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Ministero della Giustizia

Ministero del lavoro e della previdenza sociale

 

COMMISSIONE PER LO STUDIO E LA REVISIONE DELLA NORMATIVA PROCESSUALE DEL LAVORO

(D.M. 28.11.2006)

Presidente Raffaele Foglia

 

 

 

 

 

ARTICOLATO  DEFINITIVO  

(Approvato in sede plenaria l' 8.5.2007)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma,  21  maggio 2007

I.   CONTROVERSIE SU  LICENZIAMENTI E TRASFERIMENTI

 

Art. 1

1.         Ferma restando la possibilità di agire nelle forme di cui all'art. 414 e seguenti  codice di procedura civile, nei rapporti di lavoro soggetti alla disciplina prevista dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n.300, la disciplina di cui alla presente legge si applica alle controversie aventi ad oggetto:

a)         l'impugnativa di licenziamenti, individuali e collettivi, anche qualora presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro;

b)         la legittimità del termine apposto al contratto;

c)         l'impugnativa di trasferimenti di cui all'articolo 2103 codice civile.

d)         l'impugnativa di trasferimenti di cui all'art. 2112 codice civile.

 

Art. 2

1.         La domanda si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro.

2.         Il giudice, convocate le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede, nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili ai fini del provvedimento richiesto e provvede, con ordinanza, all'accoglimento o al rigetto della domanda.

3.         Il giudice, ove rilevi che la causa deve essere trattata secondo le forme ordinarie, dispone, con ordinanza, il mutamento di rito per la prosecuzione del processo ai sensi degli articoli 414 e seguenti codice di procedura civile.

4.         Nelle controversie in materia di licenziamento l'onere della prova relativa al numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro grava su quest'ultimo. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604

Art. 3

1.         L'ordinanza di cui al comma 2 dell'articolo 2 è reclamabile innanzi al collegio del quale non può far parte  il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato. Il reclamo va proposto entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. La mancata proposizione del reclamo [rende immutabile l'ordinanza] [opp. attribuisce all'ordinanza l'efficacia di sentenza passata in giudicato]

2.         Al giudizio di reclamo si applica il comma 2 dell'articolo 2. L'ordinanza è opponibile, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore, innanzi alla Corte di appello  nelle forme di cui agli articoli 414 e seguenti del codice di procedura civile. La mancata proposizione dell'opposizione attribuisce all'ordinanza efficacia di sentenza passata in giudicato.

3. Il collegio di tribunale in sede di reclamo e la Corte di appello in sede di opposizione, su istanza di parte, possono sospendere l'ordinanza ove sussistano fondati motivi e dal provvedimento possa derivare alla parte gravissimo danno.

 

Art. 4

1.         Il giudice, con l'ordinanza o la sentenza di condanna alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, determina la somma dovuta dal datore di lavoro per l'eventuale ritardo nell'esecuzione del provvedimento, entro il limite massimo di quattro retribuzioni globali di fatto giornaliere ed il limite minimo di due retribuzioni globali di fatto giornaliere per ogni giorno di ritardo, tenuto conto delle dimensioni dell'organizzazione produttiva. Dette somme sono dovute decorsi dieci giorni dalla messa a disposizione delle energie lavorative.

2.         Il lavoratore può chiedere, con ricorso al giudice che ha ordinato la reintegrazione, la liquidazione della somma dovuta. L'onere della prova dell'effettiva reintegrazione grava sul datore di lavoro. Il giudice provvede nelle forme di cui al primo comma dell'articolo 669-sexies codice di procedura civile e decide con ordinanza con la quale liquida le spese del procedimento; il provvedimento è immediatamente esecutivo e contro lo stesso è ammesso reclamo a norma dell'articolo 669-terdecies codice di procedura civile.

3.         In  caso di riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del licenziamento, il lavoratore, ancorché non reintegrato, ha diritto a trattenere, o percepire se non ancora corrisposte, solo le somme corrispondenti alla retribuzione per il periodo intercorso tra il provvedimento di condanna alla reintegrazione e il provvedimento di riforma.

4.         In caso di riforma del provvedimento dichiarativo dell'illegittimità del trasferimento, il lavoratore è tenuto a restituire le somme già percepite ai sensi dei commi 1 e 2.

 

Art. 5

1. All'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n.  300, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) al primo comma dopo le parole: «il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;

        b) al quarto comma dopo le parole: «Il giudice con» sono inserite le seguenti: «l'ordinanza o»;

        c) al quinto comma dopo la parola: «deposito» sono inserite le seguenti: «dell'ordinanza o».

 

Art. 6

1. Alle controversie instaurate ai sensi dell'articolo 1 non si applicano le disposizioni di cui agli articoli dal 410 al 412-bis del codice di procedura civile.

    2. L'articolo 5 della legge 11 maggio 1990, n.  108, è abrogato.

 

Art. 7

1.         L'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 è sostituito dal seguente: "Il licenziamento dev'essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuali con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro

2.         Il termine di cui al comma 1 decorre da ogni altro atto o fatto che manifesti l'inequivoca intenzione del datore di lavoro di porre fine al rapporto di lavoro".

3. Le dimissioni del lavoratore sono rassegnate per atto scritto comunicato con lettera raccomandata o avente data certa. Eventuali dimissioni in forma orale non possono essere fatte valere dal datore di lavoro quali causa di estinzione del rapporto di lavoro, qualora egli non abbia provveduto a richiedere, entro il termine di due giorni dalle stesse e con atto scritto di data certa, conferma delle dimissioni del lavoratore.

 

Art. 8

1. Le controversie, sommarie o ordinarie, relative alle materie di cui all'articolo 1 devono essere trattate dal giudice con priorità con la sola eccezione dei procedimenti cautelari e di quelli previsti dall'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n.  300, e successive modificazioni.

2. La tempestiva trattazione e conclusione delle controversie relative a provvedimenti di cui all'articolo 1 è assicurata dai responsabili degli uffici anche con apposite misure organizzative.

 

Art. 9

1. L'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n.  108, è sostituito dal seguente:

    «Art. 3. - (Licenziamento discriminatorio). - 1. Si considera discriminatorio il licenziamento determinato dalle ragioni di cui alle seguenti disposizioni:

        a) articolo 4 della legge 15 luglio 1966, n.  604;

        b) articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n.  300, e successive modificazioni;

        c) articolo 54 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n.  151, e successive modificazioni.

    2. Il licenziamento discriminatorio è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n.  300, e successive modificazioni. Si applica l'articolo 15 bis della legge 20 maggio 1970, n.300.

    3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai dirigenti».

 

II. PROCESSO PREVIDENZIALE

 

A)        Prima soluzione: proposta soft

Art. 1

Norma di delega

1.- Il Governo è delegato ad emanare entro ... una o più norme di razionalizzazione della disciplina delle procedure contenziose amministrative in materia previdenziale in forma compatibile con il disposto dell'articolo 147 disposizioni di  attuazione del codice di procedura civile e sulla base dei seguenti principi:

a) armonizzazione e unificazione di tutte le procedure esistenti,  e loro articolazione in unico grado;

b) uniformazione dei termini;

c) potenziamento qualitativo dell'istruttoria dei ricorsi amministrativi;

d) presenza negli organi decidenti di rappresentanti delle parti interessate;

e) costituzione di organi collegiali composti in maniera da assicurare specifiche competenze professionali medico-legali e obiettività di giudizio;

f) garanzia del contraddittorio e assistenza tecnico-legale.

 

Art. 2

1.- All'articolo 414 del codice di procedura civile, dopo il numero 5 è aggiunto il seguente numero:

"6) nel caso in cui ai fini della decisione della controversia siano richiesti accertamenti medico legali, l'indicazione specifica dei quesiti da sottoporre al c.t.u."

 

Art. 3

1. Dopo l'art.415 del codice di procedura civile è aggiunto il seguente:

"415-bis ( Decreto di fissazione dell'udienza nelle controversie di previdenza e assistenza obbligatorie). Nelle controversie di cui all'art. 442, la cui risoluzione richieda accertamenti medico-legali, il giudice, con il decreto di cui all'art.415, secondo comma, nomina il consulente tecnico d'ufficio, invitandolo a prestare giuramento all'udienza di discussione ivi indicata, e fissa i termini per lo svolgimento delle operazioni peritali e per l'espletamento del tentativo di conciliazione."

 

Art. 4

1. All'art. 442, primo comma, del codice di procedura civile,  dopo le parole: "di questo titolo", sono aggiunte le seguenti parole: "salvo che non sia diversamente disposto".

 

Art. 5

1. All'articolo 444 del codice di procedura civile,  è aggiunto il seguente comma:

" Giudice competente per il giudizio di opposizione contro il ruolo, ai sensi dell'articolo 25, del decreto legislativo n. 46 del 1999, è il Tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente previdenziale che ha proceduto all'iscrizione al ruolo, anche se tale sede non coincide con il domicilio fiscale del soggetto obbligato".

 

Art. 6

1. All'art.445 del codice di procedura civile, dopo il primo comma sono aggiunti i seguenti:

1-bis. Il consulente tecnico, esperite le operazioni peritali, comunica la propria relazione ai difensori delle parti e, entro 15 giorni da detta comunicazione, esperisce il tentativo di conciliazione della lite e  redige apposito verbale, che comunica alla Cancelleria del Tribunale e alle parti.

1.- ter. Nel caso di nomina di più consulenti, il giudice indica il consulente al quale affidare il tentativo di conciliazione.

