I medici - anche i peggiori - hanno capito che non si può più scherzare e che il paziente va trattato come si deve o almeno come è necessario a evitare la galera.

Dunque, gli ospedali fanno schifo, ma meno schifo di dieci anni fa.

I Tribunali, invece, sono uguali, precisi identici, a venti anni fa.

I magistrati trattano oggi avvocati, imputati, parti, testimoni esattamente nel borbonico modo in cui li trattavano venti anni fa.

E' una cosa del tutto incredibile.

Ho la più grande esecrazione per come i politici trattano la giustizia, ma confesso che se fossi il Ministro della giustizia sarei feroce e pericoloso.

Leggo che i nostri vertici sindacali sono molto contenti perché ci stanno facendo ottenere l'ufficio per il processo e così io avrò un assistente a cui delegare atti routinari e ricerche di giurisprudenza.

Ma, perché, c'è qualcuno di voi così criminale da delegare ad altri una ricerca di giurisprudenza che, per sua natura, è necessariamente da farsi in proprio? E che vuol dire far fare a personale meno qualificato di noi atti routinari?

Potrei scrivere ancora a lungo su questo, ma mi limito a invitarvi a studiare ciò che è stato fatto alla Procura di Bolzano.

Vi prego, documentatevi. Posso offrire un sacco di materiale sul punto.

Scoprirete cosa è possibile fare - con queste leggi e con questi soldi - per trasformare un ufficio giudiziario dalla cosa lagnosa che sono i nostri a un ufficio che sta concorrendo, su proposta del Ministero della Funzione Pubblica, al premio delle Nazioni Unite per la migliore pubblica amministrazione DEL MONDO.

L'esperienza di Bolzano dimostra che si può. Dunque, se si può, SI DEVE.

Smettiamola di continuare a dire che la colpa è solo degli altri, che non fanno quello che potrebbero per noi.

Questo è vero, ma è DEL TUTTO INUTILE limitarsi a ripeterlo.

E' ora che FINALMENTE ci mettiamo a lavorare a ciò che noi possiamo fare per noi.

Perché se neppure noi siamo disposti a investire su di noi, perché dovrebbero farlo gli altri?

Peraltro, tornando al discorso della nostra impunità, è sorprendente che proprio da noi non si riesca a ottenere che fra il non fare nulla davanti alla neghittosità di tanti e imbastire processi ci dovrebbero essere mille costruttive vie di mezzo.

Parliamo sempre della patologia tutta italiana consistente nel fatto che l'unica forma di legalità sono rimasti i tribunali e poi al nostro interno l'unica forma di reazione all'indegnità di tanti è il processo penale e/o disciplinare.

Ma è davvero utopistico sognare tribunali e corti di appello nei quali i capi e sottocapi chiamano i loro "sottoposti" e gli segnalano le cose che non vanno, pretendendo prima e a prescindere dalle carte bollate che onorino la toga che indossano?

E' davvero utopistico che i valori dell'efficienza, dell'organizzazione, del servizio divengano roba condivisa fra noi e che, invece di spettegolare con i sorrisetti sui colleghi che non lavorano o lavorano male, si attuino forme di "controllo sociale" che li inducano a essere almeno decenti?

E' davvero utopistico che i componenti del C.S.M. - magistrati - smettano di ritenere non vergognoso e non criminale gestire il loro ufficio di rilevanza costituzionale in maniera indegna di magistrati: ovvero, secondo logiche spartitorie e correntizie invece che nella logica dell'imparzialità e della buona amministrazione?

Purtroppo è davvero utopistico, ma questo ci deve fare riflettere molto su chi siamo!

Ho già scritto in un'altra occasione che la magistratura è il regno delle rendite di posizione.

Un numero altissimo di magistrati ha sfruttato in tutti questi anni rendite di posizione, senza impegnarsi davvero, senza rischiare in proprio, senza mettere il cuore nelle cose.

Questo atteggiamento ci ha disonorati tutti.

Questo è un lusso che non ci possiamo permettere più.

O cambiamo o puramente e semplicemente finiremo nell'immondizia.

E' vero che la Costituzione impone la nostra esistenza, ma se continueremo a non svolgere la nostra funzione (perché il servizio che rendiamo per adesso non può essere inteso come "giustizia"), ci butteranno via lo stesso.

E smettiamola con questa ipocrisia del nostro eroismo.

Gli eroi che conosco in magistratura sono sempre gli stessi: il tribunale di Milano, la procura di Milano, la procura di qui, la procura di li.

E Lametia Terme?

Arrestano una collega e noi non facciamo niente?

