- La protezione giurisdizionale dei diritti fondamentali fissati nella Carta: un passaggio obbligato per la Convenzione
L’inserimento delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali nel futuro Trattato costituzionale dell’Unione europea ha, di per s, un grande significato e nessuno, dopo la Conferenza Intergovernativa del 2000 e la decisione del Consiglio europeo di Nizza di “proclamare” la stessa, senza dare alle sue disposizioni la “forza” di norma giuridica vincolante, si potreva aspettare che tale proposta emergesse univocamente sin dai primi passi dei lavori della Convenzione.
E’ però chiaro che tale inserimento a livello costituzionale rappresenterà un “valore aggiuntivo” per i cittadini dell’Unione solo se attraverso questa operazione migliorerà ed aumenterà il livello di tutela effettiva dei loro diritti. Non è infatti moltiplicando i cataloghi e le carte dei diritti che si attua necessariamente una loro migliore protezione i e si riesce ad evitare il loro “linguaggio” resti ambiguo, poco rigoroso ed usato retoricamente come è avvenuto per altre “carte” redatte in sede internazionale ii .Una tutela appropriata dei diritti affermati dalla Carta dipenderà perciò, in primo luogo, dall’effettività, dall’accessibilità e dalla corenza dei rimedi che verranno apprestati in caso di loro violazione da parte dei pubblici poteri, nazionali o comunitari, oltre che dalla efficacia delle politiche messe in opera per i diritti che necessitano di attuazione da parte delle autorità politiche ed amministrative (essenzialmente, ma non solo, la maggior parte dei diritti sociali e di quelli terza e di quarta generazione). Senza rimedi giurisdizionali effettivi, e senza una politica dei diritti iii , un nuovo catalogo rischia di restare poco pi che una operazione di soft law, e pur potendo avere la funzione, non trascurabile, di orientare l’interprete, non accrescerà in misura rilevante la posizione del singolo cittadino di fronte al potere, sia esso comunitario o statale.
E’ dunque essenziale che nel nuovo Trattato, oltre all’inserimento della Carta nel corpo del diritto primario dell’Unione, sia previsto un sistema di tutela giurisdizionale non contraddittorio, facilmente accessibile al cittadino, affidato a giudici imparziali e preventivamente individuabili quanto a giurisdizione e competenza. Ciò è stato chiaro sin dagli albori della discussione sul “processo costituente” europeo, quando il Rapporto del Gruppo di esperti in materia di diritti fondamentali incaricato dalla Commissione iv affermava che “… non è sufficiente, tuttavia, una chiara definizione dei diritti fondamentali. Affinch essi abbiano un qualche impatto nella realtà, coloro che cercano di farli valere nell’ambito dell’Unione europea, devono sapere a chi di preciso tali diritti si applicano e se sia possibile farli valere per le vie legali. L’efficace salvaguardia dei diritti fondamentali presuppone, di norma, la protezione giudiziaria di essi.”
Tale sistema non potrà non essere affidato, in linea di principio e come già oggi avviene per il diritto comunitario, innazitutto ai giudici nazionali, che si pronunceranno secondo le norme di procedura previste nei diversi ordinamenti, prevedendosi altresì nel contempo l’esistenza di una unica Corte con funzione regolatrice (nomofilattica, se così vogliamo dire) che riporti a tendenziale uniformità l’interpretazione del diritto comunitario derivato, ne verifichi la legittimità (costituzionale) rispetto al diritto comunitario fondamentale, giudichi dei conflitti di attribuzione tra le diverse istituzioni. In altre parole, non potrà non esserci una Corte di giustizia europea, come oggi la conosciamo, le cui attuali funzioni e competenze dovranno essere giocoforza ampliate, e non certo diminuite, e ciò secondo una prospettiva che emerge con chiarezza dalle Conclusioni dei diversi Gruppi di lavoro della Convenzione, nelle quali numerose sono le ipotesi fatte per estendere la giurisdizione del giudice comunitario (Corte e Tribunale di primo grado) ad ambiti oggi esclusi o soggetti a limitazioni di vario genere, mentre nessuno si è sognato di proporre di togliere loro competenze.
