Avvertenza
Questione giustizia entra, con questo fascicolo, nel diciottesimo anno di vita e si rinnova nella periodicità, nella veste grafica, nelle rubriche.
E', la nostra, una lunga storia, che inizia nel 1982 ma le cui radici affondano nell'esperienza di Qualegiustizia e di Magistratura democratica, innovative testate degli anni settanta e punto di riferimento dei giuristi progressisti. La nuova rivista scriveva Pino Borrè nell'editoriale del primo numero, dopo aver richiamato quelle precedenti esperienze - nasce nella stagione del riflusso; ha di fronte a sé un'inversione di tendenza legislativa propiziata dal terrorismo e dalla crisi economica; e soprattutto deve fare i conti con emergenti prospettive di riforma istituzionale, la cui novità ed ambiguità richiede un aggiornamento delle strategie di risposta. Il compito della nuova rivista è dunque più complesso e di ciò si è voluto dare un segnale anche attraverso il nome che le è stato attribuito: meno argutamente provocatorio di Qualegiustizia, esso vuol rappresentare un livello di accresciuta problematicità ed esprimere l'idea di una "questione aperta", che deve essere, anzitutto, chiaramente decifrata nella complessità e nella novità dei suoi termini. Questioni aperte, dunque, e non facili. Necessità di tener conto di tutte le possibili interdipendenze che i problemi presentano, senza aprioristiche preclusioni di indagine. Ma necessità, anche, di non perdere di vista e di professare esplicitamente, fin da questa presentazione, la scelta di fondo che anima la rivista e che si articola in tre punti: l'individuazione del principio di emancipazione e di effettiva eguaglianza fissato dall'art. 3, 2° comma della Costituzione come parametro fondamentale di riferimento per gli orientamenti legislativi e giurisprudenziali; l'affermazione dell'indipendenza della magistratura come insostituibile strumento di controllo diffuso della legalità; l'esigenza di un processo garantito, che assicuri il rispetto dei valori della persona.
In diciotto anni gli scenari di riferimento sono profondamente cambiati, ma il progetto politico culturale della rivista non ha perso attualità e invariate restano le sue scelte di fondo.
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Il rinnovamento che inizia con questo fascicolo non è, dunque, un mutamento di linea politico-culturale. Ma non è neppure una semplice operazione di lifting.
L'accelerazione della politica ha contagiato anche il settore giustizia. I progetti di riforma (o di controriforma) si moltiplicano e si accavallano, pur se spesso in modo inconcludente. La rilevanza politica e mediatica dell'intervento giudiziario apre problemi nuovi e polemiche quotidiane. I temi del dibattito cambiano repentinamente, seguendo logiche a volte imprevedibili. Anche la giurisprudenza, dopo anni di apparente tranquillità, torna ad essere materia di confronto e di scontro. In questo contesto la periodicità trimestrale della rivista ha talora ostacolato o ritardato interventi idonei ad incidere sugli orientamenti culturali e sulle politiche della giustizia. Di qui la decisione di passare a bimestrale. Crescono, dunque, tempestività e pagine; e, insieme, gli articoli diventano mediamente più agili, lasciando all'obiettivo funzione e spazio di approfondimento.
L'Europa e, più in generale, la dimensione internazionale della giustizia sono ormai una realtà. Da sempre Questione giustizia vi ha dedicato specifica attenzione con un apposito osservatorio internazionale, a cui si è affiancata, negli anni, la rubrica cronache dall'Europa. Oggi si impone un salto di qualità, preparatorio di una vera e propria rivista europea, collegata con l'esperienza ultradecennale di Magistrats européns pour la dèmocratie et les libertès. Le prime tappe di questo progetto sono una maggior strutturazione e continuità dell'informazione e dell'analisi nel settore (ben visibile già in questo fascicolo) e l'inserimento nella squadra della rivista di magistrati e giuristi rappresentativi di diverse realtà europee (da Perfecto Andres Ibanez a Anne Crenier, da Eduardo Maia Costa a Leandro Valgolio ed a Christian Wettinck).
L'ultimo decennio ha visto la diaspora dei giuristi e la loro frammentazione in corporazioni distinte e spesso contrapposte (in particolare quella dei magistrati e quella degli avvocati). Aggregazioni, divisioni e soggettività politiche sembrano fondarsi sulle appartenenze professionali più che sulle opzioni ideali. E' una deriva senza prospettive, che finisce per negare la stessa possibilità di una politica del diritto organica e leggibile, a vantaggio di contingenti interessi di parte o del piccolo cabotaggio quotidiano. Ad essa non intendiamo rassegnarsi. Di qui la scelta, pur nel permanere dello stretto legame con Magistratura democratica, di rendere Questione giustizia sempre più rivista di e per giuristi, e non (prevalentemente) di e per magistrati. Ciò comporta nuovi settori di approfondimento, nuovi collaboratori e un nuovo assetto organizzativo, con la previsione, a fianco della redazione, di un comitato scientifico ampio e rappresentativo di diverse realtà e professionalità. Non sfuggirà agli osservatori più attenti la mancanza, in esso, della componente forense. Nessuna dimenticanza o omissione, in ciò, ma scelta di un percorso più impegnativo e solido: l'integrazione speriamo rapida del comitato scientifico con esponenti dell'avvocatura dovrà essere l'esito di una collaborazione e di un confronto a cui la rivista si aprirà sin dal prossimo numero.
febbraio 1999