Voltare pagina per ricostruire lo Stato costituzionale di diritto Franco Ippolito Presidente di Magistratura democratica 1. I congressi dell’Anm sono occasioni preziose non soltanto per confrontarci tra noi, ma anche per parlare al più vasto panorama istituzionale, al mondo politico e, soprattutto, per parlare alla società e ai cittadini, i quali devono sapere, hanno il diritto di conoscere cosa fanno, cosa pensano, cosa propongono i loro giudici. Il nostro auspicio è che l’attuale stagione, segnata da contrapposizioni e da polemiche strumentali, si chiuda al più presto e un’altra possa aprirsi. Questo congresso è stato segnato, sin dall’apertura, da un’espressione pronunciata dal sindaco di Roma Walter Veltroni, ripresa dal presidente della Provincia e dal presidente della Regione e ripetuta da molti interventi: necessità di dialogo. Si tratta di esigenza importante e seria, ma non bisogna dimenticare che il dialogo si fa in due, bisogna volersi ascoltare, bisogna volersi e sapersi intendere. Il dialogo implica innanzi tutto disponibilità all’ascolto, disponibilità a prendere sul serio le opinioni e le ragioni degli altri. In questi anni, prima ancora del dialogo vero, è mancata la disponibilità al dialogo da parte del Governo e della maggioranza politica che, nel migliore dei casi, hanno convocato gli interlocutori e finto di ascoltarli, ma poi sono stati, testardamente e pervicacemente, sordi alle opinioni, alle argomentazioni, alle ragioni di chiunque prospettasse una linea, una proposta, una soluzione diversa da quelle già decise. Non è accaduto soltanto sulle questioni giudiziarie, si è trattato di un metodo di governo, praticato in materia di giustizia non diversamente da quanto è accaduto nel mondo della scuola e dell’università. Non è stato un caso che tutta la magistratura e buona parte dell’avvocatura abbiano espresso il loro giudizio estremamente critico, così come per la prima volta tutto il mondo della scuola e dell’università si è trovato compatto nel protestare non soltanto sul merito delle cosiddette riforme, ma anche sulla mancanza di un confronto vero e di un dialogo leale. 2. Il problema è aggravato dalla concentrazione oligarchica del sistema mass-mediatico. Mentre noi siamo qui impegnati seriamente a riflettere e ragionare, con la pacatezza che ci ha sollecitato ieri il Presidente Ciampi, il paese che guarda la televisione e legge i giornali percepisce un altro congresso, che non è questo che noi stiamo effettivamente realizzando. Che cosa hanno trasmesso i telegiornali e i giornali di questo congresso, dei tanti interventi svolti e dei contenuti emersi qui ieri? Certamente non manca, per i lettori più attenti, la possibilità di ritrovare, all’interno degli articoli e dei resoconti forniti dei professionisti della notizia che sono qui presenti, lo sforzo di spiegare ciò che sta realmente accadendo. Ma i giornali comunicano e orientano il grande pubblico soprattutto con i titoli e le impostazioni grafiche e in quei titoli e in quelle impostazioni c’è poco del congresso, perché tutto si gioca tra una battuta raccolta dietro le quinte e la replica da parte della maggioranza politica, indifferente ai contenuti congressuali e soltanto interessata ad esaltare battute per buttarla in rissa continua. Mentre noi discutiamo sui temi veri e reali della giustizia di questo paese, il Presidente del Consiglio, in una conferenza a Milano, è impegnato nell’ennesima ripetizione del solito catalogo di insulti sui magistrati cattivi e pregiudizialmente a lui ostili, sostenuto e amplificato da un’ossessiva e martellante campagna televisiva che deforma propositi, posizioni e proposte e cancella la realtà della magistratura (che pure costituisce una categoria che non ama proteste) costretta a attuare tre scioperi in questi cinque, nel corso di una legislatura orribile che si sta chiudendo nel peggiori dei modi, una legislatura che è stata soprattutto contro: contro i magistrati, contro i processi, contro la corte di cassazione, contro la giurisdizione, contro i controlli, contro le garanzie, contro i diritti. 