Abbiamo sentito ieri dall'avv. Dominioni che è ora di cambiare l'ordinamento giudiziario perché quello che abbiamo è ormai fatiscente. Nell'ultimo anno io avevo avuto l'impressione che al CSM stessimo lavorando in modo forsennato per dare attuazione ad un assetto ordinamentale della magistratura radicalmente rinnovato: la temporaneità degli uffici direttivi, con i conseguenti problemi di mobilità, la rivoluzione del superamento dell'anzianità come criterio di selezione della dirigenza, la diversa funzione e la nuova tempistica delle valutazioni di professionalità, il radicale rinnovamento delle procedure dei trasferimenti orizzontali, il rinnovato investimento nella cultura tabellare con l'avvio di una struttura tecnica di supporto, la circolare sui criteri di valutazione della professionalità e la risoluzione sulla individuazione dei criteri per l'attitudine direttiva non mi sembravano poca cosa ed il volume che raccoglie le modifiche normative dalla legge del 2005 alla 111/07 , affianco a quello delle circolari di prima attuazione della riforma, anche solo a vederli, fanno una certa impressione. La quantità non solo delle regole adottate, ma delle decisioni prese, ed anche il loro contenuto, mi sembrava che segnassero un cambiamento. Ma mi sbagliavo, la riforma dell'ordinamento giudiziario la dobbiamo ancora fare e riguarda tutt'altro: la natura di terza camera del CSM e la sua sezione disciplinare. Se non altro grazie per la chiarezza, non si può dire che abbia usato mezze misure. Devo dire che da questo punto di vista mi attesto sulla prima delle richieste che abbiamo fatto al ministro e sulle rassicurazioni che allo stato abbiamo ricevuto sulla esclusione di interventi sull'ordinamento giudiziario che rappresentino un passo indietro anche rispetto alla quella situazione di compromesso necessitato che ci ha consegnato l'attuale assetto. E' vero che rimangono dolenti i punti ieri segnalati da Sergio Materia (la scuola, le procure e gli eccessivi poteri del ministro nel sistema disciplinare ed in genere alcuni profili di questo), ma anche rispetto ad essi è forse preferibile una fase di sperimentazione che consenta poi l'introduzione di correttivi mirati piuttosto che un intervento ortopedico preventivo del cui spirito e del cui esito non mi sentirei alla stato affatto tranquilla. Quando c'è il rischio che la bonaccia sia presaga di tempesta è meglio non togliere gli ormeggi.
Il mantenimento delle competenze disciplinari in capo all'organo di autogoverno è un punto fermo del programma dell'ANM e su quel terreno non dovremo fare passi indietro.
Cresce nella magistratura il disagio che discende dalla ingestibilità dei carichi di lavoro e dalla frustrazione per il rapporto tra sforzo e risultato, come parallelamente cresce nei cittadini la frustrazione per il mancato riconoscimento dei loro diritti che si trasforma, che lo vogliamo o no, in insofferenza nei nostri confronti. Sono due facce dello stesso problema, che è quello dell'efficienza della giustizia, ma io continuo a pensare che la faccia giusta da cui affrontarlo e da cui vederlo è la seconda e non la prima, quella dell'approccio di Luca Minniti piuttosto che quella di Mariano Sciacca e di Pepe che pure per molti versi esprimono la stessa ansia di dare un senso ad un impegno lavorativo e organizzativo che non è diverso o minore.
Anche il tema delle valutazioni di professionalità deve essere visto e giocato nell'ambito di un circuito che valorizza gli sforzi e le attitudini e non su un terreno difensivo che bisogna disseminare di protezioni e barriere e garantire con immunità e lasciapassare. E' vero che oggi si chiede di più al magistrato in termini di quantità di lavoro che non in passato, e si esige da lui anche di essere non solo un buon organizzatore del proprio lavoro, ma un attore nel processo di organizzazione complessiva del servizio all'interno del suo ufficio, ma non mi sembra che il nuovo ordinamento abbia inventato questa nuova variabile imponendola alla magistratura, l'ha soltanto riconosciuta cercando di attribuirle il valore che merita e di tradurla in termini di valorizzazione delle qualità dei singoli.
