"Se le banche falliscono i banchieri vanno a casa. O in galera". Dopo l'alt intimato alla norma salva-manager, Giulio Tremonti, il ministro più acuminato della compagine governativa, ribatte il chiodo: se la crisi finanziaria metterà in luce "anche" responsabilità penali queste andranno accertate e sanzionate. Qualche giorno prima era stato un altro ministro, Altiero Mattioli, ad invocare il codice penale di fronte alla scelta di una minoranza di dipendenti Alitalia di paralizzare i voli della compagnia con scioperi al di fuori delle regole.
Sta cambiando qualcosa nella cultura della destra che governa?
Al pari di quanto era avvenuto nel quinquennio 2001-2006, i partiti della maggioranza di governo hanno esibito, nei primi sei mesi della legislatura, una concezione monocorde della "sicurezza", interpretandola solo come azione di contrasto alla criminalità di strada ed offrendo ai cittadini l'immagine - assai più che la realtà - di strade illuminate e di città ripulite da borseggiatori, scippatori, irregolari di ogni tipo.
Ed è su questa unilaterale idea di sicurezza che si sono progressivamente modellate quasi tutte le innovazioni del diritto e del processo penale. Dalla dilatazione dei giudizi direttissimi alla previsione di tempi di prescrizione dei reati più lunghi per le diverse categorie di recidivi; sino all'escogitazione di norme penali "regionali" per sanzionare l'abbandono, sulle strade della "sola" Campania, di rifiuti ingombranti.
Intendiamoci: i reati di strada sono certamente insidiosi, odiosi, allarmanti, meritevoli della massima attenzione. Ma non sono le uniche minacce alla sicurezza dei cittadini. Almeno se si accetta una idea moderna di sicurezza, che include in sé una pluralità di interessi da tutelare e deve essere declinata anche come sicurezza del risparmiatore, dell'utente di servizi pubblici e privati essenziali, del consumatore.....
Oggi la crisi dell'economia finanziaria e reale ed i conflitti che ne scaturiscono stanno mettendo impietosamente a nudo i limiti di questa concezione solo "stradale" della sicurezza. E, parallelamente , rivelano la realtà di un processo penale farraginoso ed impotente a sanzionare in tempi accettabili i reati che richiedono accertamenti più complessi e sofisticati.
Se alle dichiarazioni ed alle invocazioni si vorranno far seguire i fatti occorrerà cambiare cultura. Rinunciando a proseguire sulla strada dei decreti legge a ripetizione e del diritto penale "su misura" per singole persone, evenienze od emergenze e ponendo mano - finalmente ! - ad una "politica" della ragionevole durata del processo penale, sino ad ora neppure avviata dai diversi governi che si sono succeduti alla guida del paese.
Una politica fatta di più tasselli, nessuno di per sé risolutivo, ma tutti necessari a comporre un nuovo disegno: la scelta di conferire centralità al giudizio di primo grado, semplificando i giudizi di appello e di cassazione; l'eliminazione degli effetti più nefasti delle leggi penali di favore che hanno privato di razionalità l'impianto del processo penale; l'immissione di informatica e telematica nell'organizzazione giudiziaria per risparmiare tempo e denaro; la riqualificazione professionale del personale amministrativo della giustizia, divenuto la cenerentola dell'amministrazione statale.
A Tremonti che riscopre il diritto penale, dovrà rispondere, con proposte ed iniziative all'altezza dei problemi, il ministro della giustizia Alfano.
Egli si è guadagnato gli applausi dei civilisti promettendo di disboscare la selva dei riti civili e di restituire al processo civile la razionalità e la dignità smarrite. E' troppo chiedergli di seguire la stessa rotta anche nelle acque agitate del diritto penale, avendo come stella polare l'obiettivo costituzionale della ragionevole durata del processo?
Nello Rossi