Il diritto e i diritti. Le politiche della destra, l'assenza di opposizione, il ruolo dei giuristi
Quattro mesi fa, nell'editoriale del n. 2/2008, scrivevamo che le elezioni politiche del 13 e 14 aprile non si erano limitate a determina-re una (fisiologica) alternanza di governo ma avevano sancito l'ege-monia di forze politiche e culturali estranee od ostili al progetto e-gualitario ed emancipatore della Costituzione del 1948. I fatti hanno rapidamente confermato tale analisi, cancellando gli entusiasmi (in-cauti quanto incomprensibili) di quanti parevano conquistati dai pri-mi passi e dalle "buone maniere" del ministro Alfano. I primi cento giorni di governo propongono, infatti, un elenco di interventi nel set-tore dei diritti e della giustizia impressionante per qualità e quantità. La riedizione, ostentata e rivendicata, della pratica delle leggi ad per-sonam (con una sospensione dei procedimenti nei confronti delle alte cariche dello Stato disegnata sulle esigenze contingenti del presiden-te del Consiglio) sta determinando lo stravolgimento della funzione legislativa. Sull'onda della questione sicuritaria e di altre ricorrenti emergenze (a cominciare dell'accumulo di rifiuti nelle strade di Na-poli) lo stato di eccezione è diventato regola, provocando - inisieme al bisticcio delle parole - ferite senza precedenti all'unità dell'ordi-namento giudiziario e processuale e finanche del sistema penale. L'ossessione dei migranti ha incentivato meccanismi premoderni di differenziazione della cittadinanza e dato la stura a un'ondata repres-siva presto estesa - complici molti sindaci e amministratori locali - a ogni settore di devianza e diversità. Il principio di uguaglianza e lo Stato sociale - nuclei forti della Costituzione del 1948 - sono stati umiliati fino alla configurazione del regime di precarietà come regola anche per rapporti di lavoro pregressi caratterizzati da stabilità e du-rata indeterminata (sic!) mentre nuove "carte di povertà" si appresta-no a sostituire servizi e interventi di sostegno fondamentali per tutti. E, in questo quadro, si anticipa, per l'autunno, una coerente "campa-gna" tesa normalizzare la giurisdizione e la magistratura rendendole compatibili con il nuovo sistema.
Tutto prevedibile e già scritto nel risultato elettorale di primave-ra? Non esattamente. Ci sono, infatti, alcuni elementi di novità. Due, in particolare, tra loro strettamente connessi: la facilità con cui il progetto della destra si sta realizzando e l'assenza di una reale oppo-sizione. Il primo dato blocca sul nascere ogni interpretazione ridutti-va della situazione. Ad essere vincente non è (solo) un "grande co-municatore" beneficiato da reti televisive discutibilmente possedute: è, ben più in profondità, una cultura i cui riferimenti sono la disugua-glianza, la competizione, la divisione ineluttabile della società (no-vello classismo alla rovescia) in ricchi e poveri. Si tratta di una cultu-ra diffusa, costruita nei decenni, da cui non ci si libererà nei tempi brevi. Altrettanto netto è il secondo elemento di novità. A fronte del progetto della destra non c'è alternativa culturale né opposizione po-litica (se si eccettuano il populismo di Antonio Di Pietro e gli edito-riali di Famiglia Cristiana). La sinistra, in particolare, è - sul tema dei diritti e della giustizia - assente e, in ogni caso, silente. Nella mi-gliore delle ipotesi gioca di rimessa contestando, debolmente, questa o quella iniziativa del Governo e della maggioranza senza mai uscire da una situazione di subalternità apparentemente irrimediabile anche in settori classici della sua riflessione e del suo impegno: la centralità della Costituzione e dei suoi principi, la «questione morale» (scom-parsa dalla sua prassi e dal suo vocabolario), la sicurezza dei cittadini (appiattita sulla «emergenza criminalità» senza coglierne la connes-sione con condizioni di vita sempre più precarie e incerte) e via elen-cando.
Che fare, nel quadro descritto, per questa Rivista? La risposta è obbligata. Intraprendere un lavoro di lunga lena teso a costruire, per la giustizia e per i diritti, una cultura e un progetto alternativi, Capaci di conservare (principi e valori) e di innovare (forme e strutture). In grado di offrire al discorso pubblico analisi, idee, proposte. Abbiamo provato a farlo negli anni scorsi, anche aprendo le nostre pagine a un dibattito poi sfociato in un corposo e ricco volume (Un progetto per la giustizia. Idee e proposte di rinnovamento, a cura di L. Pepino e N. Rossi, FrancoAngeli, 2005). Ma è ancora poca cosa. Apriremo, dunque, una riflessione su noi stessi e, sopratutto, riprenderemo le fila di un discorso che coinvolga l'intera comunità dei giuristi e che sappia coagulare nuove energie e nuovi soggetti in un rinnovato im-pegno per il diritto e per i diritti.