Ammontano già ad alcune centinaia le firme dei magistrati in solidarietà di Raimondo Mesiano, il giudice civile che ha condannato la Fininvest (e non Silvio Berlusconi) a risarcire alla CIR di De Benedetti i danni derivati dalla corruzione dei giudici chiamati a decidere della validità del cd. Lodo Mondadori. Il Comitato direttivo centrale dell'ANM ha deciso all'unanimità (fatto nuovo nell'esperienza di questi mesi di governo dell'Associazione, da cui è esclusa la componente più vicina alla destra), lo stato di agitazione, definendo "stupefacente e vergognoso" che si sia giunti a quello a cui mai avevamo assistito, l'intrusione nel privato per dileggiare la "stravaganza" della normalità (scusate l'ossimoro) di un giudice.
La solidarietà, e l'indignazione, sono dovute e mai come ora sincere, ma non bisogna fermarsi a questo. Da oggi possiamo finalmente guardare ai fatti liberandoci della lente deformante con cui da anni si leggono le vicende giudiziarie che riguardano il premier (e non solo) e soprattutto, servendosi della quale anche da sinistra si vorrebbero riformare i giudici ed il loro governo (e non la giustizia ed i suoi irrisolti problemi). La campagna mediatica scaraventata contro Raimondo Mesiano, che solo perchè autore di quella sentenza viene inserito d'ufficio tra gli attori del "complotto" ordito dalla solita magistratura politicizzata, militarizzata, prevenuta e asservita alle strategie eversive di una parte, oggi disvela tutto quello che a ben vedere era già leggibile nelle strategie di questi anni.
Ciò che dà al magistrato la patente di "nemico" non è la diversa impronta culturale ed ideale, esposta in modo trasparente e responsabile: ciò che lo espone agli attacchi ed alle accuse, fino al dileggio personale, è il fatto di avere assunto certe iniziative ed averle portate avanti nonostante tutto (e in quest'espressione ci sta tutto veramente, comprese le leggi ad personam confezionate appositamente dagli avvocati - legislatori), fino allo sbocco normale, in un Paese normale, la sentenza. Lo spregevole attacco al giudice Mesiano mostra che se il fine è dato, lo strumento per arrivarci lo si trova sempre: dalla toga rossa, al calzino turchese, per una gamma infinita di opzioni cromatiche e di variabili esistenziali dell'individuo anche al di là ed a prescindere dai suoi orientamenti politici (che si badi, fanno notizia quando si rivolgono in un senso solo).
Oggi tutti i magistrati avvertono con naturale timore questa loro personale esposizione, da cui sanno non potrà salvarli il desiderio di non apparire, di non caratterizzarsi in alcun modo, di non farsi protagonisti: l'unica strada sicura, che potrà ridare loro la tranquillità, è quella di evitare pronunce "sgradite". Certo, ora è chiaro. Ma quanto può ancora restare tranquillo questo Paese?
Rita Sanlorenzo
Segretario Nazionale di Magistratura democratica