Sintesi della introduzione del Segretario generale
Ignazio Juan Patrone
Questo
Congresso inizia a pochi giorni dalle cerimonie con le quali si è
aperto l'anno giudiziario 2007, un appuntamento mai come quest'anno
segnato dalla sensazione di un generale e mesto degrado della giustizia
sia sotto il profilo quantitativo (la capacità di rendere giustizia in
tempi accettabili) che di quello qualitativo. Ovunque è emerso, con
accenti diversi, il profondo disagio nel quale tutti gli attori del
sistema, magistrati, avvocati, personale dell'amministrazione, sono
oggi chiamati a operare. Con scelta di tempo certamente non casuale, un
importante quotidiano ha colto l'occasione per descrivere lo stato
miserevole in cui versano alcuni uffici giudiziari della Capitale, tra
fascicoli accatastati e file interminabili agli sportelli e davanti
alle aule.
Nulla
di nuovo per chi tutti i giorni entra nei nostri Palazzi di giustizia,
un pugno nello stomaco per chi non vuole arrendersi allo stato
miserevole delle cose.
Non
può essere eluso il problema essenziale della giustizia oggi in Italia:
come far recuperare al sistema un livello minimo di efficienza
(verrebbe da dire: di effettività) che consenta alla giurisdizione di
(ri)assumere il suo ruolo costituzionale di garante dei diritti di
tutti, in specie di chi non ha altri mezzi per farli valere.
Nessuno, neppure la magistratura, può tirarsi indietro invocando pur esistenti responsabilità altrui:
il gioco sarebbe ormai scoperto e non produrrebbe alcun risultato in
termini di credibilità dei magistrati, della giustizia e della stessa
funzione giurisdizionale. Magistratura democratica, che ha
una storica propensione al dialogo e all'interlocuzione con la
politica, la società e le sue associazioni, il sindacato, intende
continuare, con ostinazione pari alla gravità dello stato delle cose, a
fare i conti con una crisi che abbiamo definito strutturale e non contingente.
Questa
è la ragione per la quale abbiamo scelto come titolo per il nostro
appuntamento congressuale Progettare la giustizia - Garantire i
diritti.
Occorre infatti insistere, come facciamo da oltre un anno, sulle necessità di un vero progetto per la giustizia,
capace di indicare la rotta, di stabilire le priorità e i mezzi -non
solo economici, ma anche e forse soprattutto organizzativi- per farvi
fronte, di mobilitare le energie verso le necessarie riforme, che non
consistono solo in nuove, pur indispensabili, disposizioni di legge
ordinamentale e processuale, ma anche nel cambiamento di una mentalità
fatta di modelli organizzativi decotti e di prassi negative
consolidate, condizionate spesso da quella autoreferenzialità di
categoria che concerne un po' tutti gli attori del sistema e che non
conduce più a nulla se non a un generale naufragio.
Vi sono doveri della magistratura e compiti che la politica non può più eludere.
E'
stato inevitabile e giusto, nelle condizioni imposte dal Governo e
dalla maggioranza nella scorsa legislatura, cercare prima di tutto di
salvare lo statuto minimo di indipendenza e autonomia garantito alla
magistratura dalla Costituzione, pur nella consapevolezza da parte di
molti fra noi che il sistema da lungo tempo stava già mostrando i segni
di un crisi profonda; ogi però dobbiamo cambiare passo.
Il
clima politico è migliorato e non saremo noi di Md, tante volte
destinatari di attacchi e di veri e propri insulti, anche in diretta
televisiva, a non apprezzare le aperture che vi sono state sia in
termini di dialogo -premessa indispensabile per qualsiasi riforma- che
sui contenuti.
Però
il dialogo e la più volte affermata intenzione di porre mano alle
riforme necessarie non bastano più, visto che la situazione è giunta a
un tale stato di degrado da richiedere interventi rapidi e senza
ulteriori esitazioni; in questo senso la volontà espressa dal Ministro
di voler portare il tempo medio di un processo civile, nei tre gradi, a
cinque anni appare nulla più che un desiderio, un auspicio: con quali
mezzi si pensa di operare, stanziando quali risorse, ricorrendo a quali
riforme strutturali, che siano possibilmente frutto di un'ampia
condivisione di intenti ?