Un sistema giurisdizionale a pi livelli, nazionale e comunitario, non esclude, anzi in qualche modo favorisce, il dialogo interpretativo tra i giudici, al di fuori di qualsiasi camicia di forza del tipo “stare decisis” , ma prevede altresì che vi sia un organo avente natura giurisdizionale le cui decisioni costituiscano “l’ultima parola” su una determinata questione; una “parola” criticabile, come è ovvio, ma pur sempre l’ultima. In caso contrario, qualora vi fosse una pluralità di corti regolatrici, le corti di merito nazionali si troverebbero in un sistema nel quale le “parole ultime” sarebbero pi d’una e dovrebbero affrontare il problema di una impasse interpretativa di difficile soluzione.
La presente nota ha il limitato fine di aprire una discussione sull’effettività dei rimedi di carattere giurisdizionale che si vanno delineando nei lavori della Convenzione, e non quella di prospettare necessariamente delle soluzioni. Si tratta quindi di un documento di lavoro e non di un saggio: per tale ragione, e per non appesantirne la lettura, si sono preferite note di chiusura anzich a piè di pagina. Come si vedrà, si tratta di un discorso in larga parte congetturale, fondato su ipotesi pi o meno plausibili, e proiettato in ogni caso in là nel tempo; della sua utilità chiunque è perciò autorizzato a dubitare; venga dunque preso come un esercizio il cui unico scopo è di evidenziare la ricaduta sui giudici “comuni” e sulla loro attività intepretativa delle soluzuioni che si vanno delinenando nella Convenzione.
Ai fini del discorso occorre partire da alcune premesse, qui brevemente indicate, sulle quali si chiede una sorta di stipulazione preliminare; esse sono:
- che le modalità di inserimento della Carta nel Trattato siano quelle indicate dalla Relazione finale del Gruppo di lavoro II (CONV 354/02) e cioè che la carta faccia parte a pieno titolo del futuro Trattato costituzionale;
- che venga adottato il testo delle c.d. clausole “orizzontali” della Carta proposto dallo stesso Gruppo II, disposizioni che costituscono ad un tempo norme sull’interpretazione del diritto comunitario e norme che delineano un sistema (ma forse non una gerarchia) delle fonti di livello materialmente costituzionale nel sistema che si va delineando v;
- che venga approvata dalla Convenzione in sede plenaria (e successivamente dalla Conferenza Intergovernativa - CIG) la proposta di inserire nel nuovo Trattato la c.d. “autorizzazione costituzionale” per la futura adesione dell’Unione alla CEDU, superando il noto parere contrario della Corte di giustizia n. 2/94 del 28 marzo 1996, e che venga in seguito negoziata e poi ratificata tale adesione, secondo forme simili, se non uguali, a quelle in vigore per l’adesione dei singoli Stati, specie per ciò che concerne la posizione del diritto comunitario nel sistema di tutela dei diritti individuali oggi garantito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, essenzialmente attraverso la possibilità dei ricorsi dei singoli contro gli Stati e, domani, contro l’Unione.
- che nel nuovo Trattato non cambi in modo significativo la competenza della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado (salve alcune eventuali modifiche, in particolare per ciò che riguarda i ricorsi individuali di cui all’art. 230, comma 4, TCE), e che naturalmente non cambino le competenze e il ruolo della CEDU di Strasburgo nel sistema, esterno a quello comunitario, suo proprio;
- che le politiche di cooperazione di polizia e giudiziaria, attualmente comprese nel terzo pilastro del diritto comunitario, vengano “comunitarizzate”, pur con le cautele suggerite dalla Relazione finale del Gruppo X (CONV 426/02), con la unificazione del sistema delle fonti derivate e dei relativi effetti con la conseguente estensione alla materia penale, sostanziale e processuale, dei principi della immediata efficacia e della prevalenza del diritto comunitario sui diritti nazionali dei Paesi membri vi.
