Il costituente attribuì al CSM la competenza ad adottare i provvedimenti
disciplinari nei confronti dei magistrati con l'obiettivo di evitare
possibili ricadute sull'esercizio indipendente della giurisdizione, nella
consapevolezza che solo la previsione di specifiche garanzie per l'ordine
giudiziario, tali da renderlo realmente autonomo dagli altri poteri dello
Stato, potesse consentire una tutela effettiva dei diritti. Una scelta
fortemente voluta per garantire pienamente i pilastri dello Stato
Democratico che, dopo anni difficili e pieni di lutti e sofferenze, si stava
costruendo in modo condiviso, conciliando le idee e le istanze della cultura
liberale, cattolica e socialista.
Oggi si vuole da più parti rivedere l'assetto dell'organo disciplinare dei
magistrati, giustificando tale scelta con le più svariate ragioni, prima tra
tutte l'accusa di cattivo funzionamento o, peggio, di valutazioni
corporative da parte della sezione disciplinare del CSM. Una proposta che,
comunque articolata, deve essere contrastata con decisione, non solo perché
rischia di mettere in crisi il sistema di garanzie voluto dal costituente,
ma anche per la strumentalità e infondatezza delle accuse mosse come
dimostra l'esame dei dati delle decisioni della Sezione Disciplinare. Dal
1999 all'aprile 2008, esclusi i casi di non procedibilità per cessata
appartenenza all'ordine giudiziario o in cui la stessa Procura Generale
aveva chiesto il non farsi luogo a dibattimento per evidente infondatezza
dell'accusa, i 772 casi esaminati si sono conclusi per il 35% con condanne a
varie sanzioni e per il 65% con assoluzioni. Si tratta di percentuali di
gran lunga superiori a quelle di qualunque altro organo disciplinare della
pubblica amministrazione o di ordini professionali che "disnnescano"
qualunque accusa di giurisdizione domenica.
Modificare la composizione dell'organo disciplinare appare irragionevole
anche per l'intervenuta recente modifica del sistema degli illeciti e del
procedimento disciplinare di cui ancora non sono chiari gli effetti.
Con il testo originariamente approvato nel 2005 e divenuto operativo nel
2006, si voleva cambiare profondamente il sistema utilizzando lo strumento
disciplinare per riportare il ruolo del giudice al modello burocratico del
funzionario, "bocca della legge", proprio dello Stato liberale
precostituzionale. L'obiettivo veniva perseguito attraverso:
a.. l'introduzione di fattispecie pericolose di illecito "dell'apparenza",
che per la loro genericità suscitavano forte perplessità;
b.. la previsione di un rigido sistema di obbligatorietà dell'azione
disciplinare in cui veniva anche imposto l'obbligo di segnalare possibili
illeciti a una pletora di soggetti (dirigenti degli uffici, presidenti di
sezione, presidenti di collegio) che, in caso di omessa segnalazione erano
essi stessi disciplinarmente sanzionati;
c.. l'amplificazione dei poteri del Ministro, con l'introduzione
dell'iniziativa
ministeriale in tema di trasferimento (disciplinare) per incompatibilità.
Pur se le modifiche introdotte nel novembre 2006 hanno temperato alcuni
effetti della riforma, si coglie tra i colleghi -in particolare tra quelli
più esposti per le funzioni svolte, per le condizioni drammatiche in cui
lavorano, per l'operare in piccoli uffici o con dirigenti con evidenti
limiti- una crescente preoccupazione. Il timore per il possibile utilizzo
dello strumento disciplinare (e della iniziativa di trasferimento per
incompatibilità) nel quale confluiscono talvolta ispezioni ministeriali su
cui pure si nutrono dubbi e perplessità perché talvolta dirette a sindacare
lo stesso esercizio della giurisdizione, talvolta finalizzate ad interferire
con le indagini e i processi in corso, altre volte concluse con addebiti di
ritardi o altre inosservanze di carattere formale senza tenere conto delle
concrete condizioni in cui il magistrato lavora.
