Dedicherò il mio intervento al rapporto tra associazionismo e autogoverno.
La ragione sta nella relazione che lega qualità della giustizia e qualità dell'autogoverno e nei rischi cui l'espone il correntismo deteriore.
Se il significato della previsione dell'autogoverno - la ragione e lo scopo dell'istituzione del CSM - è stato mantenere l'amministrazione della giurisdizione al riparo da rapporti di subalternità con le maggioranze parlamentari, i partiti e i centri del potere politico ed economico al fine di garantire i valori assegnati alla giurisdizione dalla Carta Costituzionale, possiamo, alla luce dei fatti, svolgere due osservazioni:
- una serie di fattori ha concorso alla realizzazione di un modello di magistrato e di organizzazione giudiziaria assolutamente inedito nel panorama italiano ed europeo: il ruolo di garanzia del CSM, il principio del giudice naturale, il controllo diffuso di costituzionalità, la perdita di centralità della Cassazione, l'abolizione della carriera, le regole per lo svolgimento del concorso, l'affermarsi del principio di libertà interpretativa e del pluralismo politico e culturale, la nascita delle correnti come oggi le conosciamo all'interno dell'associazionismo; tutto questo ha fatto sì che la magistratura italiana sia oggi un corpo connotato da un forte grado di indipendenza esterna e di indipendenza interna, intesa quest'ultima quale assenza di gerarchia e di condizionamenti nel momento dell'assegnazione degli affari e della decisione delle cause;
- al contempo, all'influenza esercitata in passato dal potere politico sulla magistratura (direttamente fino alla nascita della Repubblica e in via indiretta attraverso l'influenza esercitata sulla Cassazione e sui capi dei maggiori uffici giudiziari, poi, fino all'istituzione del Csm e all'abolizione del sistema gerarchico) si è gradualmente ma inesorabilmente sostituita l'influenza (quando non l'egemonia) esercitata dalle correnti conservatrici dell'associazione nazionale magistrati sul concreto esercizio dell'autogoverno; tale influenza, rafforzata da alleanze pi o meno stabili, si è tradotta in defatiganti veti ad ogni reale innovazione e in un'ingerenza diretta (e proporzionale al tasso di discrezionalità della decisione) soprattutto nel campo dei trasferimenti e delle nomine; espressione palese ne è la maggioranza come ordinario metodo di decisione (la vecchia regola "del 17" oggi divenuta regola "del 13" e rafforzata dal bipolarismo di cui sono espressione i membri laici del Consiglio).
E' noto il fondamentale contributo di Magistratura democratica all'abbattimento del sistema gerarchico e conformista di organizzazione giudiziaria, all'affermazione della politicità della giurisdizione e del nuovo ruolo del magistrato. Sono note anche le battaglie di Magistratura democratica per il rispetto delle regole e l'affermarsi del modello costituzionale di autogoverno. E' mia convinzione che queste battaglie non siano pi adeguate quanto al modo e agli obiettivi.
E' evidente che un organo di vertice di un potere dello Stato, a struttura collegiale e che opera secondo il principio della maggioranza semplice, implica una qualche misura di consociativismo o concertazione accompagnata da meccanismi o da prassi di tutela delle minoranze, al fine di garantire la democrazia interna nonch un elevato grado di credibilità e prestigio all'organo e al suo operato attraverso decisioni assunte all'unanimità o con maggioranze molto elevate. E' per tali motivi che, ad esempio, le nomine ad uffici direttivi sono assunte a maggioranza qualificata dal Consiglio superiore spagnolo e che, per prassi, il Consiglio superiore francese non conosce la possibilità di proposte alternative per tali nomine (laddove presso di noi sono ormai la deprimente - anche per il finale, scontato - regola).
E' altrettanto evidente che forme varie di influenza (da parte dei sindacati della magistratura, dei partiti politici o delle maggioranze di governo, del Presidente della Repubblica, a seconda dei sistemi costituzionali) sono, entro ristretti limiti, fisiologiche e inevitabili.
La questione è che oggi i limiti fisiologici sono stati travolti e l'abbraccio delle correnti sull'autogoverno rischia di essere soffocante.
In questa situazione non possiamo limitarci ad additare nelle altre correnti i responsabili della degenerazione. In un sistema costruito, come lo è l'autogoverno, su collegialità e principio di maggioranza, non è sufficiente perdere onorevolmente, fare testimonianza, alzare il livello dello scontro; in questo modo si salva forse qualche coscienza individuale e si paga pegno a una vaga voglia di estremismo istituzionale, ma non si risolve alcun problema, non si contribuisce al miglioramento dell'autogoverno e della magistratura, si diviene conniventi di un sistema sgangherato e che sempre pi perde di credibilità, in primo luogo al nostro interno. E che la nostra azione sia stata, a conti fatti, insufficiente, lo dimostra il fatto che l'unico strumento di garanzia d'imparzialità e pluralismo (e argine contro gli abusi delle maggioranze correntizie) che abbiamo saputo costruire è stato l'anzianità quale criterio privilegiato nelle nomine di maggiore rilievo e che, laddove l'anzianità non è criterio appagante (ad es. il comitato scientifico), ci si è prodotti in tentativi di razionalizzazione (la c.d. conciliazione di pluralismo e competenze) affatto insufficienti e insoddisfacenti nei risultati. Se tali "rimedi" potevano "tenere" in passato, di fronte all'attuale pressante richiesta di qualità della giustizia e di efficienza della giurisdizione, che viene dai consociati, rivelano tutta la loro inadeguatezza.