- che la Costituzione italiana resti, al contrario, invariata, dando per scontato ciò che, al momento, scontato non è, e cioè che la riforma del Titolo V della Costituzione, e segnatamente dell’art. 117, primo comma, non abbia apportato alcuna modifica significativa sull’attuale regime di recepimento interno del diritto comunitario.
Prenderò poi in considerazione alcune altre condizioni, per così dire “esterne” al lavoro del Gruppo II, che sono le seguenti:
- Alcuni problemi aperti a Trattati invariati ed alcune tra le soluzioni prospettate
Oggi esistono indubbiamente delle lacune nella tutela effettiva dei diritti fondamentali a livello dell’Unione: in particolare vi sono materie sottratte sia alla cognizione dei giudici nazionali (non essendovi norme o decisioni nazionali che attuano il diritto comunitario), sia alla tutela giurisdizionale interna al sistema del diritto comunitario, sia alla stessa applicazione della tutela garantita dalla giurisdizione della Corte dei diritti dell’uomo.
In particolare si tratta:
- Degli effetti diretti del diritto comunitario sui diritti soggettivi dei singoli, dal momento che l’art. 230, quarto comma, TCE viene interpretato dalla Corte di giustizia in un senso molto restrittivo, in riferimento alla endiadi “direttamente ed individualmente” (v. da ultimo, v. causa Pequenos Agricultores – sentenza e conclusioni (diff.) avv. gen. Jacobs, cit. oltre) in ordine alla endiadi “direttamente ed individualmente” – Il Gruppo ha discusso il sistema vigente nell’Unione relativo alle vie di ricorso di cui dispongono le persone singole, in particolare alla luce del diritto fondamentale ad un’effettiva tutela giurisdizionale. Scartata (opportunamente) l’ipotesi di istituire una procedura speciale dinanzi alla Corte di giustizia ai fini della tutela dei diritti fondamentali, il Gruppo ha, in modo un po’ sibillino sottolineato “il grande vantaggio che i cittadini trarrebbero da un’eventuale incorporazione della Carta nella struttura del trattato costituzionale, dato che ciò consentirebbe loro di avvalersi del sistema di ricorsi vigente nell’Unione” , pur rilevando che tale sistema è effettivamente carente a causa della questione della necessità o meno di riformare le condizioni alle quali una persona fisica può adire direttamente il Tribunale e la Corte (articolo 230, quarto comma del TCE) al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva. Su questo punto, le discussioni in sede di Gruppo hanno evidenziato che vi può essere una certa carenza di tutela, data l’attuale condizione, stabilita dall’articolo 230, quarto comma del TCE, di persona interessata "direttamente" e "individualmente" e la relativa giurisprudenza interpretativa, nel caso specifico dei regolamenti comunitari direttamente applicabili, che impongono, ai singoli, divieti direttamente applicabili. D’altro canto, “… si è delineata nelle discussioni del Gruppo una tendenza ampiamente condivisa secondo la quale l’attuale sistema generale dei ricorsi e la "suddivisione del lavoro" tra giudici comunitari e giudici nazionali che esso comporta non dovrebbe essere radicalmente modificato da un’eventuale riforma dell’articolo 230, quarto comma del TCE. Alcuni membri hanno accennato all’eventualità di inserire nel trattato una disposizione sull’obbligo degli Stati membri, sancito dalla giurisprudenza recente vii, di prevedere rimedi effettivi per diritti derivanti dal diritto dell’Unione. In ogni caso, seppure certamente connessa ai diritti fondamentali, la questione di cui all’articolo 230, quarto comma del TCE va oltre la protezione di detti diritti, dal momento che la tutela giurisdizionale deve esistere per tutti i diritti soggettivi, e si pone indipendentemente dai quesiti concreti relativi all’incorporazione della Carta e all’adesione alla CEDU. Il Gruppo ritiene che detta questione e le relative implicazioni istituzionali vadano esaminate congiuntamente ad altri temi, quali i limiti della giurisdizione della Corte in materia di giustizia e affari interni viii o di controllo giurisdizionale della sussidiarietà. Il Gruppo si astiene pertanto dal formulare raccomandazioni concrete e auspica che la questione dell’eventuale riforma dell’articolo 230, quarto comma del TCE, unitamente ai validi contributi presentati in merito ix, sia ulteriormente esaminata dalla Convenzione in un contesto appropriato”.