Siamo molto preoccupati.
Intanto
perchè il tempo, inesorabile, trascorre e sino a ora, se guardiamo ai
provvedimenti presi e ai progetti concretamente avviati, siamo ancora a
una fase molto preliminare mentre in qualche caso -come sul decreto
Procure- sono state trovate soluzioni bipartisan che ci
lasciano del tutto insoddisfatti. La scadenza del 31 luglio si avvicina
a grandi passi; ci domandiamo come farà il Parlamento ad approvare in
tempo utile la riforma della contro-riforma più volte annunciata e cosa
accadrà se, come appare probabile, la data non verrà rispettata; tutti
devono essere consapevoli che l'entrata definitiva a regime della
contro-riforma farebbe venir meno le premesse stesse per avviare un
dialogo fruttuoso con la magistratura, che ripiomberebbe nell'incubo
della burocratizzazione e delle deresponsabilizzazione.
Sui
contenuti della revisione della controriforma ad oggi resi noti abbiamo
già espresso la nostra opinione, sia con un analitico documento che
verrà discusso e ulteriormente arricchito nel corso di questo Congresso
anche in un'apposita sessione, sia nella sede associativa.
In
estrema sintesi: salutiamo l'intenzione di abbandonare la separazione
delle carriere, apprezziamo lo sforzo di uscire dal sistema concursuale
e burocratico e siamo favorevoli a serie valutazioni periodiche di
professionalità e alla temporaneità delle funzioni direttive; plaudiamo
alla introduzione del sistema democratico di elezione dei Consigli
giudiziari e del Consiglio superiore; nutriamo però un netto dissenso
su una Scuola separata in tre diverse sedi e nella quale il ruolo del
Consiglio non appare prevalente e vogliamo discutere meglio il sistema
di reclutamento.
Non
vorremmo però che, oltre al problema del tempo utile che si va
assottigliando, le linee guida dell'intervento sulla legge Castelli
fossero, come è purtroppo avvenuto per il PM, tutte aperte a quello che
viene chiamato il contributo dell'opposizione. Su questo punto
chiediamo chiarezza.
Sappiamo
bene che vi sono difficoltà numeriche e politiche, specie in un ramo
del Parlamento; vorremmo però sapere su quali parti non si è disposti a
transigere e su quali invece la discussione viene considerata aperta in
partenza. Lo chiediamo con pacatezza, consapevoli come siamo che la
politica ha e deve avere l'ultima parola, ma al tempo stesso certi che
cedimenti come quello avvenuto sulle Procure non solo sono contrari
alle nostre attese, ma rischiano di far entrare in vigore ulteriori
parti di una disegno controriformatore complessivo, che era stato
scritto per ridimensionare il ruolo della magistratura -e della
giurisdizione- nell'equilibrio stesso dei poteri voluto dalla
Costituzione. La controriforma incostituzionale era e incostituzionale
resta e va radicalmente cambiata.
Analoghe
preoccupazioni nutriamo per la mancata abrogazione di alcune leggi
approvate nella scorsa legislatura, prime fra tutte la ex-Cirielli,
che continuano a far danni nel sistema nel suo complesso, così come un
netto dissenso dobbiamo dichiarare per il riemergere della logica degli
interventi improvvisati come la improvvida proposta di istituire nuove sezioni stralcio,
con totale noncuranza degli esiti di quelle istituite nel 1997, con il
ricorso, ancora una volta, a giudici temporanei, assunti senza una
strategia di impiego di tutta la magistratura onoraria, che attende un
riordino dal lontano 1998. Notiamo poi che la legge finanziaria ha
diminuito, e non di poco, il bilancio della giustizia (salvo, pare,
quello del Gabinetto del Ministro) e che la maggioranza non pare
particolarmente ansiosa di mettere in movimento le riforme tante volte
promesse, mentre il dibattito pubblico sulla giustizia e il suo futuro
è pressoché inesistente.
