II. Per una legislazione giusta ed efficace sulla immigrazione

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I fenomeni migratori sono guidati non da scelte soggettive ma da ragioni economico-sociali profonde e radicate. Ciò li rende incomprimibili con politiche di blocco, come dimostrano la storia e la esperienza internazionale (e, da ultimo, quella degli Stati Uniti, dove l'impiego delle pi moderne tecnologie militari non ha scalfito la immigrazione irregolare dal Messico, nonostante confini assai pi controllabili dei nostri). Il processo in atto di ridistribuzione della popolazione nel pianeta è inarrestabile, segue leggi e dinamiche economiche che sfuggono ai singoli paesi interessati, conduce inevitabilmente a società multietniche assai diverse da quelle attuali. Ciò non condanna i singoli Stati all'impotenza ma definisce ambito e contenuti del loro intervento: teso non a edificare argini impossibili e illusori ma a governare il fenomeno in una prospettiva di gradualità e integrazione. La logica dei divieti (oggi assai diffusa ancorch difforme da quella imperante del mercato) produce solo clandestinità ed emarginazione, esse sì - e non l'immigrazione in s - fonte di criminalità e di diffusa insicurezza. L'esperienza europea di questi anni dimostra, inoltre, che le politiche di blocco degli ingressi legali, oltre ad essere del tutto inefficaci, finiscono per creare, nei fatti, società caratterizzate da componenti stabili di clandestini, privi di diritti ed esposti per questo a ogni tipo di sfruttamento. Un intervento legislativo teso a governare (anzich a esorcizzare per finalità di illusoria rassicurazione sociale) l'immigrazione risponde, dunque, non solo a ragioni di solidarietà (pur da non sottovalutare) ma anche alla esigenza di costruire società e città vivibili e democratiche. Si tratta di un progetto complesso e costoso ma realizzabile se perseguito con coerenza e realismo.
1. L'INGRESSO

Le possibilità di ingresso legale in Italia vanno estese e razionalizzate, anche alla luce del fatto che la loro attuale limitazione in termini prossimi allo zero non è servita a contenere l'immigrazione ma solo ad alimentare la clandestinità.
1.
Ciò impone anzitutto una disciplina innovativa in punto ingressi per ragioni di lavoro, superando il sistema della legge del 1986, ancorato all'anacronistico principio dell'incontro "a distanza" tra domanda ed offerta e della limitazione del visto ai casi di accertata mancanza di manodopera locale e di contestuale dimostrata qualificazione professionale ad hoc dei richiedenti. la totale ineffettività di tale procedura (per la macchinosità e per le caratteristiche stesse del mercato del lavoro nel nostro paese) ha avuto come esito il mantenimento a nero e della irregolarità. Un atteggiamento realistico di governo del fenomeno impone di cambiare strada istituendo, a fianco del visto per lavoro, un visto per ricerca di lavoro con contestuale previsione di:
(1a) quote di ingresso a tale titolo determinate annualmente (con l'avvertenza che la capacità del sistema di arginare gli ingressi clandestini è legata alla significatività quantitativa delle quote previste);
(1b)
accordi di cooperazione con i paesi di provenienza (oggi quasi inesistenti anche per la loro non appetibilità da parte dei Governi interessati), agevolati dal fatto che il 90% della immigrazione in Italia proviene da soli 10 paesi e dalla esperienza di altri Governi europei;
(1c)
autorizzazione alla permanenza in Italia "a termine" (es. per 6 mesi), con successivo rilascio di carta di soggiorno per lavoro, anche autonomo, o intimazione a lasciare il paese (in caso di mancato inserimento lavorativo);
(1d)
facilitazioni a futuri reingressi in caso di puntuale adempimento delle prescrizioni e dei termini.
2.