La soluzione quindi, al momento, appare troppo fluida ed ambigua, non essendovi stata una chiara presa di posizione (che la Corte aveva, al contrario, sollecitato), verso una modifica del testo dell’art. 230 TCE.
- Vi è poi il controllo sugli atti e le decisioni delle varie Agenzie, comunitarie e dell’Unione e sugli atti di diritto derivato del c.d. “terzo pilastro” (cooperazione in materia di polizia e penale, sostanziale e processuale); Olaf, Europol, Eurojust; e in genere, l’attività direttamente posta in essere dagli organi comunitari senza bisogno di successivi atti di esecuzione, comunitari o nazionali; la materia è stata esaminata dal Gruppo X, spazio di libertà sicurezza e giustizia, dove la questione è evidentemente pi acuta; qui le soluzioni proposte dalla Relazione del Gruppo di lavoro X (Libertà, sicurezza e giustizia) appaiono senz’altro pi soddisfacenti x, prevedendo la abolizione delle attuali limitazioni sia al ricorso per annullamento che in ordine al rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali.
- Il Gruppo II, riguardo alla prospettata adesione dell’Unione alla CEDU, in conformità al parere della Corte di giustizia n. 2/94 del 28 marzo, secondo la quale, a Trattati invariati, tale adesione, non sarebbe possibile, ha concluso nel senso che, “fatta salva la decisione politica della plenaria e alle luce delle argomentazioni e conclusioni, ivi comprese alcune salvaguardie come illustrato in appresso, tutti i membri del gruppo sono fautori o sono disposti a considerare favorevolmente la creazione di un’abilitazione costituzionale per l’adesione dell’Unione alla CEDU”.
Le finalità di tale abilitazione costituzionale sono state individuate dal Gruppo in esigenze di natura politica ( “nel momento in cui l’Unione riafferma i propri valori attraverso la Carta, la sua adesione alla CEDU costituirebbe un segnale politico importante della coerenza fra l’Unione e la "grande Europa", rispecchiato nel Consiglio d’Europa e nel relativo sistema paneuropeo dei diritti umani“); nell’esigenza di rafforzare la tutela accordata ai cittadini dell’Unione (“l’adesione alla CEDU garantirebbe ai cittadini a livello dell’Unione un grado di protezione analogo a quello di cui beneficiano già nei singoli Stati membri. E' questa una questione di credibilità, in quanto gli Stati membri hanno trasferito sostanziali competenze all’Unione e l’adesione alla CEDU è diventata una condizione preliminare all’adesione di nuovi Stati all’Unione”); infine, per una migliore coerenza del sistema di protezione dei diritti fondamentali nello spazio giuridico europeo che si andrà a consolidare (“l’adesione costituirebbe lo strumento ideale per assicurare uno sviluppo armonioso della giurisprudenza delle due Corti europee competenti in materia di diritti umani; per alcuni membri, questa argomentazione assume maggiore rilevanza se considerata nell’ottica di un’eventuale incorporazione della Carta nei trattati. E' necessario al riguardo sottolineare i problemi posti dalla mancata partecipazione dell’Unione alla giurisdizione di Strasburgo, per cui l’Unione non ha la possibilità, laddove la Corte di Strasburgo sia chiamata a pronunciarsi indirettamente sul diritto comunitario, di difendersi dinanzi alla Corte o di disporre di un giudice presso la Corte che sia esperto in materia di diritto dell’Unione”).
- Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze.
- 2. La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, n modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati.
- "Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione da altre parti del [presente trattato/trattato costituzionale]."
- "La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, n introduce competenze nuove o compiti nuovi per [la Comunità o per] l’Unione, n modifica le competenze e i compiti definiti dagli altri [capitoli/dalle altre parti] del [presente trattato/trattato costituzionale]."
- Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e liberta. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
- I diritti riconosciuti dalla presente Carta che trovano fondamento nei trattati comunitari o nel trattato sull’Unione europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati stessi.
- Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione pi estesa.
Si tratta indubbiamente di motivazioni ampiamente condivisibili, sulla terza delle quali sia però consentito nutrire qualche dubbio riguardo alla idoneità dello strumento individuato dal Gruppo.
Si dubita, in particolare, della “coerenza” di un sistema di tutela che, una volta avvenuta l’adesione alla CEDU, verrebbe affidato a due Corti distinte, che si trovano al vertice dei rispettivi sistemi di tutela e quindi non sono in posizione di dipendenza funzionale l’una con l’altra, e che già hanno avuto, entrambe e rebus sic stantibus, qualche problema di coordinamento con le Corti nazionali in posizione apicale, siano esse Corti di legittimità o Corti costituzionali. In una situazione che presenta già vari margini di incertezza e di potenziale contrasto, la possibilità di adire direttamente la Corte dei diritti per violazioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo da parte degli organi dell’Unione rischia di complicare ulteriormente un quadro già oggi molto complesso.Se si guarda alle decisioni delle due Corti, non si può non rilevare che, se vi sono linee interpretative condivise, vi sono anche stati casi di incoerenza e di discontinuità, compresa qualche interferenza da parte della Corte di Strasburgo sul diritto comunitario, uno fra tutti il celebre caso Mattews, che non costituisce del resto un episodio del tutto isolato, essendo ormai numerosi i casi nei quali la Corte dei diritti deve necessariamente esaminare casi nazionali che costituiscono attuazione interna del diritto comunitario derivato.
Una volta inserita la Carta dei diritti fondamentali nel nuovo Trattato, tali interferenze non potranno che aumentare; a quel punto le due Corti si troverebbero a giudicare utilizzando parametri di legittimità diversi ma in parte coincidenti fra loro, il che non può che alzare il rischio di avere pronunce differenti in questioni di rilevante importanza, ad esempio, riguardo al criterio della maggior protezione in concreto accordata, ad una determinata posizione individuale, dalla Carta e dalla CEDU, il tutto con l’inevitabile mediazione del diritto nazionale come interpretato dai giudici interni, essendo entrambi i sistemi fondati sul criterio della sussidiarietà.
Se il sistema giurisdizionale di protezione non viene preventivamente organizzato in maniera razionale, ciò può avere effetti negativi in materie estremamente sensibili, quali la riservatezza e la tutela della sfera personale (che già oggi è uno dei campi pi problematici della giurisprudenza di strasburgo: ad es.: affidamento minori ed adozione, intercettazioni ambientali e uso di immagini colte “a caso”), e un domani la bioetica, la famiglia, l’educazione, il rispetto delle opinioni individuali in campo religioso e filosofico; e in futuro anche in materia penale - specie se verranno ulteriormente ampliate le competenze comunitarie già oggi esistenti nel primo (contrasto alle frodi, art. 280 TCE) e nel terzo pilastro (cooperazione giudiziaria e di polizia), dove la necessità di interpretazioni omogenee dei diritti fondamentali è pi stringente.
Se due diverse giurisdizioni si troveranno ad applicare due dichiarazioni di diritti fondamentali simili ma non identiche, si creeranno le premesse per pronunce anche apertamente contraddittorie, con la delegittimazione dei due sistemi di protezione e degli stessi sistemi costituzionali nazionali. E’ infatti chiaro che solo una minima parte delle decisioni che vengono prese dai giudici nazionali andranno, in concreto, all’esame di una, o di entrambe, le Corti, e che quindi i giudici nazionali saranno tentati di compiere una sorta di operazione di law shopping, andando di volta in volta a cercare il precedente, di Strasburgo, di Lussemburgo o della Corte regolatrice nazionale, che pi riterranno attinente al caso in esame; ciò comporterà un ulteriore potere di fatto in capo ai giudici ed una delegittimazione del sistema rappresentativo.