Pur consapevole dell'importanza della rilevanza di tutte le perplessità che
ho individuato, per rimanere al tema del congresso mi limiterò ad affrontare
l'ultima delle preoccupazioni che ho indicato in cui vi è comunque il
rischio che l'esercizio dell'azione disciplinare possa in qualche modo
influire sull'esercizio autonomo e indipendente della giurisdizione e sul
lavoro del magistrato, alimentando comportamenti difensivi o anche posti in
essere in un'ottica di burocratico rispetto delle norme diretto a evitare
effetti pregiudizievoli.
Anche per i rischi che si paventano si sta sviluppando in questi mesi una
serrata discussione sulla individuazione di indici di definizione, standard
medi o carichi esigibili intesi come indici rivelatori da un lato del
cattivo funzionamento dell'Ufficio, dall'altro tali da garantire al
magistrato che rispetti le soglie individuate da effetti pregiudizievoli,
come procedimenti disciplinari o valutazioni di professionalità negative
sganciate dalla realtà concreta nella quale si opera.
Chi lavora negli uffici di merito sa che le condizioni di lavoro sono
difficili, in particolare in molte realtà del sud e spesso nei piccoli
uffici.
Chi è in magistratura da qualche anno ha percepito in modo empirico
l'aumento
progressivo della qualità del lavoro, confermata da tutti i dati statistici,
ma anche la maggiore complessità delle questioni che si affrontano.
Vorrei essere chiaro perché le prospettive da cui si affronta il problema
possono essere diverse, spesso influenzate dal modo di concepire il ruolo
della giurisdizione.
Richiedere condizioni di lavoro accettabili, scelta doverosa, non può
assumere il mero significato di tutela del singolo perché sarebbe una scelta
perdente e perché non terrebbe conto della complessità della funzione del
magistrato, volutamente disciplinata e garantita nell'esercizio libero e
autonomo dalla Carta Costituzionale.
Condizioni di lavoro idonee sono necessarie anche garantire la
giurisdizione, una funzione che il cui esercizio il costituente ha
attribuita non a dipendenti, funzionari o burocrati, ma a magistrati
autonomi e indipendenti in grado di assicurare l'attuazione dei diritti in
modo professionalmente adeguato.
Mi spiego meglio: il magistrato deve avere la possibilità non solo di
rendere un servizio in tempi rapidi ma anche in modo qualitativamente
elevato: non una decisione a ogni costo, ma una decisione giusta; questo
risultato può essere raggiunto non solo con la costante cura della propria
professionalità ma anche usufruendo di condizioni di lavoro che consentano
provvedimenti (non certo inutilmente dotti ma) meditati, approfonditi,
studiati, cui sia dedicato il tempo necessario per giungere a una decisione
che garantisca fino in fondo la tutela dei diritti in esame. Un giudice
oberato di pratiche, con scadenze continue e con il rischio costante di
un'azione
disciplinare, rischia, ad esempio, di non essere in condizione di
approfondire adeguatamente una interpretazione costituzionalmente
orientata -complicata ma possibile- o di studiare una questione di
costituzionalità che potrebbe essere sollevata.
Ben vengano, allora, tutti gli approfondimenti diretti a individuare gli
standard medi di definizione degli affari cui è deputato il CSM ai sensi del
D.L.vo 160/2006. Il Consiglio, come sappiamo, è già intervenuto con la
circolare del 4 ottobre 2006 affrontando in modo adeguato, se pur
provvisoriamente per il breve tempo a disposizione, il tema, rinviando a un
secondo momento un provvedimento più articolato e meditato, in grado di
individuare standard medi di definizione articolati secondo parametri sia
quantitativi sia qualitativi, in ragione della tipologia dell'ufficio,
all'ambito territoriale e all'eventuale specializzazione .
Opportunamente anche l'ANM ha deciso di occuparsi in prima persona del
problema istituendo un apposito gruppo di lavoro che sta già lavorando e che
potrà fornire un adeguato contributo a un problema da anni all'attenzione
del CSM.