 

Art.7

1. L'articolo 149 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è così modificato:

"1.- Nelle controversie di cui all'articolo 442 del codice il giudice deve valutare anche l'aggravamento della malattia, nonché tutte le infermità comunque incidenti sullo stato delle condizioni psicofisiche dell'assicurato, o del suo dante causa, che si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che del giudizio di primo grado ed ivi ritualmente dedotte".

 

Art.8

1. Dopo l'articolo 149 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è aggiunto il seguente:

"Art. 149-bis. In tutti i giudizi e procedimenti regolati dagli articoli 442 e seguenti del codice  nei quali siano parte, anche non costituita, Enti o Istituti gestori forme di Previdenza ed Assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale, all'atto della pubblicazione di ogni sentenza od a seguito della pronuncia di ogni ordinanza, deve essere depositata - a cura del cancelliere o segretario dirigente della cancelleria o segreteria dell'organo giurisdizionale presso cui la sentenza è pubblicata o l'ordinanza è depositata - una copia autenticata in carta libera a disposizione dei predetti Enti o Istituti".

 

Art.9

(Decadenza in materia di invalidità civile)

1. Alle controversie in materia di invalidità civile si applica la decadenza di cui all'art. 47 decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970 n. 639, come modificato dall'art. 4, n. 1 decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384.

2. All'art. 42, comma 3, decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326, il secondo periodo è soppresso.

 

Art.10

1. Le funzioni già di competenza del Ministero dell'Economia e delle Finanze e delle Direzioni Provinciali Sanitarie in materia di invalidità civile sono trasferite all'INPS.

2. Nei giudizi di invalidità civile in cui è già parte, l'INPS subentra nella posizione processuale del Ministero, in deroga all'art.111 c.p.c.

 

 

B) Seconda soluzione, proposta  "forte" 

 

Art. 1

Norma di delega

1.- Al fine di ridurre il contenzioso in materia di previdenza  e di assistenza obbligatorie, il Governo è delegato ad emanare entro ... una o più norme di razionalizzazione della disciplina delle procedure amministrative previste dal primo comma dell'art. 443 c.p.c.,  sulla base dei seguenti principi:

 

a) armonizzazione e unificazione di tutte le procedure esistenti,  e loro articolazione in unico grado;

b) uniformazione dei termini;

c) immodificabilità, nella fase giurisdizionale, delle posizioni assunte dalle parti nella fase contenziosa

d) potenziamento qualitativo dell'istruttoria dei ricorsi amministrativi;

e) presenza negli organi decidenti di rappresentanti delle parti interessate;

f) istituzione di sedi contenziose esterne rispetto agli enti previdenziali parti della controversia

g) costituzione di organi collegiali composti in maniera da assicurare specifiche competenze professionali medico-legali e obiettività di giudizio;

h) garanzia del contraddittorio e assistenza tecnico-legale;

i) previsione di un termine massimo dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo entro il quale quest'ultimo dev'essere  deciso, o, in ogni caso, concluso previa compiuta verbalizzazione delle posizioni assunte dalle parti nel corso del procedimento, nonché delle eventuali acquisizioni istruttorie;

l) impugnabilità delle decisioni assunte in esito al procedimento contenzioso amministrativo concernenti unicamente i requisiti medico-legali,  davanti al Tribunale, in unico grado di merito;

m) impugnabilità delle decisioni assunte in sede contenziosa amministrativa entro 180 gg. dalla notifica delle medesime;

 

Art. 2

1. Dopo l'art.415 del codice di procedura civile è aggiunto il seguente:

"415-bis ( Decreto di fissazione dell'udienza nelle controversie di previdenza e assistenza obbligatorie). Nelle controversie di cui all'art. 442, la cui risoluzione richieda accertamenti medico-legali, il giudice, con il decreto di cui all'art.415, secondo comma,  ove non ritenga di condividere le conclusioni peritali già acquisite in sede contenziosa amministrativa,  nomina il consulente tecnico d'ufficio, invitandolo a prestare giuramento all'udienza di discussione ivi indicata, e fissa i termini per lo svolgimento delle operazioni peritali e per l'espletamento del tentativo di conciliazione."

 

Art.3

1. All'art. 442, primo comma, del codice di procedura civile,  dopo le parole: "di questo titolo", sono aggiunte le seguenti parole: "salvo che non sia diversamente disposto".

 

Art.4

1. In attesa dell'approvazione delle norme delegate secondo la previsione dell'art. 1, dopo l'articolo 443 del codice di procedura civile,  è inserito il seguente:

Art. 443-bis.

(Accertamenti sanitari connessi a controversie di previdenza e assistenza obbligatorie).

            Nei casi in cui l'assicurato o l'assistito abbia presentato ricorso contro un provvedimento relativo a prestazioni previdenziali o assistenziali, che comportino l'accertamento dello stato di condizioni psicofisiche, l'amministrazione competente, ove non ritenga di accogliere il ricorso, sottopone l'accertamento ad un collegio medico, composto da un sanitario designato dall'amministrazione competente, da un sanitario nominato dal ricorrente o dall'istituto di patronato che lo assiste, e da un terzo sanitario nominato dal responsabile della competente direzione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale tra i medici specialisti in medicina legale, o in medicina del lavoro di cui all'articolo 146 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie ovvero tra i sanitari appartenenti ai ruoli di un ente previdenziale diverso da quello che è parte della controversia.

    Espletati gli accertamenti medico-legali, il collegio di cui al primo comma, coerentemente alle risultanze degli accertamenti, tenta la conciliazione della controversia. In caso di esito positivo, è redatto un verbale che, sottoscritto dalle parti, è vincolante per le medesime. In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, il presidente del suddetto collegio redige una dettagliata relazione medico-legale nella quale dà atto degli accertamenti effettuati e delle conclusioni conseguite nonché dei motivi del dissenso. 

            In quest'ultimo caso si applica l'art. 443ter.

    Il compenso dei componenti il collegio di cui al primo comma, a carico dell'amministrazione competente per l'erogazione della prestazione, è determinato in conformità di convenzioni stipulate con la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

 

Art. 443ter

(Controversie giudiziali che richiedono accertamenti medico-legali)

 

            Nel procedimento relativo a controversia di cui all'art. 442 c.p.c., la cui soluzione richieda l'accertamento delle condizioni psico-fisiche, il ricorso deve contenere, oltre all'indicazione della generalità delle parti e del diritto che si intende far valere, anche l'indicazione specifica dei quesiti da sottoporre al consulente medico-legale e dei documenti sanitari che si offrono in comunicazione.

            Il Giudice, entro 5 giorni dal deposito del ricorso, nomina, con  decreto, il consulente medico legale, fissa l'udienza per il giuramento, nonché i termini entro i quali le operazioni peritali devono svolgersi, e dispone che, a cura della Cancelleria, l'istanza e il suddetto decreto vengano notificati al convenuto e al consulente tecnico nominato.

            Al procedimento si applicano, in quanto compatibili, gli articoli da 191 a 195 c.p.c.

            Il Consulente tecnico, esperite le operazioni peritali, comunica la propria relazione ai difensori delle parti e, entro 15 giorni da detta comunicazione, esperisce tentativo di conciliazione della lite, del quale redige apposito verbale, che comunica alla Cancelleria del Tribunale e alle parti.

 

Art. 5

(Competenza del giudice nel giudizio di opposizione al ruolo)

All'articolo 444 del codice di procedura civile,  è aggiunto il seguente comma:

" Giudice competente per il giudizio di opposizione contro il ruolo, ai sensi dell'articolo 25, del decreto legislativo n. 46 del 1999, è il Tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente previdenziale che ha proceduto all'iscrizione al ruolo, anche se tale sede non coincide con il domicilio fiscale del soggetto obbligato".

 

Art. 6

(tentativo di conciliazione esperito dal ctu)

1. All'art.445 del codice di procedura civile, dopo il primo comma sono aggiunti i seguenti:

            1bis Il consulente tecnico, esperite le operazioni peritali, comunica la propria relazione ai difensori delle parti e, entro 15 giorni da detta comunicazione, esperisce il tentativo di conciliazione della lite e  redige apposito verbale, che comunica alla Cancelleria del Tribunale e alle parti.

            1ter. Nel caso di nomina di più consulenti, il giudice indica il consulente al quale affidare il tentativo di conciliazione.

 

Art.7

(modifica dell'art. 149 disp.att.)

1. L'articolo 149 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è così modificato:

"1.- Nelle controversie di cui all'articolo 442 del codice il giudice deve valutare anche l'aggravamento della malattia, nonché tutte le infermità comunque incidenti sullo stato delle condizioni psicofisiche dell'assicurato comprese quelle denunciate nel corso del procedimento amministrativo che del giudizio di primo grado ed ivi ritualmente dedotte".

 

Art.8

(Art. 149 bis disp.att.)

1. Dopo l'articolo 149 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile è aggiunto il seguente:

"Art. 149-bis. In tutti i giudizi e procedimenti regolati dagli articoli 442 e seguenti del codice  nei quali siano parte, anche non costituita, Enti o Istituti gestori forme di Previdenza ed Assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale, all'atto della pubblicazione di ogni sentenza od a seguito della pronuncia di ogni ordinanza, deve essere depositata - a cura del cancelliere o segretario dirigente della cancelleria o segreteria dell'organo giurisdizionale presso cui la sentenza è pubblicata o l'ordinanza è depositata - una copia autenticata in carta libera a disposizione dei predetti Enti o Istituti".