Le interferenze, già esistenti, tra la giurisdizione di Lussemburgo e quella di Strasburgo sarebbero quindi destinate ad aumentare, non tanto sotto il profilo quantitativo, ma soprattutto qualitativo; il diritto comunitario derivato come attuato nei diritti nazionali e come interpretato dai giudici nazionali e comunitari (sentenza Cantoni c. Francia del 1996) è già pienamente soggetto alla cognizione del giudice di Strasburgo; l’adesione della Unione darebbe al sistema di protezione della CEDU una ulteriore spinta che non sembra essere n necessaria n opportuna.
Si consideri infine che, stante le diverse modalità con le quali si possono adire le due Corti oggi esistenti, una eventuale adesione dell’Unione alla CEDU verrà inevitabilmente a porre la Corte di Strasburgo in una posizione superiore rispetto a quella di Lussemburgo, se non altro perch la prima può essere investita della decisione solo una volta esaurite le vie di ricorso interne, compreso il rinvio pregiudiziale al giudice dell’Unione, come prescrive l’art. 35 CEDU.
A quel punto la decisione assunta dalla Corte dei diritti direttamente sul diritto comunitario potrà, come spesso effettivamente avverrà, essere preceduta da una pronuncia della Corte di giustizia, la quale in seguito dovrebbe (art. 46 CEDU) adeguare la sua successiva giurisprudenza sul punto deciso; così come dovranno adeguarsi Commissione, Consiglio e Parlamento. Ciò dovrà inevitabilmente portare ad una revisione dello stesso sistema delle fonti comunitarie oggi esistente, secondo il quale le sentenze della Corte di giustizia sono esse stesse vincolanti; e una tale perdita di valore della giurisprudenza comunitaria dovrebbe essere attentamente e preventivamente valutata dalla Convenzione nella sua proposta di Trattato costituzionale.Va infine considerato che, per il giudice nazionale chiamato a fare applicazione del diritto comunitario, prevalente su quello del suo Paese, si può profilare il rischio di un diritto “troppo complesso” e difficile da conoscere, anche sotto il semplice profilo dell’accesso alle fonti sopranazionali.
Senza contare che i tempi del giudizio, visto il numero enorme dei ricorsi pendenti a Strasburgo, e il prevedibile maggior lavoro di quello di Lussemburgo, rischiano di dilatarsi ulteriormente.i In questo senso si è espresso G. Zagrebelsky, nel corso del Seminario organizzato dalla Luiss su “Corti europee e corti nazionali”, il 12 gennaio 2001; il testo è disponibile sul sito dell’Università, in forma di resoconto redatto da R Calvano e M. Corrado
ii Bobbio, L’età dei diritti, Torino, 1990
iii Sulla necessità di una politica dei diritti fondamentali e sulla insufficienza del (solo) rimedio giurisdizionale insistono, autorevolmente, P. Alston e J.H.H. Weiler nel saggio “An ever closer Union in Need of a Human Rights Policy: The European Union and Human Rights, apparso tra gli altri su European Journal of International Law, vol. 9, 1998, n. 4.
iv Noto come “Gruppo Simitis” dal nome del suo Presidente; per l’Italia ne ha fatto parte il prof. A. Pizzorusso; il Rapporto è del febbraio 1999; si riporta la parte del rapporto riguardante la Corte di giustizia: “Ruolo della Corte di Giustizia europea - Relazioni con la Corte europea dei diritti dell’uomo: La ricerca di disposizioni che definiscano esplicitamente i diritti fondamentali non deve far dimenticare il ruolo della Corte di Giustizia europea. E' stata la Corte che ha integrato per prima la Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel diritto comunitario ed è sempre la Corte che, qualsivoglia sia il mezzo prescelto per proclamare ed affermare i diritti fondamentali, eserciterà un’influenza decisiva sulla loro interpretazione e sulla loro applicazione futura.