3. E’ indispensabile, non solo per la magistratura e la giustizia, ma per il Paese e per la Repubblica mettere finalmente fine a questo progressivo degrado, marcare un netto spartiacque, voltare pagina per ricominciare: innanzi tutto con un metodo nuovo, quello del confronto delle opinioni tra cittadini e società civile, magistrati, avvocati, cultura universitaria, mondo politico. Ricominciare daccapo per ricostruire il senso delle istituzioni, della cultura dello stato costituzionale di diritto. Per ricominciare, prima ancora della condivisione di contenuti e di proposte, è necessario un codice linguistico comune, occorre avere in comune un alfabeto, una grammatica e una sintassi, solo in presenza dei quali si può discutere sui contenuti, confrontarsi, eventualmente anche scontrarsi e dividersi. Questo codice comune per i magistrati italiani, per noi, si chiama Costituzione della Repubblica, questa Costituzione della Repubblica. Voglio dire con franchezza che gli autorevoli inviti alla pacatezza ed al distacco dalle passioni, che certo costituiscono uno stile e un costume da seguire da parte dei magistrati, sono stati riproposti in qualche intervento con parole espressive di una concezione inaccettabile, sino a giungere alla lettura deformata dell’invito del Presidente Ciampi all’imparzialità. Ho molto apprezzato la relazione, svolta a nome della giunta unitaria, dal collega Carlo Fucci, che ieri sulla Costituzione ha analizzato a 360 gradi e criticato severamente l’inaccettabile revisione approvata dal Senato nel novembre scorso. Taluni interventi, dopo quella relazione, ci hanno richiamato all’equidistanza, all’imparzialità e all’apparenza dell’imparzialità. Imparzialità rispetto a che cosa? E’ fuori discussione l’esigenza di imparzialità rispetto agli interessi concreti delle varie parti, a cominciare dalle parti processuali. 4. Si può essere imparziali rispetto a valori di fondo dell’ordinamento? Si può essere imparziali tra chi ha approvato una riforma costituzionale che stravolge la Costituzione repubblicana del 1948 (non soltanto nella seconda parte, ma anche nella prima, incidendo indirettamente ma pesantemente anche su di essa) e chi invece ha chiesto un referendum costituzionale -e noi rivendichiamo di essere stati tra questi- raccogliendo firme e chiamando i cittadini a salvare la Costituzione? Si può essere imparziali tra chi ha approvato la controriforma dell’ordinamento giudiziario, incostituzionale e irrazionale, e chi si oppone al ripristino del modello pre-costituzionale della magistratura gerarchizzata e verticistica? Si può essere imparziali tra chi continuamente denigra e delegittima tutte le istituzioni di garanzie e di controllo e chi, al contrario, ritiene -come proclamava la Dichiarazione dei diritti del cittadino del 1789- che un Paese senza una vera separazione dei poteri e senza effettiva garanzia dei diritti delle persone, anche contro la volontà delle maggioranze politiche, è un Paese che non ha Costituzione? Credo che per i magistrati sia un dovere essere imparziali tra gli interessi materiali in gioco, ma ritengo che non si possa, non si debba essere imparziali tra valori e disvalori o, se si vuole, tra i valori della Costituzione e del costituzionalismo democratico e il rifiuto di essi. 5. Noi dobbiamo raccogliere anche, con pacatezza ma con fermezza, un’altra sollecitazione spesso rivolta dal Presidente della Repubblica: tenere la schiena diritta. Non è un invito alla fermezza per ragioni di pregiudiziale schieramento politico contro le inaccettabili distorsioni dell’attuale maggioranza, espresse in tante leggi censurate dalla Corte costituzionale e da tantissimi costituzionalisti. Voglio ricordare la linea di fermezza costituzionale tenuta dall’Anm nei confronti delle inaccettabili proposte della Commissione Bicamerale sulle riforme istituzionali, a riprova che non è questione di schieramento politico, ma di contenuti e di scelte su valori fondamentali. E’ su queste scelte di fondo per la Costituzione e sul nostro impegno etico e professionale per i diritti e lo Stato di diritto che possiamo davvero risintonizzarci con la società e con i cittadini. In questo congresso, che si svolge nell’attuale delicatissima fase storico-politica, se davvero vogliamo parlare ai cittadini che hanno il diritto di conoscere e valutare la cultura e la sensibilità dei magistrati, più che di cataloghi di diritti dei giudici (come qualcuno ha fatto), dobbiamo parlare di diritti dei cittadini, di diritti negati o tardivamente riconosciuti e di quanto possiamo e dobbiamo fare noi per assolvere sino in fondo al ruolo costituzionale di garanti. E’ per questo che, ancora una volta, ribadiamo che il nostro convinto impegno non soltanto per la difesa, ma soprattutto per il rilancio di questa nostra Carta costituzionale e del costituzionalismo, inteso come una serie di vincoli e di limiti ad ogni potere, può essere il formidabile fattore di ri-legittimazione, ad un tempo, della Costituzione, della cultura e della pratica dei diritti, della giurisdizione e della stessa magistratura.