 

Art.9

(Decadenza in materia di invalidità civile)

1. Alle controversie in materia di invalidità civile si applica la decadenza di cui all'art. 47 decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970 n. 639, come modificato dall'art. 4, n. 1 decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384.

2. All'art. 42, comma 3, decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326, il secondo periodo è soppresso.

 

Art.10

1. Le funzioni già di competenza del Ministero dell'Economia e delle Finanze e delle Direzioni Provinciali Sanitarie in materia di invalidità civile sono trasferite all'INPS.

2. Nei giudizi di invalidità civile in cui è già parte, l'INPS subentra nella posizione processuale del Ministero, in deroga all'art.111 del codice di procedura civile.

 

Art.11

(Modifica dell'art. 147 disp.att)

            L'art.147 disp.att. c.p.c. è sostituito dal seguente:

            "Nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie le conciliazioni sottoscritte dalle parti in sede amministrativa con l'assistenza del patronato o davanti al giudice non sono impugnabili"

 

Art. 12

(Controversie di serie)

Dopo l'art. 443ter del codice di procedura civile è inserito il seguente:

Art. 443-quater

In caso di controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie riguardanti, anche potenzialmente, un numero consistente di soggetti ed avente ad oggetto questioni analoghe, le amministrazioni interessate sono tenute ad informare i Ministeri competenti e a promuovere incontri anche con gli istituti di patronato che hanno fornito assistenza nelle medesime controversie, al fine di chiarire gli aspetti delle questioni in discussione ed individuare, per quanto possibile, ipotesi di soluzione.

    In attesa dell'esito dei suddetti incontri, il giudice, su concorde istanza di parte, può rinviare la trattazione della causa.

            Resta salva l'applicazione dell'art. 420bis c.p.c.

 

 

III. ARBITRATO E CONCILIAZIONE

 

Art. 1

L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:                

"Art. 410

(Tentativo obbligatorio di conciliazione)

1. La decisione delle controversie relative ai rapporti di cui all'articolo 409, è preceduta dall'esperimento del tentativo di conciliazione nei termini e con le modalità previsti dal presente articolo.

2. Il comma 1 non si applica:

a) alle controversie previdenziali  aventi ad oggetto accertamenti sanitari;

b)alle controversie per le quali sono stabiliti dalla legge procedimenti sommari o da esperirsi in via d'urgenza.

3. Il giudice, ricevuto il ricorso, fissa la comparizione delle parti per condurre personalmente il tentativo di conciliazione entro il termine di 60 giorni dalla data del deposito del ricorso.

4. Quando non può provvedere ai sensi del comma 3, il giudice con proprio decreto designa un conciliatore, scelto tra quelli compresi nell'apposito albo, con il compito di esperire, entro il termine fissato dal decreto stesso, comunque non superiore a 90 giorni,il tentativo di conciliazione.

5. Il decreto, emanato entro 15 giorni dalla data di deposito del ricorso, fissa il giorno, la data ed il luogo stabiliti per la comparizione delle parti e contiene l'avvertimento al  convenuto che in caso di mancata comparizione potranno essere emessi, a suo carico,  i provvedimenti previsti dall'articolo 412 comma 2.  Il decreto ed il ricorso sono notificati al convenuto, a cura dell'attore, entro 10 giorni dalla pronuncia, salvo quanto disposto dall'articolo 417.

6. Il convenuto deve costituirsi almeno 10 giorni prima della data fissata per il tentativo di conciliazione, dichiarando la residenza  o  eleggendo domicilio nel comune presso cui ha sede il giudice adito, e depositando in cancelleria una memoria difensiva, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 416.

7. Quando il giudice non fissa l'udienza per il tentativo di conciliazione presso di sé, l'intero fascicolo è trasmesso al conciliatore subito dopo la scadenza del termine per il deposito della memoria difensiva. ll fascicolo è trasmesso anche in caso di mancato deposito della memoria. Il convenuto che si costituisce successivamente può comparire dinanzi al conciliatore, ferme le decadenze verificatesi.    

8. Il convenuto, se propone domanda in via riconvenzionale, a norma dell'articolo 416 comma secondo, deve con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, chiedere espressamente al giudice lo spostamento della data fissata per esperire il tentativo di conciliazione.

9. Il decreto che sposta la data di comparizione, emesso nei successivi 5 giorni, è notificato unitamente alla memoria difensiva, a cura del convenuto, all'attore, entro 10 giorni dalla data in cui è stato pronunciato.

10. Il tentativo di conciliazione di cui ai commi 3 e 4, non deve essere  esperito quando  il ricorrente dimostri di aver effettuato, prima del giudizio, un tentativo di conciliazione nel rispetto delle modalità di cui all'articolo 412 quater, commi 3,4 e 5.".

 

Art. 2

L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:                

"Art. 411

(Processo verbale di conciliazione)

1. Il tentativo di conciliazione si svolge in un'unica seduta,che può essere rinviata una sola volta  entro un termine non superiore a 30 giorni dalla data iniziale.

2. Il giudice o il conciliatore svolgono un ruolo attivo al fine di pervenire alla conciliazione, formulando eventuali proposte di soluzione.

3. Se la conciliazione riesce si forma processo verbale che è sottoscritto dal giudice o dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. L'autografia della sottoscrizione, o la  impossibilità delle parti a sottoscrivere, è certificata dal giudice o dal conciliatore.

4. Se la conciliazione è raggiunta davanti al conciliatore, questi trasmette il relativo verbale entro 5 giorni alla cancelleria del giudice.

5. Il giudice, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.".

 

Art.3

L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

"Art. 412

(Verbale di mancata conciliazione)

1. Se entrambe le parti, o la parte che ha presentato il ricorso, o proposto domanda riconvenzionale, non compaiono personalmente, o tramite procuratore speciale, al tentativo di conciliazione il giudice, o il conciliatore, ne da atto nel processo verbale ed il giudice dichiara estinto il processo, direttamente o dopo aver ricevuto gli atti dal conciliatore, salvo giustificato motivo . In tal caso il giudice, o il conciliatore,  fissa una nuova data per la comparizione entro un termine non superiore a    30 giorni

2. In caso di mancata comparizione del convenuto, sia o non costituito, o dell'attore, convenuto in via riconvenzionale, davanti al conciliatore o al giudice quest'ultimo può, su istanza di parte, con accertamento allo stato degli atti, emettere un'ordinanza, provvisoriamente esecutiva, di pagamento totale o parziale delle somme richieste; il giudice può anche emettere  ulteriori provvedimenti anticipatori della decisione di merito.

3. Se la conciliazione non riesce il giudice o il conciliatore redigono un verbale di mancata conciliazione. In esso le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso, per la parte su cui si è raggiunta la conciliazione, il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo secondo quanto stabilito dell'articolo 411, comma 5.

4. Nello stesso verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quanto ritenga utile portare alla conoscenza del giudice per il prosieguo del procedimento.

5. Il conciliatore, salva l'ipotesi di cui al successivo articolo 412 bis, trasmette entro 5 giorni il verbale al giudice, il quale fissa con decreto l'udienza davanti a sé entro 15 giorni attribuendo in via provvisoria ad una della parti o ad entrambe l'onere del pagamento dell'indennità dovuta al conciliatore a norma dell'articolo 146 ter del regio decreto 18 dicembre 1941, n.1368. 

5 bis Il conciliatore provvede ai sensi del comma 5 anche nel caso in cui le parti gli abbiano affidato il mandato di risolvere solo una parte della controversia.   

6. Il decreto è depositato nella cancelleria del giudice ed è  notificato a cura dell'attore al convenuto non costituito, senza pregiudizio degli effetti processuali già verificatisi.

7. Ove il tentativo di conciliazione non abbia esito positivo, il giudice può tenerne conto ai fini della distribuzione delle spese di lite, anche ponendole, in tutto o in parte, a carico della parte formalmente vittoriosa che ha rifiutato ragionevoli proposte conciliative.

 

Art.4

L'articolo 412 bis del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

"Art. 412 bis

(Arbitrato facoltativo).

1. In qualunque fase del tentativo di conciliazione, le parti possono affidare allo stesso conciliatore il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia, in tutto o in parte

2. Il compromesso deve risultare da atto scritto contenente, a pena di nullità, il termine,per l'emanazione del lodo, prorogabile  per non più di una volta in misura non superiore a quella originariamente prevista, nonché i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti all'arbitro. L'arbitro decide sulla controversia nel rispetto delle norme inderogabili di legge e del contratto collettivo, sulla base dei documenti in suo possesso e acquisendo, ove necessario, altri mezzi istruttori. Si applica la disposizione dell'articolo 429, comma terzo.

3. Il lodo acquista efficacia esecutiva con il deposito presso la cancelleria del giudice.".

 

 

Art.5

L'articolo 412 ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

"412 ter

(Impugnazione del lodo arbitrale)

1. Il lodo arbitrale può essere impugnato, per qualsiasi vizio, ivi compresa la violazione e la falsa applicazione di legge dei contratti e accordi collettivi davanti alla Corte d'appello in funzione di giudice del lavoro nel cui distretto è la sede dell'arbitrato, entro 30 giorni dalla sua notificazione, ovvero entro sei mesi dal suo deposito presso la cancelleria del giudice, ai sensi dell'articolo 412 bis, comma 3.

2 L'impugnazione non sospende l'esecutività del lodo.".

 

Art.6

L'articolo 412 quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

"412 quater

(Altre modalità di conciliazione)

1. Il tentativo di conciliazione nelle controversie di cui all'articolo 409, può essere altresì  svolto presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, nonché presso le direzioni provinciali del lavoro.