Il rispetto dei diritti fondamentali nell’Unione europea presuppone imperativamente che essi siano fissati per iscritto, affinch il cittadino possa prenderne atto. In ultima istanza, tuttavia, saranno le sentenze della Corte di Giustizia europea che daranno vita al diritto vivente. Le norme che delineano la sua giurisdizione sono attualmente frammentarie e talvolta confuse, il che può costituire un ostacolo al pieno adempimento delle sue funzioni. Tuttavia, ogni proposito di ampliare le sue competenze dovrà tener conto delle sue relazioni con la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Nel riflettere su tale aspetto, non bisogna trascurare il contesto nel quale la Corte di Giustizia europea pronuncia le sue sentenze, contesto definito dal Trattati UE e CE. Su tale base, la Corte di Giustizia europea ha consolidato, gradualmente, la tutela dei diritti fondamentali. Pertanto, solo la piena consapevolezza delle aspettative e delle esigenze espresse dai Trattati consentirà di garantire al meglio la protezione coerente ed efficace dei diritti.
Inoltre, quanto pi l’Unione subisce cambiamenti strutturali profondi, che sottolineano l’importanza del suo impegno a favore dei diritti fondamentali, tanto pi evidente sarà la necessità di assicurare una tutela di tali diritti, coerente con i principi e le aspirazioni dell’Unione. L’impatto crescente del secondo e del terzo "pilastro" e l’esempio di Europol indicano chiaramente quanto sia cruciale il ruolo svolto dalla Corte di Giustizia europea.
Pertanto, le competenze della Corte di Giustizia europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo dovrebbero restare chiaramente indipendenti. Come in passato, spetta alla Corte di Giustizia europea valutare attentamente le decisioni della Corte dei diritti dell’uomo e integrarle nella legislazione dell’Unione europea; tale pratica acquisterà sempre maggiore importanza una volta che l’Unione europea avrà riconosciuto i diritti fondamentali in maniera molto pi esplicita e circostanziata.
Vi sono naturalmente altri modi per garantire la coerenza nell’applicazione dei principi elaborati dalle due Corti e nello sviluppo dei diritti fondamentali a livello europeo. Uno potrebbe consistere in un sistema di rinvii che consentirebbe alla Corte di Giustizia europea, secondo un meccanismo analogo a quello dell’Art. 234 del Trattato CE, di rimettere questioni d’interpretazione alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Si potrebbe, inoltre, considerare l’eventualità di un ricorso in ultima istanza. Per il momento, tuttavia, sarebbe inopportuno continuare a discutere ulteriormente sull’uno o sull’altro di questi metodi. E ciò, non soltanto per i notevoli cambiamenti delle attuali strutture procedurali sia dell’Unione europea che del Consiglio d’Europa che essi comporterebbero, ma soprattutto per il contesto particolare – già menzionato - in cui si sviluppa la risoluzione per via giudiziale dei conflitti relativi ai diritti fondamentali in ambito europeo. La cooperazione informale tra la Corte di Giustizia europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo, in atto già da diversi anni, va tuttavia mantenuta e intensificata.v Le norme rilevanti nella Carta e le proposte di modifica nelle conclusioni del Gruppo II sono le seguenti:
Articolo 47 - Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale
Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.
Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.
A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti Ë concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.Articolo 51 - Ambito di applicazione
PROPOSTA di modifica dell’art. 51:Articolo 52 - Portata dei diritti garantiti
PROPOSTA di aggiungere all’articolo 52:
"Articolo 52, paragrafo 4 – Laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni."
"Articolo 52, paragrafo 5 – Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni e organi dell’Unione e da atti di Stati membri allorch essi danno attuazione al diritto dell’Unione, nell’esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell’interpretazione e del controllo della legalità di detti atti."
