Nel giro di poche settimane il tormentato scenario delle riforme della giustizia penale ha vissuto una rapidissima accelerazione, di cui questo giornale ha dato ampie e precise informazioni. In ordine di tempo, l'approvazione da parte de Senato del così detto pacchetto sicurezza (parzialmente trasfuso in un decreto legge varato dal Governo il 20febbraio), fondamentalmente ispirato da due idee guida: generalizzato aumento delle pene detentive e ricorso obbligatorio alla custodia cautelare in carcere, con conseguente divieto di concedere la libertà per i reati che destano maggiore allarme sociale. Non c'è voluta grande fantasia: si tratta di strumenti già ampiamente sperimentati dal codice Rocco del 1930.
Ma torniamo ai primi del mese: il 6febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge in tema di modifiche al processo penale, ricco di ben 36 fittissimi articoli, di cui non è facile cogliere il filo conduttore. Si può comunque rilevare che gli obiettivi di semplificazione e accelerazione della giustizia penale, di cui tanto si era parlato a gennaio nelle cerimonie inaugurali dell'anno giudiziario, non sono al centro delle preoccupazioni del governo Punto di forza è piuttosto lo svuotamento dei poteri del pubblico ministero, a cui viene precluso di acquisire di sua iniziativa notizie di reato e di svolgere autonome investigazioni: anche qui un sostanziale ritorno al codice Rocco del 1930, quando il pubblico ministero si muoveva solo sulla base del ‘rapporto" di polizia, che dava la prima e fondamentale impostazione al processo, conforme alle direttive del governo.
Durante tutto il mese è poi proseguito il dibattito parlamentare, prima in commissione giustizia e poi in aula, sulla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche. Se ne è parlato molto e molte sono state le proteste, soprattutto in relazione atre punti fondamentali: la possibilità di disporre le intercettazioni solo se sussistono gravi indizi di colpevolezza a carico di persone già individuate, mentre notoriamente le intercettazioni servono per scoprire gli autori di un reato non ancora noti; gli assurdi brevissimi limiti di durata delle intercettazioni, stabiliti rigidamente per legge, senza tenere conto delle peculiari esigenze investigative dei singoli casi; il divieto di pubblicare sino al dibattimento qualsiasi notizia sul contenuto delle indagini, così calpestando, con il pretesto di tutelare il sacrosanto diritto alla riservatezza dei terzi ‘innocenti" estranei al processo, il diritto costituzionale informare e di essere informati su qualsiasi vicenda giudiziaria.
Ebbene se mettiamo insieme lo svuotamento dei poteri del pubblico ministero, la sostanziale vanificazione delle intercettazioni e l'eliminazione del diritto di cronaca giudiziaria, il gran polverone sollevato da questa raffica di riforme incomincia a diradarsi e si intravede il reale obiettivo delle iniziative in corso. Ciò che si vuole colpire è la libertà del pubblico ministero di svolgere indagini senza essere condizionato dall'imbeccata e dal controllo del governo: poiché la polizia giudiziaria dipende dai ministeri (interno, difesa, economia) cui appartengono le sue varie articolazioni (polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza), il pubblico ministero sarà messo in condizioni di esercitare l'azione penale solo quando riceverà, corredata dalle relative indagini, la notizia del reato dalla polizia, cioè con il beneplacito 1e1 governo.
Si comprende allora anche l'accanimento con cui la maggioranza manda avanti il disegno di legge che renderà del tutto inutili le intercettazioni: si tratta infatti di uno strumento investigativo che sfugge al controllo preventivo della polizia giudiziaria, e grazie al quale potrebbero rimanere coinvolti esponenti del ceto politico dominante o persone comunque "meritevoli" di protezione.
In un colpo solo, senza toccare neppure una virgola della Costituzione vigente, sono vanificati i principi costituzionali dell'indipendenza del pubblico ministero (e di riflesso della magistratura giudicante) dal potere politico e dell'obbligo di esercitare l'azione penale nei confronti di chiunque. Che sia questo il fine ultimo delle apparentemente confuse riforme della giustizia penale che stanno impegnando quotidianamente Governo e Parlamento?