2. Gli accordi  raggiunti in tali sedi, sottoscritti dalle parti interessate e dal conciliatore, acquistano efficacia di titolo esecutivo, ove depositati presso la cancelleria del Tribunale competente. Si applica l'articolo 411 comma 5.

3. Il tentativo di conciliazione effettuato ai sensi del comma 1, ove non si pervenga ad una conciliazione, tiene luogo del tentativo di cui all'articolo 410 e determina la procedibilità dell'azione giudiziaria se: è stato esperito da un conciliatore iscritto all'albo di cui all'articolo 146 ter regio decreto 18 dicembre 1941, n.1368, su richiesta congiunta delle parti, ed è stato effettuato sulla base di memorie scritte dell'attore e del convenuto che illustrano le ragioni di fatto e di diritto della pretesa e della resistenza.

4. Il verbale del tentativo di conciliazione è redatto e sottoscritto dal conciliatore, dalle parti e, ove presenti, dai loro difensori. In tale verbale il conciliatore espone gli estremi del tentativo, le eventuali proposte indirizzate alle parti per pervenire ad un accordo, e quanto ritenga utile portare alla conoscenza del giudice per il procedimento. Ad esso sono allegate le memorie scritte delle parti di cui al precedente comma 3.

5. Il verbale di mancata conciliazione è depositato presso la cancelleria del giudice competente unitamente al ricorso di cui all'articolo 414. Il giudice, se accerta che sono state rispettate le condizioni di cui al precedente comma 3, e che la domanda corrisponde all'oggetto per il quale è stato esperito il tentativo di conciliazione, procede direttamente a fissare l'udienza di discussione ai sensi dell'articolo 415.

6. Il verbale di conciliazione è acquisito agli atti del procedimento e produce tutti gli ulteriori effetti del tentativo di conciliazione esperito ai sensi degli articoli 410, 411, 412.

 

Art. 7

Dopo l'articolo 412 quater del codice di procedura civile è aggiunto il seguente articolo:

"Art. 412 quinquies

(Arbitrato in materia di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva)

1. Nell'ambito delle sedi di cui all'articolo 412 quater, comma 1, le parti possono deferire ad arbitri la controversia.

2. Il lodo arbitrale è dichiarato esecutivo dal giudice cui sia trasmesso a cura delle strutture interessate, nei modi e nei tempi stabiliti dall'articolo 412 bis, comma 3, se é presente la richiesta scritta con la quale le parti dichiarano di richiedere una pronuncia arbitrale, l'indicazione dell'arbitro o del collegio arbitrale al quale viene richiesto il lodo, la delimitazione dell'oggetto sul quale viene richiesto il lodo, il termine entro il quale il lodo dovrà essere pronunciato.

3. Ai lodi di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 412 ter.".

 

Art.8

Nell'articolo 415 del codice di procedura civile dopo il comma settimo sono aggiunti i seguenti:

"Per i procedimenti per i quali sia esperito il tentativo di conciliazione i termini di cui ai commi secondo, terzo,quinto e sesto decorrono dalla data di trasmissione del verbale di mancata conciliazione.

Al convenuto non costituito, il decreto di cui al comma secondo, è notificato a cura dell'attore, nel rispetto dei termini di cui ai commi quarto e quinto.".

 

Art.9

Nell'articolo 418 del codice di procedura civile dopo il comma quinto è aggiunto il seguente:

"Per i procedimenti per i quali è stato disposto il tentativo obbligatorio di conciliazione, eventuali domande in via riconvenzionale sono proposte, a pena di decadenza, ai sensi dell'articolo 410, comma 8.".

 

Art.10

All'articolo 420 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modifiche:

1.I primo comma è sostituito dal seguente:

"Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti. La mancata comparizione delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice";

2. Il comma terzo è soppresso;

3. Il comma quarto è sostituito dal seguente:

"Quando il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, (l giudice) invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo.".

 

Art.11

Nel regio decreto 18 dicembre 1941, n.1368, dopo l'articolo 146 bis è aggiunto il seguente:

"Art. 146 ter

(Albo dei conciliatori)

1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei conciliatori esperti in materie giuslavoristiche, tenuto dal Presidente del tribunale.

2. All'albo possono iscriversi professori universitari o ricercatori confermati,  di materie giuslavoristiche, avvocati e commercialisti di comprovata esperienza nel campo del diritto del lavoro, consulenti del lavoro, sindacalisti, funzionari delle Direzioni provinciali e regionali del lavoro e magistrati  a riposo .

3. La domanda d'iscrizione, con allegati i titoli che dimostrino il possesso delle necessarie competenze, deve essere presentata al Presidente del tribunale, che vaglia i titoli per l'ammissione.

4. Gli iscritti all'albo di cui al presente articolo svolgono, su nomina del giudice, la funzione di conciliatori delle controversie di lavoro, ai sensi dell'articolo 410 del codice. Essi possono essere nominati in qualità di conciliatori nelle strutture di cui all'articolo 412 quater, comma primo, del codice.

5. I giudici scelgono i conciliatori tenendo conto della loro esperienza in relazione al tipo di vertenza e con modalità tali da distribuire gli incarichi tra gli iscritti all'albo.

6. Il Presidente del tribunale vigila sul comportamento dei conciliatori, che deve essere improntato ad indipendenza ed imparzialità. Egli dispone, la cancellazione dall'albo se ravvisa che non sussistono più le condizioni per il mantenimento dell'iscrizione.

7. Per le conciliazioni effettuate ai sensi dell'articolo  410 spetta ai conciliatori un'indennità per ogni vertenza trattata, senza alcuna distinzione in relazione al valore della controversia. L'indennità è liquidata dal giudice ed è fissata in  euro cento per ogni tentativo di conciliazione esperito, indipendentemente dal suo esito. Se il tentativo si conclude con la conciliazione della controversia, l'indennità è elevata a euro centocinquanta. Se il tentativo non ha luogo per la mancata presentazione di entrambe le parti o del convenuto l'indennità è di 75. Gli importi indicati sono  aggiornati ogni cinque anni con decreto del Ministro della Giustizia. Salvo diverso accordo fra le parti l'onere delle spese di conciliazione è diviso in misura uguale tra le  parti.

8. Per le conciliazioni raggiunte ai sensi dell'articolo 412 quater del codice il compenso è stabilito dalla strutture presso cui il conciliatore venga chiamato, ferma restando, in mancanza di diverso accordo per la sua ripartizione, la divisione  dell'onere in misura  uguale tra le parti.".

 

Art.11 bis

  (Abrogazione)

1.L'articolo 56 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165  è abrogato

 

Art.12

1.         L'articolo 65 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 è così sostituito

 

[Tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali ]

(Art.69 del d.lgs n.29 del 1993, come sostituito prima dall'art.34 del d.lgs n.546 del 1993 e poi dall'art.31 del d.lgs n.80 del 1998 e successivamente modificato prima dall'art.19, commi da 3 a 6 del d.lgs n.387 del 1998 e poi dall'art.45, comma 22 della legge n.448 del 1998]

 

" 1. Per le controversie individuali di cui all'articolo 63, il tentativo obbligatorio di conciliazione si svolge a norma dell'art. 410 del codice di procedura civile".

                                                                      

Art.13

1.L'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165  è così sostituito:

(Esonero da responsabilità)

" 1. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione  non può dar luogo a responsabilità amministrativa".

Art. 14

(Norme transitorie e finali)

1.Per gli anni 2007 e 2008  gli oneri per il pagamento dell'indennità di cui all'articolo 146 ter regio decreto 18 dicembre 1941, n.1368, ai conciliatori nominati dal giudice ai sensi dell'articolo  410 codice di procedura civile sono a carico dello Stato.

2. Il Presidente del tribunale, entro 60 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, esaminate le domande, determina l'elenco degli iscritti all'Albo. L'albo è aggiornato con cadenza semestrale.

3. Fino alla scadenza del termine di cui al comma 2 il giudice può affidare il tentativo di conciliazione ad un soggetto che abbia i requisiti di cui all'art. 146 ter regio decreto 18 dicembre 1941, n.1368. 

 

IV. MISURE DI RAZIONALIZZAZIONE DEL PROCESSO DEL LAVORO IN GENERALE

IV. MISURE DI RAZIONALIZZAZIONE DEL PROCESSO DEL LAVORO IN         GENERALE

            Nell'affrontare la riforma del processo del lavoro è necessario prevedere interventi puntuali che abbiano come finalità la razionalizzazione della normativa esistente. L'eterogeneità delle materie trattate non consente di racchiudere le proposte formulate all'interno di un unico denominatore, in quanto la ratio sottesa ai diversi interventi proposti è diversa, anche se comunque rispondente a criteri di equità e di celerità dell'azione giudiziaria. Proprio tale disomogeneità di norme e di obiettivi perseguiti impone di analizzare puntualmente il testo dei singoli articoli.

 

 

Riduzione del termine di decadenza dall'impugnazione

Nell'ambito di istanze acceleratorie del processo (fatte proprie anche nel testo di riforma del processo civile di recente approvato dal Consiglio dei Ministri) si propone di ridurre a sei mesi  in termine "lungo" (oggi fissato in un anno) per proporre l'appello, il ricorso per cassazione, la riassunzione della causa e la revocazione (nei casi previsti) avverso sentenze pronunciate in materia di lavoro,  previdenza e assistenza obbligatoria.

Art.

All'articolo 327 codice di procedura civile, dopo il primo comma è aggiunto il seguente:

"Quest'ultimo termine è ridotto a sei mesi nel caso di sentenze pronunciate in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza obbligatoria".

