Sezione BRESCIA

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SEZIONE
BRESCIA

La situazione
dell’amministrazione della giustizia nel distretto della Corte
di Appello di Brescia risente in modo particolarmente pesante
dell’ormai cronica e da sempre irrisolta sproporzione tra la
popolazione delle province che fanno capo al distretto medesimo
(Brescia, Bergamo, Mantova, Cremona) e l’alta densità
industriale che caratterizza almeno due di esse (Brescia e Bergamo,
che rappresentano uno dei più importanti poli industriali del
Paese) e le dotazioni di organici degli uffici. Questa
situazione si riflette, negativamente in termini di efficienza e di
celerità nella celebrazione dei processi, sia nel campo civile
traducendosi in un’evidente fattore di diseconomia nel tessuto
produttivo della zona, sia nel campo penale tenendo conto che l’area
bresciana – bergamasca rappresenta uno dei distretti del nord
Italia dove, tradizionalmente, è più avvertito il peso
della criminalità.
Eloquente è il
caso del Tribunale di Brescia che tra i 165 tribunali italiani si
colloca al quinto posto per popolazione e scende oltre il decimo
quanto al numero di dipendenti amministrativi
; questi sono in
numero di 164 che sono nulla rispetto ai 296 dipendenti di Catania o
ai 414 dipendenti di Palermo, provincia che per numero di abitanti
viene immediatamente dopo Brescia. Analoga carenza di organico si
evidenzia nella magistratura, dato che sempre a Brescia esiste un
giudice ogni 18 mila abitanti (per un totale di 59 giudici), quando a
Catania (che per numero di abitanti è il decimo tribunale
italiano) un ufficio con 110 magistrati garantisce una toga ogni 8
mila abitanti. Il risultato è che presso il Tribunale di
Brescia, nel settore penale, proprio per queste deficienze, non si
riescono ancora ad avvertire i benefici che, in termini di riduzione
della durata dei processi, avrebbe dovuto portare l’introduzione
del giudice monocratico; nel settore civile, dove ogni istruttore è
gravato di circa 900 – 1000 cause, difficilmente una causa dura
meno di tre anni e un vero e proprio problema è costituito da
circa 8.000 cause che sono pendenti davanti al Tribunale da oltre il
triennio che, come noto, rappresenta il limite fisiologico di durata
secondo i criteri che si vanno affermando in relazione al diritto
alla ragionevole durata del processo.
E’ significativo
peraltro che, sempre presso il Tribunale di Brescia, vi siano 726
cause ogni 100 mila abitanti che esprimono una domanda di giustizia
inferiore dell’11% rispetto alla media nazionale; questo dato
appare quantomeno strano in una zona economicamente forte e molto
attiva in campo imprenditoriale. Fondato è il sospetto che su
queste percentuali abbia inciso e tuttora incida la tradizionale
insufficienza delle strutture giudiziarie bresciane e la conseguente
disaffezione dell’utenza.
Si segnala nel distretto
il caso grave della perdurante e forte carenza di organico degli
ufficiali giudiziari di Bergamo
(su un organico di 32 persone di
registra una presenza effettiva di 14), che ha comportato notevoli
problemi nella notifica di atti di numerosi processi penali.
L’Ufficio Unico Notificazioni assolve ad un carico di lavoro
che al 31.1.2003 si attestava su circa 200.000 notifiche e 42.000
esecuzioni.
Più in generale,
nel distretto merita di essere adeguatamente segnalata la vicenda che
ha interessato la Procura della Repubblica di Bergamo. Il
posto vacante di Procuratore della Repubblica è in pratica
scoperto dal giugno 2001 a causa della strenua opposizione
manifestata dal Ministro alla nomina, deliberata dal CSM, di Adriano
Galizzi. Risale al 25 ottobre 2002 la nota con la quale l’On.
Castelli si rifiutò – dopo avere negato il concerto –
di controfirmare il decreto di nomina conseguente alla deliberazione
consiliare risalente all’estate precedente. E’ stato
necessario che il CSM sollevasse conflitto di attribuzione contro il
Ministro davanti alla Corte Costituzionale perché il caso
avesse un positivo sbocco. E la Corte con la recente sentenza del 18
dicembre scorso ha finalmente negato la legittimità del
comportamento del Ministro escludendo che questi abbia in generale un
potere di sindacato intrinseco o, tantomeno, di riesame sul contenuto
degli apprezzamenti e delle scelte discrezionali del Consiglio “nella
specie, deve escludersi che da parte del CSM sia mancata una attività
di concertazione, o che nel comportamento dello stesso possa
ravvisarsi una mancanza di leale collaborazione …essendo stati
svolti approfondimenti e verifiche, con completa attività
istruttoria, essendo state compiute valutazioni motivate in ordine
alle ragioni addotte dal Ministro, ed essendo trascorso un periodo di
tempo di gran lunga superiore ad ogni ragionevole aspettativa, tenuto
conto della durata della vacanza del posto diterrivo da coprire,
senza che sia stata raggiunta una soluzione comune…..non
spetta al Ministro della Giustizia non dare corso alla controfirma
del decreto del Presidente della Repubblica di conferimento di
ufficio direttivo sulla base di deliberazione del CSM, quando,
nonostante sia stata svolta una adeguata attività di
concertazione ispirata al principio di leale collaborazione, non si
sia convenuto tra CSM e Ministro, in tempi ragionevoli, sulla
relativa proposta”.

Nel mentre si saluta la
positiva conclusione della vicenda, non si può fare a meno di
evidenziare come il “braccio di ferro” che avrebbe potuto
benissimo essere evitato solo che si fossero, con un minimo di
attenzione, studiati gli stessi precedenti della Corte Costituzionale
(sentenza n. 379/1992 e n. 142/1973 e 168/1968) ha avuto il deleterio
risultato di lasciare scoperto per quasi tre anni un posto di
assoluto rilievo quale è quello del Procuratore della
Repubblica.

16 01 2004
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