Il Presidente del Tribunale è ancora al suo posto?

Non dubito della sua onestà. Sono certo della sua inidoneità se davanti ai suoi occhi è potuto succedere quelle che è successo.

Ammazzano Giangiacomo Ciaccio Montalto a Trapani. Un suo collega della porta accanto viene arrestato per detenzione illegale di armi clandestine e per complicità con la mafia. E dove viene trasferito il suo capo? In cassazione!!!!

C'è lite alla procura di Palermo. Dove se ne va il capo? Alla Procura della Cassazione!!!!!

Su cosa si litiga al C.S.M.?

Su come smaltire l'arretrato? No!

Su come abbassare la durata media dei processi? No!

Su come ispezionare, giudicare e cacciare i capi di uffici che non migliorano? No!

Su come dare un seguito alle ispezioni triennali che sputtanano un mare di colleghi, ma restano lettera morta? No!

Al C.S.M. si litiga sui colleghi fuori ruolo e su come gestire un sistema di trasferimenti orizzontali nel quale - caso UNICO in tutta la pubblica amministrazione - ottomila magistrati possono capricciosamente fare duecentomila domande e revocarle un giorno dopo l'accoglimento.

Ma ditemi voi!!!

Ho fatto riferimento alla Procura di Bolzano.

Al metodo seguito lì, metodo che già tanti dicono che è maglio non chiamare così, "metodo Bolzano", ma "esperienza Bolzano", così sterilizzarne il valore emblematico.

Quel metodo - o se preferite quella esperienza - dimostra come sia possibile e bello essere efficienti e senza arretrato utilizzando le risorse che ci sono.

Ha dimostrato che per farlo è necessaria trasparenza e organizzazione.

E' assolutamente evidente che che questi non sono valori realmente condivisi in magistratura.

Anni fa pensavo che i magistrati sono refrattari all'efficienza e all'organizzazione perché non sono molto intelligenti.

Poi ho capito che non è così.

Non è un difetto di capacità. E' un difetto di buone intenzioni.

La trasparenza (che non uso qui in alternativa a "disonestà", ma a "confusionarietà") e l'organizzazione ti costringono a diventare un buon impiegato. Il magistrato non vuole essere un impiegato. Si sente un mezzo dio. A volte. Molte altre volte, quando gli conviene, si copre dietro la sua qualifica di "impiegato": quanti di noi lavorano con la logica di chi ritiene di non essere chiamato a fornire un risultato, ma di dovere solo "fare qualcosa", "tirare avanti", non fare peggio di ..., assicurare almeno che ...

Con riferimento alla giustizia civile c'è poi addirittura un altro paradosso.

Una gran parte dell'enorme contenzioso che ci schiaccia è prodotto da nostre prassi deplorevoli.

Considerate, fra le tante che potrei indicare, l'abituale compensazione delle spese, pronunciata per pura e semplice viltà di tanti giudici civili.

Il collega Rossetti, in un articolo scritto per una rivista, ha riferito di avere verificato, utilizzando una qualunque banca dati di giurisprudenza, che solo in Cassazione le sentenze nelle quali sono state compensate le spese sono molte migliaia.

Questo atteggiamento e tanti altri - come per esempio il non confrontarsi fra colleghi e cercare di trovare, nelle materie ordinarie, criteri di decisione delle cause omogenei - aumenta sostanziosamente, invece che diminuire, il contenzioso.

Io credo che l'unica via per salvarci sia lavorare perché quelli di cui ho parlato fin qui diventino valori condivisi - in teoria e, ancora di più, in pratica - fra i nostri colleghi.

Se mai e quando questi diventeranno valori condivisi nella magistratura, forse anche i colleghi impegnati a imitare Richelieu dovranno adeguarsi e, invece di studiare circolari sempre più complicate (pensate che ci lamentiamo delle leggi fatte male: leggetevi due circolari del C.S.M. e vedrete) per regolare i privilegi di questo o di quello, si dedicheranno finalmente a strizzare capi uffici perché finalmente facciano i dirigenti, invece dei principi, e a cacciare quelli che come unico titolo di merito hanno la vecchiaia.

Non credo che ci sia speranza di riuscire in una impresa simile, ma mi sembra l'unica strada e, quindi, io ci spero per disperazione.

Credo che bisogna continuare a dire che la politica, con riferimento alla giustizia, fa schifo, ma cominciare anche ad ammettere - con toni chiari e forti - che la magistratura pure fa abbastanza schifo. E che abbiamo troppo bisogno della magistratura per permetterle di continuare a fare schifo.

Felice Lima
Tribunale di Catania

17 07 2007
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