 

All'art. 392 codice di procedura civile, il primo comma è così modificato:

"La riassunzione della causa di lavoro davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre sei mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione"

 

Accertamento pregiudiziale sulla interpretazione di leggi, regolamenti, contratti ed accordi collettivi

 

L'esperienza di questi ultimi anni dimostra che, assai spesso, il contenzioso del lavoro registra accumuli vistosi a causa di persistenti contrasti interpretativi determinati non di rado da oscurità o ambiguità di  disposizioni di legge, regolamenti, o di contratti collettivi, dalle quali deriva il fenomeno delle "cause seriali o di massa" che reclamano interventi rigorosi.

Ad un tale inconveniente non potrebbe  provvedere il rimedio della revisio per saltum, già previsto dall'art. art. 360, u.c., sia perché esso esaurisce i propri effetti all'interno di una singola controversia, sia perché, essendo affidato esclusivamente alla concorde volontà delle parti, anziché all'iniziativa del giudice, è rimasto del tutto inutilizzato nella pratica.

Sulla base delle prime esperienze applicative dell'art. 420bis - le quali hanno evidenziato difficoltà interpretative e aspetti critici, anche di livello costituzionale, nella sua formulazione attuale  -  la Commissione ha proposto le seguenti innovazioni:  a) estensione  della pregiudiziale interpretativa a disposizioni di legge, regolamenti, oltre che a clausole di contratti o accordi collettivi nazionali;    b) previsione, in questi ultimi due casi,  il coinvolgimento (conoscitivo, e, in prospettiva anche processuale) delle associazioni sindacali che hanno sottoscritto l'accordo o il contratto collettivo;     c) limitazione al giudice di primo grado della possibilità di sollevare la questione pregiudiziale,  purchè  "rilevante e seria", come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  199 del 2003; d) limitazione della possibilità di pronunciare accertamento pregiudiziale solo sull'interpretazione dei contratti ed accordi collettivi e non anche, come previsto nell'attuale formulazione dell'articolo 420 bis c.p.c., sull'efficacia e validità.

Alle controversie di pubblico impiego resta applicabile l'art.64 del t.u. n. 165 del 2001, i cui commi 4, 6, 7 e 8, continuano ad applicarsi, in quanto compatibili alle controversie di lavoro privato e previdenziale (secondo quanto disposto dall'art. 146bis delle disposizioni di attuazione del c.p.c..

            Resta applicabile l'art. 146 disp. att. c.p.c. (secondo cui "Nel caso di cui all'art. 420bis del codice si applica, in quanto compatibile, l'art. 64, commi 4,6,7, e 8 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165").

Art.

L' articolo 420 bis del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

(Accertamento pregiudiziale sulla interpretazione di leggi, regolamenti, contratti e accordi collettivi)

            1. Quando per la definizione di una controversia di cui agli articoli 409 e 442 riguardanti, anche potenzialmente, un numero consistente di soggetti, nelle quali sia necessario risolvere in via pregiudiziale  una questione rilevante e seria concernente  l'interpretazione di leggi, regolamenti, o di clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale,  il giudice di primo grado decide con sentenza non definitiva tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa, fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni.

            2. Ove l' interpretazione riguardi un contratto o un accordo  collettivo, il giudice  dispone, anche d'ufficio, l'acquisizione di informazioni ed osservazioni, orali o scritte, alle associazioni sindacali che hanno sottoscritto il contratto o l'accordo collettivo.  

            3. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza.

            4. Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti;  il processo è sospeso dalla data del deposito.

 

(si segnala che resta applicabile  l'art. 146-bis disp,att. c.p.c. del quale si riporta in testo :            "Nel caso di cui all'art. 420bis del codice si applica, in quanto compatibile, l'art. 64, commi 4, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.")

 

 

Correzione dell'articolo 421 c.p.c.

La Commissione ravvisa l'opportunità di correggere un refuso presente al secondo comma dell'articolo 421 c.p.c., laddove si richiama il "comma sesto dell'articolo precedente" mentre, a causa dell'inserimento nel 2006 dell'articolo 420 bis, il riferimento corretto è al sesto comma dell'articolo 420.

Art.

Nel secondo comma dell'articolo 421 del codice di procedure civile le parole "dell'articolo precedente" sono sostituite dalle parole "dell'articolo 420".

 

 

Decisione a seguito di trattazione e motivazione in forma abbreviata

Il sempre maggiore interesse collegato all'analisi dei metodi di organizzazione degli uffici e di gestione del processo ha fatto emergere pratiche virtuose che hanno consentito di ridurre il grave arretrato, velocizzando la trattazione dei processi. In particolare, per quanto riguarda il processo del lavoro, si è distinta a livello nazionale l'esperienza della Sezione lavoro presso il Tribunale di Reggio Calabria, dove al 30 settembre 1999 risultavano pendenti 10.335 cause di lavoro, pendenza ridotta a 3.785 cause di lavoro al 30 giugno 2005, con un numero di processi definiti in tale anno superiore rispetto alle sopravvenienze dello stesso periodo; inoltre, mentre nel 1999 venivano pronunciate poco più di 990 sentenze l'anno, nel 2002 sono state pronunciate 4.757 sentenze (dati tratti dalla relazione "Organizzazione degli uffici e gestione del processo presso il Tribunale di Reggio Calabria" tenuta dalla dr.ssa Patrizia Morabito magistrato coordinatore della Sezione Lavoro del Tribunale di Reggio Calabria a Roma durante il corso di formazione centrale del C.S.M. 27 febbraio-1 marzo 2006).

Tra gli strumenti che hanno consentito il notevole incremento di produttività vi è stato(da quanto si legge nella citata relazione) l'ampio utilizzo della motivazione contestuale delle sentenze "mutuata dall'articolo 281 sexies c.p.c., che pur non essendo previsto espressamente per le sentenze di lavoro, ben può costituire  norma di generale applicazione, e certamente conforme allo spirito del processo del lavoro, che prevede a pena di nullità l'immediata lettura almeno del dispositivo al termine dell'udienza".

            Si è ritenuto altresì di estendere la motivazione contestuale, già prevista nel processo civile, al processo del lavoro, ma prevedendo che in questo ambito la decisione a seguito di trattazione divenga la regola consentendo solo come mera eccezione, nel caso di particolare complessità della controversia, che il giudice possa fissare nel dispositivo un termine non superiore a trenta giorni per il deposito della sentenza.

            L'utilizzo di questo metodo consentirà di ridurre i tempi per la decisione concentrando il momento decisionale con quello motivazionale, nonché di evitare errori che possono commettersi quando si redige il dispositivo senza aver ricostruito tutti i passaggi della motivazione. Deve, infatti, segnalarsi come la Suprema Corte abbia affermato che, nel rito del lavoro, il principio della non integrabilità del dispositivo con la motivazione, in caso di insanabile contrasto fra le due parti della sentenza, non trova applicazione nel caso in cui venga data lettura in udienza sia della motivazione che del dispositivo in quanto, in tal caso, parte motiva e dispositiva concorrono "entrambe a cristallizzare la statuizione consentendo, mediante un'interpretazione complessiva, il passaggio in giudicato anche delle enunciazioni contenute nella motivazione" (cfr. Cass., Sez. L, sentenza n.-1673 del 29 gennaio 2004). Peraltro, l'apposita previsione di una norma che consenta l'immediata redazione della motivazione nell'ambito del rito del lavoro permetterà di superare le difficoltà ermeneutiche collegate all'applicazione dell'art. 281 sexies c.p.c., norma costruito in riferimento al rito ordinario, poco adattabile al modello del processo del lavoro.

            La proposta avanzata, che prevede un mutamento di prospettiva disponendo che la regola sarà rappresentata dalla motivazione contestuale mentre la motivazione differita rappresenterà l'eccezione (nel caso di particolare difficoltà della controversia) è, inoltre, in linea con le più recenti modifiche legislative, in particolare con il rito societario previsto dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.5.

            Nell'ambito dell'esigenza di accelerazione e snellimento del lavoro del giudice si inserisce il secondo articolo proposto che prevede la possibilità di far ricorso alla motivazione in forma abbreviata mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e alla concisa esposizione delle ragioni di diritto anche riportandosi a precedenti conformi; pure in questo caso non si tratta di una assoluta novità, in quanto la motivazione in forma abbreviata è già prevista dall'articolo 16, quinto comma, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.5 in materia di rito societario.  

Art.

Nell'articolo 429 del codice di procedura civile, il primo comma è sostituito dal seguente:

"Nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza."

 

Art.

L'articolo 430 del codice di procedura civile, è sostituito dal seguente:

"Art. 430 (Motivazione della sentenza)

La sentenza può essere motivata in forma abbreviata, mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e la concisa esposizione delle ragioni di diritto, anche in riferimento a precedenti conformi".