Per evitare inutili allarmismi, ma anche per comprendere ciò che è realmente
è preoccupante, occorre però anche avere un quadro sufficientemente chiaro
di ciò che sta accadendo col nuovo sistema disciplinare.
In verità un esame dei dati dimostra che non vi è un sostanziale incremento
delle iniziative disciplinari, così come una valutazione dell'operato della
sezione disciplinare fa emergere una sostanziale conferma dei criteri di
giudizio preriforma.
Il numero delle sopravvenienze dei procedimenti disciplinari pervenuti al
CSM è sostanzialmente costante dal 2005 (poco più di 133 sopravvenienze
annue), dopo un incremento rispetto al periodo 2000-2004 (con una media di
100 sopravvenienze annue ). Precisamente :
1998= 67
1999=77
2000=109
2001=111
2002=92
2003=93
2004=100
2005=133
2006=133
2007= 138
Fino al 21 aprile del 2008 42.
Al momento non siamo in possesso dei dati delle segnalazioni di rilievi
disciplinari, così come non siamo ancora in grado di comprendere l'incidenza
dell'archiviazione della Procura generale della Cassazione introdotto dalla
legge Mastella. Su questo dovrà esserci, perciò, una opportuna attenzione
per valutare la concreta incidenza delle nuove fattispecie introdotte e
dell'obbligo
di "denuncia" imposta a una così ampia pletora di soggetti.
Un esame anche sommario delle linee di tendenza dell'attuale sezione
disciplinare dimostra che per la configurabilità dell'illecito e/o la
quantificazione della sanzione, si tiene generalmente conto delle condizioni
di lavoro in cui opera il magistrato e del curriculum professionale
dell'incolpato.
In una recente sentenza relativa a ritardi di depositi, anche considerevoli,
di sentenze (depositata il 26 ottobre 2007) si afferma espressamente che " i
ritardi rilevati non sono attribuibili a deficit di diligenza" e che devono
ritenersi giustificati "in considerazione delle condizioni organizzative e
di organico dell'ufficio giudiziario.del numero delle udienze svolte, della
quantità complessiva del lavoro esaurito, delle elevate qualità
professionale dei magistrati incolpati".
Si conferma, in definitiva, un orientamento costante anche delle Sezioni
Unite della Cassazione secondo cui il ritardo del deposito è rilevante
disciplinarmente solo nel caso di violazione palese di qualunque limite di
ragionevolezza e siano perciò attribuibili a scarsa laboriosità o diligenza
non quando trovino giustificazione in difficoltà organizzative o in
particolari e contingenti situazioni di lavoro degli uffici e/o siano
aggravate da temporanee difficoltà di tipo personale o familiare e quando,
infine, non abbiano inciso sulla considerazione ed il rispetto dei colleghi
e delle parti."
Questo orientamento viene ribadito anche vigente il nuovo testo secondo cui
i ritardi si presumono "non gravi, salvo che non sia diversamente
dimostrato" se "non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il
compimento dell'atto". Sicchè, se il ritardo nel deposito è inferiore al
triplo del termine previsto non vi è di norma illecito, al di sopra di tale
limite andrà svolta la verifica rigorosa che ho prima descritto.
Eguale orientamento segue la sezione disciplinare in presenza di gravi
violazioni di legge commesse dal Magistrato, valutandosi il curriculum
professionale dell'incolpato, la laboriosità, e le condizioni concrete in
cui veniva posta in essere la violazione. In un caso affrontato
recentemente, confermando un orientamento consolidato, è stato escluso
l'addebito
sotto il profilo soggettivo perché il provvedimento adottato indubbiamente
in violazione di legge era stato emesso sotto la pressione dell'urgenza in
periodo feriale dall'unico magistrato in servizio, al termine di una
impegnativa giornata di lavoro in cui erano stati emessi una pluralità di
provvedimenti, anche delicati, in materia civile, penale e lavoro.
L'attuale stato delle prassi e degli orientamenti disciplinari richiedono
una costante attenzione dell'ANM affinché si abbia un quadro costante della
situazione per verificare se e come le modifiche normative possano in
concreto incidere sull'esercizio indipendente della giurisdizione.