Ricongiungimento familiare e condizione dei coniugi e congiunti cittadini italiani esigono, a loro volta, una nuova disciplina fondata sul riconoscimento del diritto alla unità del nucleo familiare. Ciò è richiesto dagli artt. 29-31 della Costituzione, da numerose convenzioni internazionali (tra cui la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4-11-1990) e da ragioni di utilità pratica, essendo dato di comune esperienza il pi agevole inserimento di chi ha riferimenti familiari sul territorio. Quanto al ricongiungimento familiare, una normativa razionale deve proporsi come obiettivi:
(2a)
la previsione di procedure semplificate in punto documentazione necessaria (con possibilità di utilizzazione, a differenza della disciplina attuale, anche di documenti rilasciati o legalizzati dalle rappresentanze consolari straniere in Italia) e tempi di definizione, con introduzione di ipotesi di silenzio-assenso;
(2b) l'individuazione di sistemi di verifica non burocratica della esistenza di condizioni di vita accettabili per il nucleo una volta ricongiunto (preferibilmente demandandone l'accertamento agli enti locali, anche al fine di consentire la predisposizione di misure atte a facilitare l'inserimento del nucleo nel contesto sociale);
(2c) il riconoscimento, a tal fine, anche delle unioni di fatto ove vi siano fili
minori:
(2d)
l'individuazione del preminente interesse del minore in tutte le valutazioni inerenti l'attuazione del diritto alla unità del nucleo familiare. Quanto ai coniugi e parenti di cittadini italiani, la strada maestra per una nuova disciplina è, come rilevato dal Consiglio di Stato nel parere 8-11-1995, quella della normativa in tema di diritto di soggiorno di cittadini italiani con congiunti extracomunitari siano sottoposti, quanto al ricongiungimento, a un trattamento deteriore rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea.
3.
E' infine imprescindibile, per quanto riguarda il settore degli ingressi, una disciplina del diritto di asilo coerente con l'art. 10 comma 3 Costituzione, che lo ricollega a criteri di natura oggettiva (assenza di libertà democratiche nel paese di origine) pi ampi di quelli soggettivi della Convenzione di Ginevra del 1951 (timore fondato di persecuzione individuale). Si tratta, in particolare, di introdurre il cd asilo umanitario, previsto da diverse legislazioni europee (ed adottato dall'Italia con alcuni provvedimenti ad hoc nei confronti di cittadini somali ed ex-jugoslavi), per chi nel paese d'origine è in situazione di rischio per uno stato di guerra civile, di aggressione esterna, di grave turbativa nell'ordine pubblico o di diffusa violazione dei diritti umani. La disciplina dell'asilo politico e di quello umanitario dovrà prevedere:
(3a) l'attribuzione della competenza al riconoscimento di entrambi gli status ad una unica Commissione centrale a composizione non esclusivamente burocratica come quella attuale (anche al fine di evitare che la decisione sulla concessione dell'asilo umanitario sia demandata, come ora avviene, ad organi periferici di polizia con conseguenti gravi quanto inevitabili disparità di trattamento);
(3b) una procedura che consenta l'assistenza di un legale o di un rappresentate di organizzazioni per la difesa dei diritti dell'uomo sin dal momento dell'ingresso in Italia (anche attraverso l'istituzione di centri di assistenza presso i principali punti di frontiera); (3c) la effettiva possibilità di ricorso giurisdizionale contro l'atto amministrativo di respingimento alla frontiera;
(3d)
la ricorribilità nel merito contro i provvedimenti adottati dalla Commissione centrale.
2. IL SOGGIORNO

La disciplina del soggiorno deve abbandonare il carattere di strumento di tutela dell'ordine pubblico (affidato alla polizia) ed assumere quello di precisazione dei diritti e dei doveri che fanno capo a chi vive stabilmente nel territorio dello Stato. Non si tratta di un principio rivoluzionario ma del fondamento delle società liberali, affermato dalla Costituzione francese del 1793, il cui art. 4 attribuiva l'esercizio dei diritti di cittadino, oltre ai nati in Francia, ad "ogni straniero che, domiciliato in Francia da un anno, vi viva del suo lavoro, o acquisti una proprietà o sposi una cittadina francese, o adotti un bambino o mantenga un vecchio o sia giudicato dal Parlamento avere ben meritato nei confronti dell'umanità". Questa impostazione rimanda a una normativa duttile e realistica, capace di riconoscere anche le situazioni di fatto sviluppatesi positivamente ed ancorate ad alcuni punti fermi.
1.
Il permesso di soggiorno (tipica misura di polizia, tesa a controllare situazioni transitorie) deve essere sostituito con una carta di soggiorno, documento attestante la regolarità della presenza dello straniero nel territorio dello Stato. Tale natura del documento comporta:
(1a) la definizione per legge delle condizioni e modalità di rilascio, riservando alle circolari i soli aspetti operativi;
(1b) l'attribuzione della competenza per i rinnovi, dopo il rilascio iniziale contestuale all'ingresso agli enti locali (analogamente a quanto avviene per i documenti anagrafici).
2.