 

 

Procedimento monitorio

La necessità di modificare le norme che disciplinano il procedimento monitorio sorge da tre ordini di considerazioni:

-                                 l'esigenza di equiparare il trattamento processuale dei lavoratori subordinati, autonomi manuali, autonomi intellettuali per i quali non esiste una tariffa legalmente approvata a quello per i lavoratori autonomi per i quali la tariffa esiste;

-                                 il rilievo, frutto non solo di  intuizione, ma anche dell'esperienza comparata, che allargare il campo di applicazione del procedimento per decreto significa introdurre una notevolissima razionalizzazione. La grande efficienza dell'amministrazione della giustizia in Germania e in Austria deriva anche dalla circostanza che la stragrande maggioranza delle domande di tutela giurisdizionale per crediti pecuniari (in Austria addirittura anche quelli derivanti da fatto illecito!) è filtrata da un procedimento monitorio puro;

-                                 il rilievo empirico che una percentuale molto rilevante dei procedimenti di lavoro si svolgono in contumacia; procedimenti i quali, data la disciplina di derivazione francese, per cui l'attore deve provare la propria pretesa per vincere la causa, comportano quasi sempre un inutile dispendio di attività. (Una ricerca svolta alcuni anni or sono alla pretura di Torino con finanziamento CNR aveva rilevato il 34% dei procedimenti di lavoro sono svolti nella contumacia del convenuto).

            E' appena il caso di rilevare che la notevole percentuale di procedimenti in contumacia si ribalterebbe, con l'innovazione proposta, nella certezza che, per quanto riguarda quei procedimenti, non vi sarebbe opposizione. E basterebbe già questo dato di fatto, per concludere che l'innovazione darebbe luogo ad un guadagno netto di attività giurisdizionale. Senza contare che la chiamata in campo delle associazioni sindacali e professionali per il controllo dei conteggi condurrebbe ad una prima scrematura delle pretese e, in generale, con grande probabilità, anzi, con ragionevole certezza, ad una percentuale di opposizioni non superiore a quella, bassa, che si registra per i decreti ingiuntivi secondo la disciplina vigente.

            Un inconveniente della soluzione proposta potrebbe essere ravvisato nella circostanza che essa può comportare una diminuzione dei redditi professionali degli avvocati dei lavoratori. Ma a questa diminuzione corrisponderebbe una grande semplificazione nel lavoro degli studi, che potrebbero meglio concentrarsi sulle cause in cui viene proposta l'opposizione e su quelle più delicate e complesse che devono seguire la via del processo in contraddittorio (licenziamenti, accertamenti dell'esistenza del rapporto, mansioni, qualifiche, interpretazione dei contratti collettivi ecc.)

            La soluzione approvata dalla Commissione soddisfa le esigenze illustrate: con le norme proposte si rende "quasi puro" (richiedendo al ricorrente di offrire indizi idonei a far presumere esistenti i fatti costitutivi del proprio diritto) il procedimento avente ad oggetto crediti in denaro traenti origine da uno dei rapporti indicati dall'articolo 409 c.p.c. ovvero da rapporti di lavoro autonomo.

 

Art.

Nell'articolo 633 codice di procedura civile al primo comma, dopo il numero 3), è aggiunto il seguente:

"4) se il credito riguarda il corrispettivo in denaro per prestazioni di lavoro autonomo, ovvero alle dipendenze di soggetti privati o pubblici".

 

Art.

Dopo l'articolo 636 codice di procedura civile è aggiunto il seguente:

"Art. 636 bis

(Corrispettivo per prestazioni di lavoro autonomo o dipendente)

Nel caso previsto nel numero 4) del primo comma dell'articolo 633 la domanda deve essere accompagnata da elementi atti a far presumere l'esistenza del rapporto e dal conteggio delle prestazioni corredato dal parere del competente sindacato o associazione professionale"

 

 

Calcolo di interessi e rivalutazioni

Con la modifica dell'articolo 150 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, viene previsto che ai fini del calcolo della svalutazione monetaria, il giudice applicherà l'indice ISTAT, nonché gli interessi legali calcolati sul capitale via via rivalutato. In tal modo, viene trascritto in apposita norma, l'ordinamento così detto "intermedio" espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione  ( cfr. Sentenza 29 gennaio 2001, n.38) in ordine alla cumulabilità degli interessi legali con la rivalutazione monetaria.

Art.

L'articolo 150 delle disposizioni di attuazione è sostituito dal seguente :

"Ai fini del calcolo di cui all'articolo 429 ultimo comma del codice il giudice applica l'indice delle variazioni dei prezzi al consumo per operai e impiegati calcolato dall'ISTAT, nonché gli interessi legali calcolati sul capitale via via rivalutato"

 

 

Repressione della condotta antisindacale ed emersione del lavoro "nero"

Il lavoro "nero" è stimato in Italia nell'astronomico ammontare di oltre 3 milioni di unità lavorative. La "bonifica" del lavoro "nero" è stato un obiettivo perseguito dal legislatore per più vie, tanto di repressione amministrativa e penale, quanto di normazione "premiale" per i datori di lavoro che avessero deciso di "emergere" dalla clandestinità o di far emergere parte della loro organizzazione imprenditoriale.

I risultati sono stati, sia sull'uno sia sull'altro versante, costantemente deludenti, e  ciò in quanto: gli organi repressivi non hanno mezzi uomini strutture, procedure e talvolta neanche volontà sufficienti per contrastare capillarmente un fenomeno tanto diffuso, mentre le normative premiali non possono mai raggiungere la convenienza della (ancor poco rischiosa) evasione totale. E', inoltre, sempre mancata la legittimazione attiva alla repressione del lavoro "nero" di un ente collettivo esponenziale degli interessi dei lavoratori, non soggetto a quei condizionamenti ai quali invece non può sfuggire il singolo lavoratore immerso nella realtà drammatica del lavoro irregolare, ente non può che essere identificato nell'Organizzazione Sindacale, la quale certamente incontra nel lavoro "nero" un formidabile quanto ingiusto ostacolo alla sua azione di proselitismo e di organizzazione degli interessi collettivi: l'attività sindacale si ferma o diventa difficilissima se i lavoratori sono "invisibili" perché non regolarizzati, ma allora è evidente che il non regolarizzare i lavoratori costituisce un ostacolo (illegittimo) all'attività sindacale, e l'attività sindacale, per altro verso, è proprio uno dei beni tutelati dall'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, norma che reprime i comportamenti datoriali contrari alla "libertà sindacale, all'attività sindacale ed al diritto di sciopero". Date tali premesse non rappresenterebbe una forzatura concettuale ritenere che dare lavoro in "nero" possa integrare la fattispecie di comportamento antisindacale ma, anzi, il risultato di una meditata lettura della norma, mentre, per altro verso, proprio questa sembrerebbe la via più convincente per la lotta al lavoro "nero", primo nemico dell'organizzazione e dell'attività del Sindacato. Ciò in quanto il singolo lavoratore assunto in "nero" sarebbe troppo debole e troppo ricattato, solitamente, per poter denunziare la sua condizione al giudice o alla Autorità Amministrativa e dunque dovrebbe esser riconosciuta, accanto ad una legittimazione individuale, una legittimazione "collettiva", quella del sindacato, ossia dei lavoratori coalizzati.

 

Nell'ambito di tali premesse si muove la proposta di esplicito riconoscimento legislativo della applicabilità dell'articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori alla ipotesi di "lavoro nero". La proposta si "sposerebbe" perfettamente -  quale misura repressiva finalizzata, però, ad una uscita concordata e definitiva dalla illegalità-  con le previsioni legislative anche recentissime (cfr. legge finanziaria 2007) circa accordi sindacali di "emersione" del lavoro "nero" che condonano al datore di lavoro, che si impegna con quegli accordi a rientrare nella legalità, gran parte delle sanzioni e dei costi connessi con le violazioni di legge già consumate. Il meccanismo sinergico potrebbe essere il seguente: dopo che il sindacato abbia "scovato" il datore di lavoro "in nero" portandolo in giudizio con il procedimento dell'art. 28 legge 300/1970 per impedimento alla attività sindacale ed il giudice gli abbia ordinato di cessare dal comportamento e di "rimuovere gli effetti", la "rimozione" potrebbe consistere, appunto, nella stipula di un "accordo di emersione" con lo stesso sindacato denunziante.

Dal punto di vista della riforma del testo legislativo la Commissione suggerisce di introdurre un comma all'attuale formulazione dell'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori

Art.

"All'articolo 28 legge 20 maggio 1970 n. 300, dopo il primo comma è inserito il seguente:

"Il procedimento di cui al primo comma trova applicazione anche in ipotesi di mancata regolarizzazione contrattuale e previdenziale dei rapporti di lavoro, non risultanti da scritture o da altre documentazioni obbligatorie.  In tal caso la rimozione degli effetti del comportamento illegittimo ordinata giudizialmente si intende ottemperata anche con la successiva stipula, entro trenta giorni, o nel diverso termine stabilito dal giudice, di accordi sindacali di regolarizzazione o emersione previsti dalle leggi vigenti, e di cui sia parte il sindacato denunziante".

 

 

Lavoro dei detenuti

Con la sentenza del 27 ottobre 2006, n. 341, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 69, comma 6, lett. a), della legge 354/75 (ordinamento penitenziario), nella parte in cui prevede che le controversie concernenti il lavoro carcerario siano decise dal magistrato di sorveglianza, secondo la procedura di cui all'art. 14 ter della stessa legge. In primo luogo, occorrerebbe chiarire se la sentenza impone semplicemente il rispetto di un rito che garantisca adeguatamente il principio del contraddittorio (con preferenza per il rito del lavoro, stante l'oggetto delle controversie), o se impone anche una diversa competenza in materia di lavoro carcerario.