Per questo è stato istituito un apposito gruppo di lavoro e, col tempo,
potremo verificare se e come sarà necessario intervenire.
L'ANM deve, in ogni caso, prestare grande attenzione alle iniziative del
Ministro che, oltre a essere poste in essere ovviamente nel rispetto della
legge, non devono apparire come forme di intrusione nell'esercizio della
giurisdizione come talvolta è accaduto nel passato. In questi momenti un
intervento dell'ANM ha la funzione di ribadire in maniera chiara che
l'azione
della magistratura, certamente essa stessa soggetta alla legge e tenuta ad
agire sempre con un adeguato livello di professionalità, non può subire
interferenze non consentite pena lo svuotamento del ruolo costituzionalmente
assegnatole.
Eguale attenzione deve essere posta all'iniziativa cautelare per
incompatibilità del Ministro che, in attesa di una modifica normativa, non
deve tradursi in possibili forme di pressione su magistrati.
L'ANM non può, naturalmente, farsi carico delle difese disciplinari dei
singoli, ma è necessario una sempre maggiore attenzione di ciascuno di noi
nel formare adeguate professionalità che siano in grado di assumere le
difese dei colleghi nelle varie fasi del procedimento disciplinare, per
evitare che i magistrati si sentano soli in momenti indubbiamente dirompenti
nella loro attività professionale.
In un contesto politico comunque complicato, è quanto mai necessario, come
singoli magistrati e come ANM preservare l'autonomia e il ruolo del CSM le
cui decisioni possono anche non essere condivise, e allora è giusto
criticarle, ma sempre nella consapevolezza che il Consiglio rappresenta il
luogo istituzionale in cui perseguire l'autonomia della magistratura,
baluardo insopprimibile da invasioni e attacchi che la storia, anche
recente, ci insegna essere ricorrenti.
I problemi della giustizia sono tanti, molteplici, sembrano insormontabili.
Ciascuno di noi vive con difficoltà nei Tribunali, nelle Procure nelle Corti
le insufficienze e deficienze dell'azione giudiziario; siamo spesso
costretti a rinvii lunghissimi dei processi tra il disappunto delle parti o
anche a rimandare a casa testimoni per le più svariate ragioni, vivendo
mille difficoltà di cui personalmente più volte mi scuso di fronte a
cittadini perplessi, rassegnati o che vivono con disappunto una brutta
esperienza venendo a contatto con la giustizia.
Speriamo che il nuovo Governo affronti con serietà i problemi della
giustizia, rifuggendo, come è stato proclamato, ogni inutile scontro,
elaborando e realizzando "un progetto per la giustizia" cui i magistrati,
come dimostra il tema del congresso, vogliono contribuire.
Vengono, però, approvati decreti legge in cui i dubbi di costituzionalità
sono tanti.
Sullo sfondo appaiono attacchi, per ora non particolarmente decisi, in cui
si contestano con durezza (e non si criticano, cosa più che legittima) i
tempi di adozione di provvedimenti, ventilando l'ingiusta accusa secondo cui
si vorrebbe influire volutamente sull'azione della politica.
In questo contesto, indubbiamente difficile, è quanto mai necessaria la
presenza di una ANM credibile e in grado di svolgere il proprio ruolo, una
ANM che ha bisogno della partecipazione e del contributo di tutti.
Ci potranno anche essere insufficienze e decisioni non completamente
condivisi, ma nell'ANM ci dobbiamo essere tutti perché, come recita lo
statuto, siano garantite le funzioni e le prerogative della Magistratura
realizzando, sulla base delle norme costituzionali, l'organizzazione
autonoma della magistratura in conformità delle esigenze dello Stato di
diritto in un regime democratico.
Dicevo ci dobbiamo essere tutti, e allora ben vengano le differenze e le
critiche, ma con un invito forte a tutti, anche a chi si è tirato fuori, per
lavorare nell'Associazione e con l'associazione.