Tipologia e caratteristiche dei titoli di soggiorno vanno ridefinite e razionalizzate. Vanno inoltre previsti:
(2a) il soggiorno per lavoro autonomo a prescindere da condizioni di reciprocità quantomeno dopo tre anni di residenza in Italia e comunque in ipotesi particolari (come quella di coniuge straniero di cittadino italiano);
(2b)
la convertibilità del soggiorno da uno ad altro titolo (e quindi da ricerca lavoro a lavoro, da turismo a ricongiungimento familiare, da studio a lavoro, etc.);
(2c)
la durata illimitata (senza necessità di periodici rinnovi) della carta di soggiorno dopo cinque anni dal primo rilascio.
3.
Una efficace disciplina del soggiorno non può prescindere dal principio di effettività, che impone di tener conto di eventuali intervenute sanatorie di fatto di irregolarità all'atto dell'ingresso in Italia (secondo il principio generale dell'ordinamento che ricollega, per esempio, effetti prescrittivi anche al puro decorso del tempo). Ciò comporta la previsione di una possibilità permanente di regolarizzazione del soggiorno in caso di:
(3a)
esistenza dei presupposti di legge all'atto della richiesta (anche se carenti
al momento dell'ingresso);
(3b)
protratta permanenza in territorio nazionale in assenza di reati o di altri comportamenti illegali pericolosi per la collettività. Questa previsione è resa necessaria dai caratteri della immigrazione, in cui margini di illegalità iniziale sono, come si è detto, fisiologici e diventano particolarmente acuti nelle situazioni in cui le possibilità di ingresso legale sono ridotte al minimo; è peraltro evidente che la sua sfera di effettiva applicazione sarà pi o meno estesa a seconda della efficacia delle politiche prescelte e degli strumenti adottati per garantirne l'osservanza. Ciò, oltre ad evitare il ricorso periodico a leggi di sanatoria, consentirebbe di non far pagare l'eventuale fallimento delle politiche in materia soltanto agli immigrati.
Un ulteriore vantaggio di questa disciplina sarebbe dato dalla riduzione delle spinte all'illegalità determinate dal forzato protrarsi nel tempo delle situazioni di irregolarità.
4. Il possesso di valido titolo di soggiorno (temporaneo o definitivo) deve comportare il diritto di libera circolazione all'estero, con conseguente possibilità di uscita dall'Italia e successivo rientro senza necessità del cd "visto di reingresso".

3. RESPINGIMENTO ALLA FRONTIERA E ALLONTANAMENTO
Ogni politica di governo della immigrazione deve prevedere strumenti idonei a contenere in limiti fisiologici di ingressi clandestini e ad allontanare dal territorio dello Stato chi vi soggiorni illecitamente ovvero commetta gravi reati. Ciò peraltro può funzionare solo se costituisce un aspetto residuale della politica dell'immigrazione e se incontra la collaborazione (sia nel contenimento degli ingressi sia nel rimpatrio) dei paesi di provenienza. Usare espulsioni e allontanamenti come strumenti ordinari di governo del fenomeno migratorio (e non delle sue patologie) significa andare incontro ad un sicuro fallimento. Allo stesso modo l'idea che prevedere tante ipotesi di espulsione valga a ridurre il numero dei clandestini o degli irregolari (ancorch emotivamente tranquillizzante) è del tutto infondata. E' vero esattamente il contrario: solo limitando drasticamente la misura a pochi casi, gravi e ben definiti, è possibile darle effettività creando un rapporto accettabile tra espulsioni decretate ed espulsioni eseguite; in caso contrario, come risulta dall'esperienza di questi anni, il meccanismo espulsivo è nei fatti inattuabili (sia per i costi che per le risorse necessarie) in maniera razionale con la conseguenza che gli allontanamenti avvengono in maniera casuale e perlopi nei confronti di chi è meno abile (e pericoloso).
1.
Il primo strumento di intervento, preventivo e dunque pi efficace e meno doloroso, è il cd respingimento alla frontiera di chi non è in possesso di documentazione valida per l'ingresso (comprensiva del visto, quanto richiesto). Al riguardo non v'è che da sottolineare la necessità: (1a) che le condizioni legittimanti l'ingresso siano rigorosamente stabilite per legge e non rimesse in parte significativa alla discrezionalità degli uffici di frontiera;
(1b)
che il respingimento avvenga, ove richiesto, con atto scritto e motivato (al fine di evitare abusi e di consentire all'interessato di presentare ricorso, pur se si tratta di ipotesi assai remota date le difficoltà e la scarsa utilità pratica).
