Livio Pepino nel volume "L'eresia di Magistratura Democratica. Viaggio negli scritti di Pino Borrè", ( a cura di L.Pepino), Quaderni di ‘Questione Giustizia', Milano, Franco Angeli, 2001, p.261 in nota, ha ripercorso così la vicenda della nascita di Questione Giustizia
"Credo che Md sia attesa da una grossa funzione di intellettuale collettivo da svolgere in questo difficile momento nel quale - vorrei dire - la bugia è la regola, dove l'approssimazione è il modo normale di vita, dove l'apparire conta più dell'essere, dove il tatticismo politico si coniuga - credo - con la non simulata ma reale ignoranza e dove si parla di un'assemblea costituente come se fosse ordinaria amministrazione, oppure di importazione di sistemi costituzionali stranieri come se si trattasse di importazione di grano alla rinfusa o di pelli secche". ( Intervento all'XI congresso di Magistratura democratica (Napoli, 29 febbraio - 3 marzo 1996). Da Aa.vv., Compiti della politica. Doveri della giurisdizione, quaderno di Questione giustizia, Angeli, Milano, 1998, p. 332.)
Borrè sintetizza così, nel congresso di Napoli, la sua (sconsolata) analisi della situazione politica in un intervento che non ebbe modo di rivedere (ma che, trascritto dalla registrazione, è stato pubblicato nel n. 2/1997 di Questione giustizia e, poi, negli atti congressuali). C'è, nell'intervento e collegato con quelle preoccupazioni, un richiamo al ruolo di Questione giustizia, la rivista promossa da Md, che Borrè fondò e diresse fino alla morte e che considerò sempre - ma soprattutto negli ultimi anni - il cuore del suo impegno politico-culturale. Questione giustizia iniziò le pubblicazioni nel 1981, raccogliendo l'eredità di Qualegiustizia, che aveva chiuso i battenti a fine 1979. Dopo la fine della precedente esperienza fu laborioso dar vita ad una nuova rivista. Preparativi e discussioni si prolungarono per quasi due anni: ricordo il primo progetto, messo a punto nell'aprile del 1980 in una riunione con Salvatore Senese (allora segretario di Md) nella casa torinese di Salvatore Di Palma; poi la scelta del nome, in cui fu accolta la proposta di Amos Pignatelli (che prevalse, infine, su quella di Giangiulio Ambrosini, Diritto e rovescio, più arguta ma, come disse qualcuno, fonte di confusione con una rivista di tennis o di maglia...); e ancora la ricerca dell'editore, sbloccata dopo un ultimo colloquio con Franco Angeli (presenti Borrè, Edmondo Bruti Liberati ed io) ed un acceso consiglio nazionale. Come era inevitabile, ci furono, in quella fase, divergenze anche rilevanti. Ma un punto fu subito pacifico per tutti: il direttore di Questione giustizia non poteva che essere Borrè. Lui, inizialmente, si schermì, com'era nel suo carattere (e non certo per farsi pregare...). Poi, accettato l'incarico, scolpì immediatamente (nell'editoriale del primo fascicolo) senso e caratteristiche della nuova esperienza: "La nuova rivista nasce nella stagione del riflusso; ha di fronte a sé un'inversione di tendenza legislativa propiziata dal terrorismo e dalla crisi economica; e soprattutto deve far i conti con emergenti prospettive di riforma istituzionale, la cui novità ed ambiguità richiede un aggiornamento delle strategie di risposta. Il compito della nuova rivista è dunque più complesso e di ciò si è voluto dare un segnale anche attraverso il nome che le è stato attribuito: meno vivace, meno argutamente provocatorio di Quale giustizia, esso vuol rappresentare un livello di accresciuta problematicità ed esprimere l'idea di una ‘questione aperta', che deve essere anzitutto, chiaramente decifrata nella complessità e nella novità dei suoi termini".