Al
vertice di Caserta è stato varato un "albero delle riforme": alla
giustizia sono dedicate molte pagine, che toccano pressoché tutto lo
scibile in materia: i diritti, il processo, la magistratura, il
personale; ma promettere tutto può voler dire rifugiarsi nel vago di
riforme epocali, senza stabilire le priorità, senza indicare i tempi
che si ritengono possibili, senza impegnare le risorse necessarie, il
che significa porre le premesse per non cambiare nulla. Salvo poi
ripiegare su proposte magari suggestive, ma certo insufficienti,
velleitarie e populiste, come quella di accorciare la sospensione
feriale da quarantacinque a trenta giorni, confondendo la sospensione
dei termini (durante la quale gli Uffici, comunque, non chiudono ed
anzi trattano spesso numerosi procedimenti) con le nostre ferie.
Ci aspettiamo risposte chiare perché la stagione delle manifestazioni di intenti è finita.
Ad
oggi, dieci mesi dopo le elezioni politiche, in materia di giustizia
abbiamo avuto: un indulto non accompagnato da quella pur limitata
amnistia che avrebbe avuto almeno l'effetto di sgravare Procure e
Tribunali da una parte di arretrato; una sospensione molto parziale
della controriforma Castelli, con un termine che ormai incombe; il
consolidamento di un assetto delle Procure che è antistorico,
incostituzionale e non migliora in alcun modo l'efficienza di quegli
uffici; una riforma del disciplinare non insoddisfacente. E' davvero
troppo poco.
Anche la magistratura ha sue responsabilità nella crisi della giustizia.
Il
dibattito interno che ha preceduto questo Congresso, spesso molto
franco, si è caratterizzato per l'attenzione ai problemi organizzativi
degli uffici, a una più razionale divisione del lavoro (e quindi delle
scarse risorse a disposizione), alle modalità con le quali si deve
intendere la giustizia e l'efficacia della risposta che riusciamo a
dare rispettando le parti con le quali ci relazioniamo.
Alcuni hanno parlato, con ragione, di magistrati tuttofare e di magistrati fannulloni;
molti esempi sono stati fatti, da quello del nonnismo degli anziani
verso i nuovi arrivati sino a chi non va, per abitudine, in ufficio,
"tanto si lavora a casa".
Come
abbiamo scritto nel documento che accompagnerà la sessione congressuale
dedicata al tema, vogliamo affermare che oggi, assai più che in
passato, la dimensione della organizzazione degli uffici giudiziari condiziona il contenuto giurisdizionale della nostra attività;
ciascuno di noi sa bene che gli uffici che lavorano meno sono spesso
anche quelli che lavorano peggio. Siamo sempre più convinti che la
necessità di soddisfare una domanda di giustizia senza precedenti per
qualità e quantità deve far emergere i tratti di un nuovo profilo di
magistrato dalla cui maggiore sensibilità all'efficacia reale della
funzione giurisdizionale dipende l'apertura di una nuova fase di
espansione della tutela dei diritti secondo il progetto disegnato dalla
Costituzione. La nostra è una amministrazione fatta, come altre, di
luci ed ombre, ma se vogliamo continuare a difendere la nostra
indipendenza e la nostra autonomia dobbiamo affrontare il degrado di molti uffici -e le serie difficoltà quotidiane di tutta la giustizia - con spirito diverso da quello sin qui per lo più seguito.
Nessuno
potrà tirarsi fuori dicendo semplicemente che la colpa è del Capo, del
Consiglio, degli avvocati o di chicchessia. Nessuno dovrà sentirsi
indifferente alla esigenza di un progetto organizzativo minimo per ogni
ufficio, perchè esempi positivi di buon funzionamento della giustizia
vi sono, così come sono a disposizione esperienze condivise con
avvocati e personale (prima fra tutte quella degli Osservatori) dalle
quali trarre pratiche virtuose capaci di stanare coloro che vogliono
mantenere uno status quo indifendibile.