Tutto il nuovo assetto ordinamentale ha senso se viene visto come un sistema coordinato: valutazioni di professionalità ravvicinate e sganciate dal passaggio a funzioni diverse, anche direttive e semidirettive, che costituiscono il patrimonio conoscitivo stratificato che consente al consiglio di operare le sue scelte sulla base di raccolta di elementi di valutazione ampia ed aperta, ma pur sempre procedimentalizzata. Valutazione per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi che in modo specifico considera le particolari e diverse attitudini che quei compiti richiedono. Temporaneità della dirigenza che non solo dovrebbe (vorrei che non rimanesse solo una potenzialità), attraverso la reversibilità effettiva, salvaguardare la pari dignità del lavoro del giudice in qualunque collocazione svolto, ma comunque consente di valutare come si sono svolte le funzioni dirigenziali attraverso la verifica concreta della bontà e della effettiva realizzazione dei programmi organizzativi, realizzazione di un sistema tabellare sorretto da una conoscenza e da una analisi dei flussi che funzioni da guida e da volano per le scelte organizzative e da meccanismo di perequazione tra colleghi e tra uffici. E' chiaro che tutto questo sistema può funzionare riflettendo la situazione reale e non la rappresentazione che di essa si riesce a dare solo se funziona tutto il sistema dell'autogoverno e soprattutto se funzionano i consigli giudiziari.
In questo quadro gli stardard medi di rendimento che l'art. 11 del d.lgs 160 come riformulato dalla l. 111 del 2007 prevedono come uno degli indicatori del parametro della laboriosità non non indicano ne' un minimo sufficiente scendendo al di sotto del quale si viene puniti, ne' la soglia di un premio di produzione, magari imposto dall'efficientismo ottuso di un dirigente ambizioso che vuole fregiarsi di qualche medaglia. Esso esprime un rapporto tra il lavoro del magistrato e le condizioni complessive in cui egli lo svolge. Nella legge la laboriosità è ancorata alla produttività (che è numero e qualità ) e al tempo di definizione. Non è un lapsus il fatto che circolare si parli non tanto di standard di rendimento, ma di standard di "definizione dei procedimenti", perché in tale formulazione, per quanto possa sembrare solo una sfumatura terminologica, sembra meglio compresa non solo quella variabile tempo che può rimanere estranea ad un mero rendimento numerico, ma perché essa è in sintonia con il senso complessivo della costruzione di un sistema di valutazione della professionalità ( e a ricaduta di conferimento della dirigenza, di analisi dei flussi, di formazione delle tabelle ) che tenga conto della finalità del servizio giustizia che non è quella di produrre atti, ma di definire procedimenti, di dare cioè risposte in termini di risoluzione di controversie o di valutazione di responsabilità.
Tutto il circuito fisiologico della giustizia deve perciò tendere ad aumentare l'efficienza, facendo leva sull'autogoverno diffuso e riferimento a quello centrale. Ogni sforzo deve essere diretto verso lo stesso risultato che è quello di un miglior servizio reso in condizioni migliori anche per i giudici.
Il circuito disciplinare non c'entra niente con la fisiologia, sia pure di un organismo così malandato come quello del sistema giudiziario, esso attiene alla patologia non degli uffici, ma delle condotte dei singoli. Il sistema disciplinare non è mai stato e non può diventare un mezzo per incrementare l'efficienza del servizio o una sorta di "controllo di produzione punitivo", anche quando sanziona i ritardi.
A me sembra che si faccia, nei fatti, dell'allarmismo ingiustificato quando si cerca di stabilire un corto circuito tra standard di rendimento, obbligatorietà dell'azione disciplinare e tipizzazione dell'illecito, costruendoli come anelli di una catena che vuol far ricadere sul più debole la responsabilità di disservizi che sono strutturali. C'è chi sta facendo, nella magistratura, la stessa operazione di quelli che, in chiave protezionistica e securitaria, nel paese amplificano strumentalmente l'allarme sulla sicurezza.
Stiamo alle norme: l'art. 18 della legge delle guarentigie richiedeva la lesione del prestigio dell'ordine o della credibilità del giudice, che poteva discendere anche solo da uno, purchè rilevante ed eclatante, ritardo, l'art. 2 comma 1 lett q) del d.lgs 109, tipizzando gli illeciti, richiede che il ritardo si a reiterato, grave e ingiustificato. Nel periodo successivo della norma, che tanto ha destato allarme, la legge fissa una presunzione di non gravità dei ritardi superiori al triplo del termine ordinario, ma non una presunzione di gravità dei ritardi superiori a tale termine.
E' vero che l'obbligatorietà della azione disciplinare e l'obbligo di segnalazione degli illeciti può determinare un aumento delle attivazioni degli uffici e delle trasmissioni da parte dell'ispettorato, ma se la norma viene correttamente interpretata la segnalazione deve essere fatta quando vi siano ritardi gravi, reiteari e ingiustificati e non per il solo fatto che vi siano ritardi superiori al triplo del massimo.
