Ricordo di Federico Governatori

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da Il Manifesto dell' 8 novembre 2009

 

Il saluto a un amico che se ne è andato propone una riflessione sulla vicenda collettiva di cui siamo stati partecipi e che, ancora, ci riguarda. Ciò vale, a maggior ragione, quando quell'amico si chiama Federico Governatori, per decenni giudice a Bologna, esponente storico di Magistratura democratica, direttore di Qualegiustizia (mitico punto di riferimento, negli anni '70, per tutti i giuristi progressisti). Federico se ne è andato in silenzio. Da tempo aveva abbandonato il dibattito pubblico. Non c'era posto, per un intellettuale rigoroso come lui, in un mondo nel quale, per usare le parole di Pino Borrè, «la bugia è la regola, dove l'approssimazione è il modo normale di vita, dove l'apparire conta più dell'essere, dove il tatticismo politico si coniuga con la non simulata ma reale ignoranza e dove si parla di un'assemblea costituente come se fosse ordinaria amministrazione, oppure di importazione di sistemi costituzionali stranieri come se si trattasse di importazione di grano alla rinfusa o di pelli secche».

Federico non ci lascia solo una lezione di rigore e di coerenza. Ci lascia anche un testimone, impugnato il 4 luglio 1964, quando, nell'aula magna del collegio Irnerio di Bologna, insieme con altri 26 magistrati consapevoli che occorreva «consumare una eresia nella cittadella della giurisdizione», fondò Magistratura democratica. Pochi di quei magistrati prevedevano gli sviluppi che, nel giro di pochi anni, avrebbe avuto l'iniziativa, ma tutti conoscevano bene la situazione della magistratura, caratterizzata dalla saldatura - solo apparentemente paradossale - tra un elevatissimo tasso di politicità (con un allineamento pressoché totale ai desiderata della maggioranza politica) e il falso dogma della apoliticità di giudici e giurisdizione. Contro quella subalternità e contro quella ipocrisia nacque Magistratura democratica. Ma non si è trattato solo di una esperienza contro. Da subito l'obiettivo del gruppo è stato quello di costruire un modello alternativo di magistrato, di organizzazione giudiziaria, di politica della giustizia. È stata una esperienza che ha contribuito a cambiare la giurisdizione e che, proprio per questo, ha determinato, in tutti i momenti caldi degli ultimi decenni e oggi più che mai, vere e proprie "campagne" contro quel "manipolo di toghe rosse e politicizzate".

Il ricordo di Federico Governatori - che, soprattutto attraverso la direzione di Qualegiustizia, è stato tra gli attori principali di questa avventura - è l'occasione per qualche (attualissima) puntualizzazione. Che Magistratura democratica sia stata (sia) la sinistra della magistratura è noto e da sempre rivendicato. Di ciò peraltro - per pigrizia o per interesse - si continuano a fornire letture caricaturali o di comodo, come quella secondo cui obiettivo del gruppo sarebbe stato (sarebbe) quello di sostituire la tradizionale egemonia della destra sulla giustizia con una egemonia della sinistra (o, addirittura, di questo o quel partito della sinistra, fino a quando ce ne sono stati...). La realtà è assai diversa e gli obiettivi di Magistratura democratica ben più ambiziosi e innovativi: legati non a contingenti spostamenti dei rapporti di forza ma a un modo alternativo (e coerente con la Costituzione) di concepire la giurisdizione nel sistema politico, un modo fondato sull'abbandono della concezione della magistratura come apparato e sulla sua configurazione come luogo istituzionale di legittimo e necessario pluralismo ideale. Ciò ha innovato in profondità gli orientamenti e i contenuti della giustizia e finanche il rapporto della stessa con la società. La novità, pur ferocemente contrastata, si è via via consolidata ed è diventata un polo di riferimento critico per l'intera cultura giuridica e politica. Eppure la rottura della fedeltà burocratica operata da Md è ferita ancora aperta (non rimarginata e non rimarginabile) perché - come ha scritto N. Bobbio - «dove tutti sono liberisti, si può anche dire che essere liberisti significa non fare politica; ma dove i liberisti si scontrano quotidianamente con i non liberisti (,,,) è naturale dire che fanno politica tutti e due». La nascita di Magistratura democratica, in altri termini, ha svelato che «il re è nudo» e ciò non è stato gradito al re (a tutti i re...).

A Federico Governatori si addice l'impegnativa affermazione di R.C. Van Caenegem secondo cui «è innegabile che i giuristi siano spesso stati servi e strumento del potere, qualunque esso fosse; ma questo non significa che si debbano dimenticare quegli altri che hanno seguito la loro coscienza e le loro idee, indipendentemente da o perfino contro chi governava il mondo». A noi - a Magistratura democratica - spetta il difficile compito di essere coerenti con quell'insegnamento e di continuare a portare il testimone.

Livio Pepino

 

 

09 11 2009
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