Dovremo
perciò osare di più, nei nostri uffici, nei rapporti coi nostri capi e
con i semidirettivi, coi Consigli giudiziari e col Consiglio superiore:
nessuno potrà rifugiarsi nella semplice rivendicazione di un ruolo
indipendente che, se non produce risultati, non serve a nessuno ed è
destinato inevitabilmente a declinare.
E'
stato esattamente sottolineato che non è più possibile avere processi
con tempi interminabili, a volte trattati in modo sciatto e trascurato,
in un sistema gestito in modo totalmente autoreferenziale, burocratico
e corporativo, mediamente governato con regole arcaiche da magistrati
privi delle pur minime nozioni di carattere organizzativo, insensibili
all'esigenza di graduare gli obbiettivi del servizio secondo un uso
razionale delle risorse. Il quieto vivere della corporazione
non è più compatibile col dovere di offrire risposte adeguate e
qualitativamente decenti alla domanda sociale di giustizia. Così
dovremo essere più esigenti con l'autogoverno, che per essere credibile
non dovrà esprimere logiche di mera protezione, di singoli o di gruppi,
ma esprimere la tensione verso una responsabilità diffusa, attenta sia
al dato organizzativo che ai bisogni di garanzia vecchi e nuovi
espressi dalla società.
Nel dibattito si sono espresse molte voci che hanno manifestato preoccupazione per una possibile deriva burocratica
di una magistratura stretta tra condizioni insostenibili di lavoro e
una difesa insensata di quelli che ormai sono indicati come privilegi personali o di categoria, impotente a fronteggiare il degrado che sta subendo la qualità della giurisdizione.
In
particolare si va diffondendo, e credo che vada incoraggiata, una
revisione autocritica verso valutazioni di professionalità che
conducono al 99.% di idonei (se non di eccezionali), verso un
ingiustificato ricorso al "fuori ruolo", spesso con connessi privilegi
di rientro, verso una anzianità che non deve essere intesa come
garanzia di occupare posti direttivi e semidirettivi per i quali non si
è mostrata alcuna precedente attitudine.
Il
Consiglio sembra spesso inadeguato ad assolvere in modo sufficiente
alcuni tra i suoi compiti più delicati, risultando a volte premiato
(come è stato efficacemente scritto nel documento della Sezione romana)
"un modello di magistrato furbo, attento al proprio tornaconto, abile a
governare le proprie statistiche e le proprie frequentazioni
associative assai più che ad offrire un contributo efficace e
disinteressato al servizio".
Su
questi punti occorrerà un aperto confronto anche nella sede
associativa, che non può più eludere i problemi dell'autogoverno
trincerandosi dietro alla doverosa autonomia dell'istituzione.
Ai
magistrati più giovani, che giustamente lamentano condizioni spesso
impossibili di lavoro, dobbiamo dare una prospettiva organizzativa
possibile, senza percorrere le strade minimaliste e perdenti di una
mera tutela sindacale, che pure è necessaria, ma neppure trattando i
loro problemi, compreso quello di una retribuzione di ingresso divenuta
negli anni insufficiente, con una alzata di spalle. La recente
esperienza della prima assemblea associativa convocata dal basso deve
essere di sprone per sciogliere tatticismi e equilibri interni, perché
siamo tutti su una stessa barca che ormai rischia di affondare. Da qui,
da questo Congresso, dovremo ripartire, superando qualche difficoltà
interna e come sempre capaci di rimetterci continuamente in
discussione.
Lasciatemi
concludere questa esperienza di segretario del Gruppo nel quale ho
svolto tutta la mia esperienza associativa e professionale con un
ricordo. Quattro anni or sono si affacciò per pochi minuti in questa
stessa sala un'amica che ora non c'è più, Teresa Massa. Stava già molto
male ma non volle mancare a quello che sarebbe stato il suo ultimo
Congresso di Md. Teresa era colta e preparata, attenta a quelli che
chiamiamo i nuovi diritti della persona e ai temi della giustizia
civile e della sua organizzazione. Mi piace pensare che sia ancora qui,
in mezzo a noi.
Ignazio Juan Patrone