La ricognizione del thema decidendum operata dalla Corte, ed un (sintetico) riferimento alla competenza, sembrerebbe andare in quest'ultima direzione: in effetti, la sentenza della Corte insiste soprattutto nell'insufficienza della procedura de plano, prevista dall'art. 14 ter  26 luglio 1975, n. 354, ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, mentre l'altro elemento cardine della motivazione -la pari dignità del lavoro del detenuto e la sua finalizzazione al reinserimento sociale- non escluderebbe con la stessa forza logica la competenza del magistrato di sorveglianza, peraltro riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. Ad ogni modo, il tema in esame impone di considerare sia il problema dell'inquadramento generale del lavoro carcerario, sia le implicazioni pratiche della nuova competenza del giudice del lavoro (traduzioni dei detenuti presso i tribunali civili, inadeguatezza delle strutture, aumento dei rischi per la sicurezza, aumento dei costi, incidenza sulla celerità del procedimento, ecc...).

            Sul piano generale, devesi rilevare  (con Corte cost. 1087/1988) che il lavoro carcerario mantiene elementi di perdurante diversità rispetto al lavoro alle dipendenze di terzi (trae origine da un obbligo legale e non da un contratto, costituisce oggetto di una specifica regolamentazione in relazione allo status libertatis del lavoratore ed alla qualità del datore di lavoro, è indirizzato alla realizzazione degli obiettivi del reinserimento sociale del detenuto, l'amministrazione datrice di lavoro non persegue l'utile, l'occupazione del detenuto non è regolata dal mercato).

            Inoltre, accanto al classico "lavoro carcerario" (il lavoro alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria), sono fiorite nuove figure (lavoro alle dipendenze di imprese pubbliche e private da svolgersi all'interno od all'esterno del carcere, lavoro associato nell'ambito di cooperative, lavoro autonomo, lavoro a domicilio, ecc...).

            L'adeguamento normativo, quindi, pone anche un problema definitorio in relazione all'oggetto della cognizione.

            Il riferimento al lavoro carcerario (definizione soprattutto dottrinale) richiama una categoria piuttosto incerta ed eterogenea, comprensiva, come già detto, sia del lavoro intramurario sia del lavoro all'esterno del carcere, sia di forme di lavoro subordinato sia di forme di lavoro "parasubordinato", sia alle dipendenze dell'amministrazione carceraria sia alle dipendenze di terzi. I nuovi esiti della flessibilità potrebbero sminuire ulteriormente la valenza definitoria del sintagma, ed è per questo che nella proposta normativa si è optato per l'ampia locuzione: "rapporti di lavoro dei detenuti" cercando, per quanto possibile, di non indurre nuove incertezze. In ordine alla competenza, una volta assimilate le situazioni dei lavoratori detenuti a quelle dei lavoratori liberi, dovrebbero mantenersi gli stessi criteri di competenza per territorio, valendo per gli uni come per gli altri le medesime esigenze connesse all' accertamento dei fatti (luogo in cui è sorto il rapporto, in cui si trova l' "azienda" o viene effettuata la prestazione).

            L'esigenza di evitare la moltiplicazione degli adempimenti organizzativi, gli aggravi di spesa legati alla traduzione dei detenuti ed i rischi sempre connessi a tale evento, potrebbe forse suggerire la competenza territoriale del Tribunale nel cui circondario si trova l'istituto in cui il lavoratore è detenuto in un certo momento processualmente significativo (es: deposito del ricorso); tuttavia, la possibilità (e la frequenza) dei trasferimenti dei detenuti da un istituto all'altro rischia di sortire gli stessi inconvenienti, se non addirittura di peggiorarli, lasciando per giunta senza garanzia le esigenze cui rispondono i criteri di competenza validi per ogni lavoratore.  Sulla base delle considerazioni esposte la Commissione ha formulato una proposta che prevede l'estensione del solo rito del lavoro nei giudizi innanzi al magistrato di sorveglianza, sulle controversie relative al lavoro svolto dai detenuti in favore  dell'amministrazione penitenziaria;  mentre è prevista l'estensione della competenza del giudice del lavoro sui rapporti di lavoro dei detenuti con soggetti terzi datori di lavoro, pubblici o privati.

 

Art.

"All'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, dopo il sesto comma, è aggiunto il seguente:

"Decide le controversie relative al lavoro svolto dai detenuti in favore dell'amministrazione penitenziaria, applicando, in quanto compatibili, le norme contenute nel libro secondo, titolo IV, del codice di procedura civile."

 

Art.

All'articolo 409, comma 1, codice di procedura civile , è aggiunto il seguente numero:

"6) rapporti di lavoro dei detenuti con soggetti diversi dall'amministrazione penitenziaria."

 

Art.

All'articolo 420 cpc, dopo il primo comma, è aggiunto il seguente comma:

"Il lavoratore detenuto assiste all'udienza libero nella persona, salvo che siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza."

 

 

Atti e licenziamenti discriminatori ed onere della prova

La necessità di modificare l'attuale disciplina dell'onere della prova in materia di atti discriminatori sorge da una procedura di infrazione (n.2006/2441) ex articolo 226 del Trattato CE,  con la quale la Commissione CE ha contestato all'Italia la non corretta applicazione della direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

Analizzando nello specifico i rilievi sollevati dall'esecutivo comunitario, la Commissione europea, per la parte di interesse, ha contestato l'inesatto recepimento, nella legislazione nazionale, dell'articolo 10 della direttiva citata laddove si prevede, in materia di onere della prova, che: "Gli stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché le persone si ritengano lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono dinanzi ad un tribunale o ad un'altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta od indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio di parità di trattamento".

Secondo la Commissione CE nel recepimento di tale direttiva (avvenuto con il decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 216) non sarebbe stato correttamente disciplinato l'onere della prova, in quanto l'articolo 4  comma 4, del decreto n.216/2003 , prevede che sia il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza del comportamento discriminatorio a proprio danno, deducendo in giudizio, anche sulla base di dati statistici "elementi di fatto, in termini gravi precisi e concordanti che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile".

Secondo la Commissione europea la legislazione italiana chiedendo al ricorrente di dimostrare fatti gravi precisi e concordanti onde stabilire la presunzione di discriminazione, renderebbe troppo difficile all'attore adire la giurisdizione, mentre l'obiettivo dell'articolo 10, paragrafo 1, della direttiva consiste nell'esatto contrario, cioè nell'alleviare l'onere della prova a carico della vittima di comportamenti discriminatori, anche considerando, come si precisa nell'atto di messa in mora dello Stato italiano, che nell'ambito di altre normative italiane, esistono disposizioni che, in talune circostanze, trasferiscono efficacemente l'onere della prova come per l'articolo 4, comma 5, della legge 10 aprile 1991 n.125 sulle "azioni positive per la realizzazione della parità uomo donna (attuale articolo 40 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n.198 recante il codice delle pari opportunità tra uomo e donna ).

            E' emerso che il problema potrebbe avere una portata più ampia di quella evidenziata dall'esecutivo comunitario, in quanto la direttiva 2000/78/CE si applica, ex articolo 3, anche al licenziamento discriminatorio. Il decreto contestato non contiene alcuna norma specifica sul punto, in quanto il licenziamento discriminatorio era già regolato, nel nostro ordinamento, con l'articolo  15 dello statuto dei lavoratori (l. 20 maggio 1970, n.300). Tuttavia,  tale norma non prevede l'inversione dell'onere della prova (cfr. per tutte Cass. Sez. L., sent. N. 14753 del 15.11.2000): ma, non prevedere l'inversione dell'onere della prova per il licenziamento discriminatorio, che rappresenta il più grave tra gli atti di discriminazione, potrebbe comportare oltre ad un'eventuale procedura di infrazione comunitaria, anche profili di disparità di trattamento qualora la disposizione fosse prevista per le altre, meno gravi, discriminazioni.

            Inoltre, la modifica imposta dalla Commissione Europea in relazione alla direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, imporrebbe di modificare anche il decreto legislativo di recepimento della direttiva 2000/43/CE sulla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, in quanto anche quest'ultima direttiva prevede all'articolo 8 l'inversione dell'onere della prova ed decreto legislativo 9 luglio 2003, n.215, di recepimento della tale direttiva, "gemello" rispetto al decreto 215/2003,  contiene all'articolo 4 comma 3, una norma sull'inversione dell'onere della prova, identica a quella contestata dalla Commissione europea. Inoltre, anche a prescindere dalla esistenza di una specifica procedura di infrazione, modificare l'articolo 4 del decreto legislativo n.216/2003, senza modificare l'identico articolo 4 del decreto legislativo n.215/2003 potrebbe esporre a censure di incostituzionalità.

            Date tali premesse, si propone di inserire una norma che preveda l'inversione dell'onere della prova in presenza di qualunque atto di discriminazione, sostituendo a tutte le disposizioni settoriali un richiamo alla norma generale.

            Quanto alla formulazione della norma sono possibili due opzioni: la prima riproduce la norma contenuta nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo 11 aprile 2006 n.198, articolo 40); la seconda riproduce, in maniera più fedele il testo delle direttive richiamate. La Commissione ha optato per formulare la norma in modo da renderla il più possibile conforme al testo della direttiva. Quanto alla collocazione sistematica, si propone di inserire la norma potrebbe nell'ambito dello Statuto dei lavoratori dopo l'articolo 15, inoltre tutte le norme settoriali, dovranno essere sostituite prevedendo un richiamo alla nuova disposizione.

Art.

"Dopo l'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n.300, è aggiunto il seguente:

Art.  15 bis (Onere della prova ):

"Nell'ambito delle azioni, individuali o collettive, per il riconoscimento della sussistenza di atti discriminatori di cui all'articolo 15 quando il ricorrente fornisce elementi di fatto dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, spetta al convenuto provare che non vi è stata violazione del principio di parità di trattamento.".

 

Art.

