La giustizia non può attendere
Un'altra legislatura si è (anticipatamente) chiusa. Ne avevamo accolto l'apertura con qualche, pur cauta, speranza. E, prima ancora (nei
due anni precedenti), avevamo cercato di prepararla aprendo le pagine
della rivista a un ampio dibattito teso a elaborare proposte per invertire
la tendenza allo sfascio in cui si dibatteva e si dibatte il sistema giustizia
(proposte poi confluite in un ampio quaderno dal titolo Un progetto per
la giustizia, diffuso nel gennaio 2006). Di quel clima era significativo
l?editoriale che apriva il fascicolo n. 2/2006 in cui si legge: «Scriviamo
mentre si sta aprendo una nuova legislatura, con una nuova maggioranza parlamentare. La speranza è che, dopo anni di sfascio (culturale e
organizzativo), si apra, per la giustizia e più in generale per la politica
del diritto, una stagione di grande tensione morale e culturale e di profondi cambiamenti. È un passaggio necessario e urgente. (...) In questa
situazione occorrono segnali immediati e forti di discontinuità. Occorre, in altri termini, voltar pagina. Ed è necessario farlo subito. Abrogare
le norme che hanno stravolto il sistema giuridico (sul piano sostanziale,
processuale e ordinamentale) o sospenderne l'efficacia non è una rivincita. È la condizione necessaria per avviare un processo di vera riforma
del sistema, per innescare percorsi virtuosi di cambiamento, per avviare
una stagione di mobilitazione ed elaborazione culturale. Nessun edificio
si può ricostruire o ristrutturare se non si risistemano le fondamenta
indebolite e se non si abbattono le parti pericolanti. Senza questo passaggio non si aprirà nessuna nuova stagione per la giustizia». Due anni
dopo constatiamo - con amarezza - che la speranza è andata delusa e
che i timori allora adombrati hanno trovato conferma oltre le più pessimistiche previsioni. In quasi due anni di legislatura è stata corretta e
non è poca cosa, come abbiamo ripetutamente sottolineato (pur non
nascondendoci i limiti dell'intervento correttivo) la riforma dell'ordinamento giudiziario voluta dalla destra in odio (non tanto alla magistratura quanto) all'indipendente esercizio della giurisdizione. Ma al di là di
ciò, nulla è stato fatto.
Non sono state toccate (se non da interventi della Corte costituzionale) le leggi ad personam che hanno snaturato e sconvolto il sistema
normativo, sono rimaste invariate la disciplina della immigrazione e
degli stupefacenti (a cui si deve, in misura consistente, la crescita a
dismisura del diritto penale e del carcere), i promessi interventi di revisione (se non di riforma) del codice penale e di procedura penale hanno
seguito il copione già visto dei disegni di legge di facciata e delle commissioni ministeriali produttive di elaborati destinati all'archivio (mentre il sistema delle impugnazioni, della prescrizione e finanche delle notifiche continua, invariato, a produrre ineffettività e spreco di risorse),
le forme alternative di tutela in sede civile segnano il passo, la magistratura onoraria non intravede vie di uscita all'attuale stato di incertezza,
inadeguatezza e frustrazione, e via elencando.
Mentre una nuova campagna elettorale si apre è sempre più evidente
(pur se appare ai più una lamentela di rito) che la giustizia non può attendere. La sua ineffettività e il suo sfascio incidono profondamente sulle
stesse condizioni di vita delle persone e della collettività producendo, talora, effetti secondari pericolosi per la stessa convivenza democratica.
Eppure i primi cenni di programma delle forze politiche che si candidano
alla guida del Paese per il prossimo quinquennio sono - se possibile -
ancor più deludenti di quelli che li hanno preceduti. Da una parte
inasprimenti di pena per i reati di strada, nuova penalità e nuove carceri
per i briganti, ulteriore depotenziamento delle possibilità di accertamento
per i galantuomini, più drastici interventi sul piano ordinamentale, acritica (e impressionistica) importazione di istituti stranieri (a cominciare dalla
giuria); dall'altra non più che la promessa (priva di concrete indicazioni
sul come) di una crescita di efficienza della macchina giudiziaria, di tempi
più rapidi per i processi, di improbabili accorpamenti di tribunali, di manager preposti alla gestione degli uffici...
In questo quadro è difficile nutrire speranze. Ma la realtà incombe
e chiede interventi immediati: più mezzi e più risorse ma, soprattutto, un
progetto di grande respiro che ridefinisca il rapporto del sistema giustizia con la società e le sue esigenze. Non ci facciamo illusioni ma, neppure, vogliamo rassegnarci. Almeno sul piano culturale.
febbraio 2008