Stiamo ai fatti: i numeri della sezione disciplinare non segnalano ancora nessuna "impennata" , nel corso del 2007 sono arrivati 112 nuovi procedimenti, che si sono sommati ai 65 ancora pendenti, vi sono state 21 condanne (oltre a 20 dichiarazioni di estinzione per cessazione dell'appartenenza all'ordine giudiziario, che come è noto sono impossibili da decifrare nel merito), la procura generale ha comunicato 138 inizi di azione disciplinare. La media degli ultimi dieci anni anni non è molto differente, sia pure registrandosi nell'ultima consiliatura una percentuale leggermente più alta di condanne. In complesso perciò non un giudice disciplinare aizzato o impazzito e devo dire, per quello che ne so, neanche una procura generale scatenata nel trasformare lo strumento disciplinare in strumento di governo dell'efficienza. Certo un giudice disciplinare (non parlo solo della attuale consiliatura) abbastanza rigoroso, rispetto ai sistemi di sanzione disciplinare di altri corpi professionali o settori dell'amministrazione, ma cauto e coerente.
E' evidente che se la capacità di organizzazione del lavoro diventa sempre di più un elemento forte della professionalità del giudice, la grave caduta di professionalità sotto questo profilo rileva dal punto di vista disciplinare, ma non sarà mai il risultato di un calcolo aritmetico che non tiene conto dei profili soggettivi e delle condizioni strutturali.
E' chiaro che sono di molto aumentate le segnalazioni alla Procura generale, anche se non so indicare ora i numeri, ma questo non ha niente a che fare con l'uso dello strumento disciplinare a fini di maggiore efficienza del sistema. Si tratta di una eventualità che avevamo segnalato con allarme al tempo della approvazione della legge, che potrebbe avere potenzialmente un effetto indiretto di normalizzazione della magistratura, ma non di incremento della produtivvità.
Stiamo ai numeri: ho sentito ieri paventare conseguenze nefaste da una possibile saldatura tra ragionevole durata del procedimento e responsabilità disciplinare. Se con questo si voleva far riferimento ad un automatico rilievo disciplinare del superamento dei termini, inteso come violazione del principio di ragionevole durata, ho già risposto. Se si intendeva far riferimento ad una saldatura tra obbligo della segnalazione al PG dei decreti che riconosco l'equo indennizzo ex legge Pinto, obbligatorietà dell'azione e tassatività della fattispecie, credo proprio che i numeri smentiscano questo timore, proprio perché le cause ed i meccanismi che determinano l'accumulo di ritardi spesso spaventosi sul singolo procedimento sono completamente diversi e spesso opposti a quelli che fanno maturare molti e gravi ritardi in capo al singolo giudice. Il tentativo di risalire attraverso la legge Pinto alle responsabilità dei singoli è fallito: a far data dall'entrata in vigore della legge sono arrivate in PG migliaia di segnalazioni, solo nel 2006 sono state 3.600, per molte di loro sono stati chiesti chiarimenti e accertamenti agli uffici giudiziari, fino alla fine del 2006 erano state inviate 19 comunicazioni di inizio dell'azione disicplianare, le richieste di fissazione dell'udienza si contano in poche unità, in un solo caso, nel quale dagli accertamenti erano emersi altri numerosissimi e concomitanti ritardi (cioè un situazione che autonomamente avrebbe generato un'azione disciplinare) vi è stata una condanna. Nel corso del 2007 sono arrivati alla PG più di 5000 segnalazioni e da esse non è scaturita alcuna azione disciplinare. E questo non perché la procura generale abbia reagito in modo corporativo e protettivo nei confronti dei giudici, ma per la radicale disomogeneità del piano di intervento.
Ci tengo infatti a dire che questa situazione non legittima allarmismi strumentali e non giustifica la rivendicazione di guarentigie e immunità rispetto all'intervento del disciplinare sotto l'usbergo del carico massimo esigibile, ma non legittima neanche la conclusione di una sezione disciplinare corriva e corporativa, che, secondo una logica di reciproca complicità, non punisce chi sbaglia.
Quello che fa la differenza è proprio la natura e la funzione della sanzione disciplinare rispetto al circuito complessivo e, quello sì, tutto concatenato, delle competenze dei consigli giudiziari e del CSM.
E' vero che a volte rilievi non produttivi di effetti sul piano disciplinare possono avere ricadute sul piano delle valutazioni di professionalità, ma questo discende non da una ritorsione (non ti ho potuto fare niente in disciplinare, ma ti sbarro la strada per la progressione in carriera, o per la nomina a un direttivo) ma proprio dalla diversa e autonoma rilevanza del medesimo fatto nell'uno e nell'altro campo.
Anche la sezione disciplinare ha sbagliato in passato, sbaglia e sbaglierà ancora , ma sta tentando faticosamente di costruire un sistema di lettura della una disciplina sanzionatoria tipizzata in ambito deontologico, che costituisce, per quello che ne so, un inedito. Le stiamo chiedendo molto ed è bene che tutta la magistratura vigili sulla sua attività e la critichi quando lo ritiene, ma non attribuiamole funzioni, responsabilità e colpe che non le competono.