<demistificazione. La rottura di miti antichi, autorevoli, mai posti in dubbio. " Occorreva consumare uno scisma entro la cittadella della giurisdizione.>> (Borrè, Le scelte di Magistratura democratica, 1992).
Credo che sia venuto il tempo di smuovere acritiche certezze e rompere nuovi miti, quelli sul ruolo delle correnti nell'autogoverno, ruolo che, per l'abuso che si è realizzato, per l'adulterazione del pluralismo ideale in gestione di affari di bottega e distribuzione di prebende deve essere oggetto di una profonda revisione, di una rifondazione.
Non è pi il tempo dei gradualismi e delle razionalizzazioni. A questo sistema dobbiamo essere contro e questo sistema dobbiamo denunciare fortemente dall'interno.
Senza timore di perdere qualche posizione acquisita e senza timore di dare argomenti al "nemico" (ch argomenti ne daremmo di maggiori col tacere e perpetrare questo stato di cose).
E' l'ora di uscire dagli angusti confini di un dibattito narcotizzato dall'emergenza controriformista.
N c'incantano le sirene della neutralità del Csm, della rottura del mandato correntizio - che è proprio l'obbiettivo (guarda caso!) perseguito dal governo con l'attuale legge elettorale - che nient'altro è se non l'auspicato ritorno a un'idea di apoliticità dell'apparato giudiziario, di neutralità della tecnica, di conservazione dello status quo.
Lo scopo che ci deve animare ancor oggi è la demistificazione e, al contempo, la costruzione di un nuovo sistema che poggi su tutti i valori politici che la Costituzione assegna alla giurisdizione.
Dobbiamo dire con chiarezza che le correnti devono fare un passo indietro, recuperando il loro ruolo di produttori di cultura e motori di cambiamento.
Associazionismo e autogoverno devono essere una coppia alla Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir : ciascuno a casa sua ma ciascuno dando il meglio di s.
Al contempo, la strada da percorrere è quella della riscrittura dei meccanismi gestionali e decisionali (in via regolamentare) e soprattutto della elaborazione di un sistema di regole (efficaci, basate su criteri obbiettivabili, calibrate sui fini di volta in volta da raggiungere, nutrite nella loro applicazione da dati conoscitivi corretti e completi provenienti dai consigli giudiziari) per ogni tipo di selezione e nomina, senza esclusione alcuna. In questa fase storica, solo una drastica riduzione della discrezionalità (ovviamente non nei settori di maggior "politicità" del Csm, dalla formulazione dei pareri all'elaborazione delle linee guida per la formazione) può ragionevolmente e senza strappi istituzionali far ristabilire la giusta distanza tra autogoverno e associazionismo.
A tal fine sarà necessario uscire dall'ambiguo pensiero - rivelatosi, nei fatti e al di là delle buone intenzioni, criptocorporativo - per cui ogni selezione positiva sfocia in meritocrazia e carrierismo.
Nel sistema costituzionale in cui i magistrati si distinguono solo per funzione, non si tratta di restaurare gerarchie verticali fondate su gradi e funzioni gerarchicamente ordinate ma di prendere atto che, dal punto di vista contenutistico e organizzativo, le funzioni e i compiti nuovi e vecchi interni alla giurisdizione (da dirigente a formatore a referente per l'informatica) presentano - sempre pi in una crescente specializzazione della legge e in una crescente complessità dell'organizzazione - differenze rilevanti e che il loro esercizio richiede competenze differenti e la selezione deve essere effettuata in base alle competenze e non in base a logiche corporative, protezionistiche, lottizzatorie.
Ancora, sarà necessario aprire, coraggiosamente, l'autogoverno al contributo degli utenti della giurisdizione e delle stesse amministrazioni locali, richiamando al contempo i laici alla funzione loro assegnata nel sistema costituzionale, di antidoto al corporativismo (e non certo di partecipe ai rodei correntizi).
Concludo con le parole di Pino Borrè: "Occorre capire che è in gioco, nei problemi qui considerati, non solo l'immagine ma la stessa sopravvivenza del sistema dell'autogoverno. Perch il giorno in cui si potesse dire (non per impeto polemico come è già accaduto, ma con sicura coscienza) che c'era da avere pi fiducia negli antichi strumenti di selezione generale e in una vecchia commissione giudicatrice che non nella funzione valutativa dell'organo di autogoverno, si tornerebbe incommensurabilmente indietro nella storia del pluralismo e dell'indipendenza della magistratura.".
A questi compiti di demistificazione e costruzione è, a mio avviso, chiamata Magistratura democratica, perch, attraverso il lavorio nelle sezioni, sul territorio, nel consiglio nazionale, si costruisca una cultura e una pratica dell'autogoverno, fatta di pluralismo, di rispetto delle regole e di un'etica semplice: quella dell'agire sine metu ac spe.