2. L'allontanamento dal territorio dello Stato non esige di necessità una esecuzione coatta. Ove lo straniero privo di titolo di soggiorno (ab initio o per cause sopravvenute) sia compiutamente identificato e non sussistano ragioni di ordine pubblico ostative va prevista la previa notifica di una ingiunzione a lasciare l'Italia. Tale procedura (analoga, sia detto per inciso, a quella prevista dall'art. 656 comma 2 cpp persino per l'esecuzione delle pene detentive brevi), oltre ad essere pi civile e meno costosa, consente: (2a) la possibilità di dimostrare l'eventuale esistenza di un titolo di soggiorno o di chiederne il rilascio ove ne sussistano i presupposti in precedenza indicati; (2b) la possibilità, per chi vi ottemperi spontaneamente, di ottenere senza preclusioni temporali nuovo visto di ingresso (ipotesi per nulla scolastica soprattutto nel caso di ingresso per ricerca lavoro e per visita a familiari). 3. Requisiti fondamentali di ogni disciplina della espulsione devono essere la semplicità e la chiarezza, finalizzate a consentire l'agevole comprensione e la uniforme interpretazione. In questa ottica i tipi di espulsione (salvo ipotesi rilevanti ma quantitativamente marginali, come quella a richiesta dell'interessato sottoposto a pena o misura cautelare ovvero quella "per imperiosi motivi di sicurezza nazionale" di cui all'art. 13 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato dall'Italia con legge 25 ottobre 1977 n. 881) sono riducibili a due:
a)
quella amministrativa, conseguente a gravi irregolarità nell'ingresso e nel soggiorno e a inottemperanza della ingiunzione a lasciare lo Stato; b) quella giudiziaria, conseguente a condanna per gravi delitti (da costruire come misura di sicurezza al fine di consentire l'esame in concreto e non presunto della pericolosità). Razionalità ed equità impongono di:
(3a) evitare sovrapposizioni tra diversi tipi di espulsione;
(3b)
limitarne l'adozione ai casi di violazioni (amministrative o penali) di particolare gravità ricorrendo negli altri casi a sanzioni analoghe a quelle riservate ai cittadini;
(3c) prevedere che il divieto di rientro conseguente a espulsione sia temporaneo o permanente a seconda della gravità dell'illecito.
4. LE CATEGORIE PROTETTE
Ragioni umanitarie (sancite dalla normativa internazionale) e di equità inducono ad accordare una tutela particolare, anche in presenza di situazioni legittimanti l'espulsione, ad alcune categorie di stranieri presenti sul territorio nazionale.
1. Devono considerarsi "categorie protette", insuscettibili di espulsione se non nel caso di gravi ragioni di ordine pubblico, sviluppando le indicazioni già contenute nell'art. 7 sexies comma 9 dl n. 489/1995, gli stranieri che:
(1a) hanno ottenuto asilo politico o umanitario (o hanno in corso la relativa procedura);
(1b)
sono in possesso di carta si soggiorno a tempo indeterminato o comunque regolarmente residenti da pi di cinque anni;
(1c) convivono con parenti entro il quarto grado o con il coniuge cittadini italiani ovvero sono genitori di minore cittadino italiano anche non convivente;
(1d)
versano in condizioni di salute che esigono cure specialistiche particolari (a cui è assimilata la gravidanza e almeno un anno successivo al parto);
(1e)
i minori degli anni 18 (per i quali cfr. il successivo punto 2).

2.
Una considerazione del tutto particolare, in termini di protezione, deve essere riservata ai minorenni (e non soltanto agli infrasedicenni come previsto in gran parte dei progetti di riforma e nei recenti decreti legge), in attuazione delle numerose convenzioni internazionali che attribuiscono loro una sorta di cittadinanza universale, con conseguente obbligo per il paese ospitante di garantire la fruizione dei diritti fondamentali. Ciò comporta non solo il divieto di procedere alla loro espulsione, al pari delle altre categorie protette, ma anche specifici obblighi in positivo dello Stato.
In particolare va previsto per i minorenni comunque presenti in territorio italiano:
(2a)
il rilascio di una carta di soggiorno valido sino alla maggiore età (con possibilità di una sua conversione al compimento del diciottesimo anno, secondo le modalità indicate supra, n. 2);
(2b)
l'accesso all'assistenza sanitaria e all'istruzione obbligatoria in condizioni di parità con i coetanei italiani; (2c) l'intervento di tutela, in caso di assenza dei genitori, dei servizi assistenziali degli enti locali anche per valutare l'utilità educativa del ricongiungimento con genitori o parenti nel paese d'origine.
