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Giudici a Sud n.3/2008

Napoli "di più nel bene e nel male": si sono sempre consolati così. Ma oggi "di più" solo nel male.
E allora hanno smesso di consolarsi e si portano dentro lo scrupolo di aver guardato con bonaria assuefazione e di avere assecondato questa anomalia napoletana, di essersene addirittura sentiti partecipi, come chi guarda con affettuosa protezione il fratello più piccolo, quello scapestrato, e lo rimprovera con l'indulgenza dovuta a chi usa la fantasia; perchè in fondo rappresenta il segno tangibile che quelle gocce di trasgressione, che ciascuno ogni tanto sente rinfrescargli l'anima, hanno un ceppo comune, un'origine, un nucleo, che si è scisso in diverse genie, in rivoli
e fiumi, che però, per valli boscose o per fogne e pantani, sempre finiscono nel medesimo mare.
E oggi non si perdonano la superficialità di quella indulgenza che non ha permesso di capire per tempo la deriva dell'anima napoletana e della sua filosofia, la scorza, la capacità animale di sopravvivere a tutto, la malattia
che diviene normalità e sfugge al tempo, ai cambiamenti, alle batoste della storia, alla paura per il destino dei figli.
Quei figli, precari sulla loro terra, prima ancora che nel lavoro, quei figli che andranno via come emigranti; ai quali daranno la benedizione con la morte nel cuore e la speranza che radici meno profonde permettano loro di
partire con la pace nell'anima. E detestano chi ancora la presenta come valore, quella vitalità animale, come destino e simpatia di un popolo
speciale, illuso che prima o poi digerirà anche la sua storia la sua ignoranza e l'autocompiacimento plebeo del suo riuscire a cavasela sempre, e potrà convertire con la sua genialità la furbizia in ingegno, l'arte di arrangiarsi in
operosità, l'individualismo improduttivo in crescita sociale, la violenza in tensione morale.
Fine della convivenza: è questo oggi il sentimento di tante persone oneste del sud che vivono perplesse, disincantate o depresse l'illegalità di questo territorio. Simile a quello di molti magistrati, che vivono preoccupati
l'impotenza del loro lavoro, perchè qui la giustizia non è diversa dal resto, con cifre spaventose (oltre 265.000 notizie di reato nel 2007) ed impegno durissimo in perenne prima linea.
Gli articoli che pubblichiamo in questo numero diranno della situazione  iudiziaria napoletana; nella quale può scapparci l'errore, ma dove si possono quotidianamente registrare punte di autentica eccellenza, in processi trattati
con approfondimento, scrupolo e grandi qualità professionali. I rimedi, anche per la questione della giustizia, sono ovviamente collegati al riordino della vita sociale e a tutto ciò che predichiamo nel deserto, da decenni, sulla riforma dei codici e della organizzazione giudiziaria. Su quest'ultima, però, la riflessione deve finalmente farsi meno generica e concentrarsi sulle palesi assurdità del sistema, partendo, quale che sia il programma, da un dato
semplice semplice: le energie del magistrato devono essere tutte concentrate sulla decisioni da prendere, perchè dovunque egli mette le mani c'è in ballo un fondamentale diritto del cittadino da tutelare (libertà, salute, lavoro, affetti, beni materiali). Ed arrivando ad un punto altrettanto semplice: tutto ciò che nell'organizzazione giudiziaria distoglie le energie da questo fine deve semplicemente essere eliminato.
Disboscamento e bonifica dai riti della burocrazia giudiziaria, ma anche dal sovrappiù di dispersione, ridondanza narcisistica, profluvio di parole e carte che spesso mettiamo nel nostro approccio alla giurisdizione; la quale
resta, in fondo, un difficile ed alto lavoro di sintesi, che riduce la naturale complessità delle azioni umane ad una semplicità che possa essere capita e condivisa dalla comunità.


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