Nell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n.215 il comma 3 è sostituito dal seguente:

            "3. Nei giudizi per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2, si applica l'articolo 15 bis della legge 20 maggio 1970, n.300"

 

Art.

Nell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n.216 il comma 4 è sostituito dal seguente:

            "4. Nei giudizi per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all'articolo 2, si applica l'articolo 15 bis della legge 20 maggio 1970, n.300"

 

 

(N.d.r.: Si segnala, inoltre, che alla fine del comma 2 dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990 n.108, come modificato dall'articolo 9 del gruppo licenziamenti, sono state aggiunte le seguenti parole:

            "Si applica l'articolo 15 bis della legge 20 maggio 1970, n.300")

 

 

Modifica dell'articolo 96 legge fallimentare

La riforma della legge fallimentare, attuata con il decreto legislativo 9 Gennaio 2006, n. 2005, il quale ha dettato una nuova disciplina della formazione ed esecutività dello stato passivo nonché delle impugnazioni contro il relativo decreto dal punto di vista processuale ha introdotto due importanti novità:

a) da un lato l'effetto solo endoprocessuale attribuito dall'ultimo comma dell'art. 96 LF. tanto al decreto di esecutività dello stato passivo quanto alla sentenza che decide il procedimento di impugnazione;

b)dall'altro l'adozione, per quest'ultimo procedimento, di un rito camerale "ampliato e garantistico" prevedente l'assunzione in contraddittorio di mezzi di prova di ogni tipo.

            Per quanto riguarda il primo aspetto, va ricordato che in precedenza si riteneva che la sentenza emessa nel procedimento di opposizione allo stato passivo avesse efficacia di giudicato, essendo pronunziata al termine di un normale giudizio di tipo ordinario, e ciò aveva un sicuro rilievo in tutte quelle cause in cui, pur trattandosi immediatamente di un credito di lavoro, si accertava però, in via preliminare, la sussistenza di un rapporto di lavoro. Un accertamento di questo genere consentiva pertanto successivamente, anche in sede extrafallimentare, al lavoratore di ottenere la ricostituzione di posizioni previdenziali, a suo tempo non accese per la irregolarità di contratti di lavoro (atipici o addirittura "in nero") in base ai quali era stata prestata l'opera e anche maturato il credito.

            Con l'efficacia solo endoprocessuale anche della sentenza emessa nel giudizio di opposizione (ora impugnazione) disciplinato dall'art. 99 LF.  questa preziosa possibilità andrebbe persa, ed occorre in proposito ripensare un po' l'intera problematica dei rapporti tra interessi dei lavoratori, contenzioso lavoristico, vicende concorsuali e procedimento fallimentare.

Il fatto è, invero, che l'interesse fondamentale dei lavoratori nelle insolvenze e nei procedimenti fallimentari non è tanto, quello del recupero dei crediti rimasti impagati, sia perché ad esso si fa fronte in buona parte ricorrendo al Fondo di Garanzia di cui alla Legge 297/82, sia perché esiste il privilegio di I° grado e la decorrenza di interessi e rivalutazioni fino al riparto finale, quanto piuttosto quello di veder riconosciuto, come premessa del credito, lo status  stesso di lavoratore subordinato, e che significa poi poter accedere o meno, in futuro, ad un trattamento previdenziale pensionistico.

            Il problema ed il fenomeno sociale da comprendere è questo: l'insolvenza dell'impresa ed il fallimento costituiscono, per così dire, il "pettine" al quale arrivano assai spesso tutti assieme, i nodi dei tanti rapporti irregolari costituiti dall'imprenditore ancora "in bonis":  false collaborazioni a progetto, false associazioni in partecipazione, falsi contratti di inserimento, rapporti di somministrazione irregolari ecc. ecc.

E' insomma il caso, talvolta davvero drammatico, di lavoratori che avendo collaborato per molti anni sulla base di rapporti "atipici" rischiano, con il fallimento dell'impresa di non poter mai ottenere una posizione previdenziale adeguata per il lavoro effettivamente prestato.

Due possibilità concettuali si aprono per porre rimedio a questa palese grandissima ingiustizia:

A)        accettare la logica del D.Lgs. 9 Gennaio 2006, n. 5 e cioè l'efficacia solo endofallimentare delle pronunzie dei giudici fallimentari, -che pertanto rispondono solo alla questione di quali crediti debbano essere ammessi al riparto, ma senza pervenire a nessun  accertamento con valore di giudicato- e allora portare fuori dalla sede fallimentare, mantenendoli espressamente al giudice del lavoro tutti i giudizi relativi alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato (previa riqualificazione) dei rapporti di lavoro atipici irregolari. Scontando, però, allora, continui problemi di interferenza tra le due competenze e sedi visto che la sussistenza del rapporto è, inevitabilmente, il presupposto del credito del lavoratore;

B)        affidarsi, invece, al nuovo procedimento camerale disciplinato dall'art. 99, della LF. come ora ridisciplinato dal D.Lgs. N. 5/2006 e prevedere una specifica eccezione all'efficacia solo endofallimentare delle pronunzie, allo scopo di dare una risposta, per così dire "veloce e compatta", nella stessa sede fallimentare a quel fondamentale interesse del lavoratore.

La Commissione ha approvato questa seconda forma di intervento proponendo di modificare, con l'aggiunta di un comma, l'art. 96 legge fallimentare, come modificato dal decreto legislativo 9 gennaio 2006 n.5.

 

Art.

All'articolo 96 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 dopo il sesto comma è aggiunto il seguente:

"Il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal Tribunale all'esito dei giudizio di cui all'art. 99 producono effetti soltanto ai fini del concorso, con l'eccezione di quelli che decidono pretese retributive e contributive discendenti da preventivo accertamento della sussistenza di rapporti di lavoro di cui all'art. 2094 codice civile. In tali ipotesi, il giudice delegato dispone la previa convocazione all'udienza di cui allo articolo 95, terzo comma, dell'istituto previdenziale, il quale assume, altresì, la veste di litisconsorte necessario nelle eventuali successivo procedimento di cui all'art. 99".

 

 

Controversie tra socio e cooperativa

Con la modifica del secondo comma dell'articolo 5 della legge 30 aprile 2001, n.142 (nel testo vigente a seguito dall'entrata in vigore dell'articolo 9 della legge 14 febbraio 2003, n.30) si intende porre fine a difficoltà, interpretative ed applicative- testimoniate da una diffusa giurisprudenza di merito - derivanti dall'attribuzione alla competenza del tribunale ordinario delle sole controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica.  La Commissione ha, quindi, proposto  di modificare l'attuale formulazione della norma richiamata prevedendo che le controversie tra socio e cooperativa siano tutte di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro.

 

Art.

Nel secondo comma dell'articolo 5 della legge 30 aprile 2001, n.142 (come modificato dall'articolo 9 legge 14 febbraio 2003, n.30), le parole da "Le controversie" fino a "tribunale ordinario" sono sostituite dalle seguenti:

"Le controversie tra socio e cooperativa sono di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro"

 

 

Sentenze del giudice ordinario e giudizio di ottemperanza

Ai sensi dell'art. 33, c.3 della legge n. 1034 del 1971 (modificato dall'art. 10 della legge 21 luglio 2000, n. 205) possono essere oggetto del giudizio di ottemperanza  le sentenze del giudice amministrativo  di primo grado purchè non sospese dal giudice di appello.

            Lo stesso non è possibile nel caso in cui oggetto di un giudizio di ottemperanza riguardi una sentenza del giudice ordinario  (il che potrebbe verificarsi nel caso di controversie di pubblico impiego per il quale la giurisdizione dell'a.g.o. costituisce la regola, per effetto della "privatizzazione" operata dal t.u. n. 165 del 2001) che, pur avendo efficacia provvisoriamente esecutiva, non sia ancora passata in giudicato

            La Corte costituzionale, con ordinanza n. 44 del 2006 ha ritenuto manifestamente infondata la questione sulla descritta disparità di trattamento, considerandola frutto di una discrezionalità del legislatore il quale "ha voluto dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado" e aggiungendo che "...sono differenti e, quindi, non comparabili le azioni esecutive davanti al giudice ordinario secondo le norme di procedura civile, trattandosi di sentenze o provvedimenti esecutivi che non richiedono l'esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza. Pertanto non potrebbe parlarsi di disparità di trattamento fra l'ipotesi di esecuzione di sentenza amministrativa di primo grado, perseguita attraverso il giudizio di ottemperanza e l'ipotesi di esecuzione delle sentenze di primo grado del giudice ordinario.

            La decisione lascia in disparte l'ipotesi delle sentenze rese dal giudice del lavoro in controversie di lavoro "pubblico" per le quali pure risulta utilizzato il giudizio di ottemperanza.  

            Per ovviare a tale alcuna si propone di modificare il primo comma  dell'art.37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 prevedendo che possa farsi ricorso al giudizio di ottemperanza anche nel caso di sentenza emessa dell'autorità giudiziaria ordinaria, dotata di esecutività ai sensi dell'art. 431 c.p.c., che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico.

 

Art.

"Nell'articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, il primo comma è sostituito dal seguente:

"I ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, alla sentenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, dotata di esecutività non sospesa dal giudice di appello, ai sensi dell'art. 431 c.p.c., che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico, sono di competenza dei tribunali amministrativi regionali quando l'autorità amministrativa chiamata a conformarsi sia un ente che eserciti la sua attività esclusivamente nei limiti della circoscrizione del tribunale amministrativo regionale."

 

 

01 10 2007
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