5. LA STABILIZZAZIONE E I DIRITTI

L'esperienza italiana degli ultimi anni ha evidenziato che l'aliquota degli immigrati regolari (o regolarizzati con la sanatoria di cui all'art. 9 legge n. 416/1989) incorsi in reati o costretti in condizioni di assoluta marginalità è estremamente limitata, a differenza di quanto accade per irregolari e clandestini. Di qui un potente incentivo a politiche tese a favorirne l'inserimento sociale e la stabilizzazione. I costi economici (pur rilevanti) di queste politiche costituiscono investimenti necessari per la società del futuro.
L'impegno economico deve accompagnarsi ad un analogo impegno culturale per realizzare sin d'ora una società multietnica fondata sull'eguaglianza e sulla parità di diritti (con esclusione di un diritto speciale dello straniero).
1. Il perseguimento della stabilizzazione e del positivo inserimento sociale dello straniero richiede:
(1a) l'affidamento di un ruolo di primo piano nel governo della immigrazione agli enti locali fin dalla fase del primo ingresso con attribuzione di una specifica competenza, supportata da corrispondenti risorse finanziarie, per l'istituzione di servizi di prima accoglienza e orientamento idonei ad agevolare l'ambientamento e l'informazione dello straniero;
(1b)
il trasferimento agli enti delle competenze in materia di rilascio della carta di soggiorno, quantomeno a partire dal primo rinnovo;
(1c)
il riconoscimento del diritto alla residenza (presidiato da idonei strumenti per renderlo effettivo) in caso di possesso di valido titolo di soggiorno, temporaneo o definitivo;
(1d) una modifica della disciplina della cittadinanza tesa ad agevolarne l'acquisizione.
2. Il riconoscimento dello straniero come soggetto di diritti comporta il suo accesso paritario alle prestazioni dello Stato sociale e l'erogazione di queste con modalità utili ai fini di una completa integrazione (a cominciare dall'inserimento di operatori extracomunitari negli uffici o servizi pubblici). Condizione per tale accesso è il possesso di valido titolo di soggiorno (non richiesto per le prestazioni sanitarie necessarie, che devono essere assicurate a tutti sia per ragioni umanitarie che per garanzia dell'incolumità pubblica).
3.
Ulteriore portato di questa impostazione è il godimento da parte dello straniero immigrato dei diritti civili indipendentemente dalla esistenza di condizioni di reciprocità (la cui ragion d'essere viene meno di fronte alla dimora stabile sul territorio nazionale ed alla profonda differenza degli ordinamenti giuridici nazionali).
4.
Complementare a quanto enunciato nei punti precedenti è la previsione della partecipazione degli stranieri regolari alla gestione della comunità locale, anche con riconoscimento dell'elettorato attivo e passivo in sede amministrativa. Ciò è compatibile con l'assetto costituzionale (posto che l'art. 48 Cost. prevede che tutti i cittadini sono elettori ma non che essi soltanto possono esserlo) e conforme a quanto previsto per i cittadini dell'Unione europea residenti in Italia dall'art. 11 legge 6 febbraio 1996 n. 52 (che ha recepito la direttiva 94/80/CE del Consiglio europeo).
5. Vanno infine assicurate allo straniero adeguate garanzie di tutela giurisdizionale e di difesa anche nei profili specifici della loro condizione. In particolare:
(5a) lo straniero che si trova (o assume di trovarsi) legalmente nel territorio dello Stato "deve avere la possibilità di far valere le proprie ragioni contro la sua espulsione sottoponendo il proprio caso all'esame dell'autorità competente" (art. 13 Patto citato); (5b) tale controllo va potenziato, esteso al merito e preferibilmente attribuito, anzich al giudice amministrativo, a quello ordinario (con procedimento simile alla opposizione contro l'ordinanza applicativa di sanzioni amministrative prevista dalla legge n. 689/1981); (5c) va assicurata, nel processo penale l'effettività della difesa con possibilità di accesso al patrocinio a spese dello Stato e previsione di traduzione degli atti fondamentali del processo in lingua comprensibile all'interessato. dicembre 1996
Associazione studi giuridici immigrazione
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Magistratura democratica

25 03 2003
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