"Articolo 52, paragrafo 6 – Si tiene pienamente conto delle legislazioni e pratiche nazionali, come specificato nella presente Carta."Articolo 53 - Livello di protezione
Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri.vi Per la loro importanza, si riportano integralmente le conclusioni del gruppo X sul punto: “Attualmente la competenza della Corte di giustizia sugli atti adottati nel quadro del titolo IV del TCE e del titolo VI del TUE è limitata. Secondo l’articolo 35, paragrafo 1 del TUE la Corte è competente a pronunciarsi in via preliminare soltanto se gli Stati membri accettano formalmente tale competenza (ne è conseguita una complessa "geografia variabile"); inoltre la Corte non è competente a riesaminare gli atti della polizia o di altri servizi incaricati dell’applicazione della legge (paragrafo 5); il diritto di proporre ricorsi di annullamento è limitato agli Stati membri e alla Commissione alle condizioni stabilite dall’articolo 35, paragrafo 6 del TUE. Il Gruppo ritiene che la limitazione della competenza della Corte non sia pi accettabile per gli atti adottati in settori (ad esempio, cooperazione di polizia, cooperazione giudiziaria in materia penale) che incidono direttamente sui diritti fondamentali della persona. Lo stesso vale per la limitazione del controllo giudiziario di cui all’articolo 68 del TCE. Detta disposizione (paragrafo 1) limita la pronuncia pregiudiziale (articolo 234 del TCE) alle richieste presentate dalle giurisdizioni supreme o di ultima istanza, ma notoriamente le difficoltà di interpretazione sono sollevate soprattutto dinanzi ai tribunali di primo grado; ciò implica che si deve proporre ricorso fino all’ultima istanza per chiedere che la questione di interpretazione (o validità) sia sottoposta alla Corte di giustizia (ciò è particolarmente problematico in casi quali l’asilo, in cui la rapidità della procedura giudiziaria è fondamentale). Inoltre la competenza della Corte è esclusa per quanto concerne le misure in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna (controllo delle persone che attraversano le frontiere interne). Come indicato in precedenza, queste misure, per loro stessa natura, incidono però sui diritti della persona. Per la maggioranza del Gruppo è difficile giustificare il mantenimento dell’esclusione della competenza della Corte per siffatte misure, soprattutto in considerazione del fatto che altre misure ugualmente connesse al mantenimento dell’ordine pubblico (ad esempio allontanamento di cittadini dell’UE da uno Stato membro a un altro) sono sempre state sottoposte al controllo giudiziario della Corte di giustizia delle Comunità europee. Il Gruppo ritiene che i meccanismi specifici previsti all’articolo 35 del TUE e all’articolo 68 del TCE debbano essere aboliti e che il sistema generale di competenza della Corte di giustizia debba essere esteso allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, inclusa l’azione degli organi dell’Unione in questo settore. Alcuni membri del Gruppo hanno tuttavia chiesto il mantenimento dell’esclusione della competenza della Corte di cui all’articolo 35, paragrafo 5 del TUE. Altri hanno sostenuto, a questo proposito, che qualora la disposizione dell’articolo 33 del TUE (che riserva agli Stati membri la responsabilità del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna) fosse mantenuta nel nuovo trattato, ciò basterebbe a chiarire che i provvedimenti nazionali adottati nell’ambito di tali responsabilità esulano dal campo d’applicazione del diritto comunitario e di conseguenza dalla sfera di competenze della Corte. Nella misura in cui questa raccomandazione implicherebbe un aumento del carico di lavoro della Corte di giustizia, le disposizioni previste dal trattato di Nizza sulla riforma della Corte le consentirebbero di farvi fronte.
vii Sentenza della Corte di giustizia del 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, UPA, punti 41 e 42. Si ricorda altresì che nella sentenza la Corte ha osservato che, anche se è concepibile un sistema di controllo della legittimità degli atti comunitari di portata generale diverso da quello istituito dal trattato, spetta, se del caso, agli Stati membri in conformità dell’articolo 48 del TUE, riformare il sistema attualmente in vigore.
viii Nota ufficiale del testo del Gruppo II: “In tal senso, si richiama l’attenzione sugli interventi degli esperti sentiti dal Gruppo, dai quali sono emerse preoccupazioni, dal punto di vista della tutela dei diritti fondamentali, sui limiti attualmente contenuti nell’articolo 68 del TCE e nell’articolo 35 del TUE, in un settore tanto sensibile per i diritti fondamentali quale quello della giustizia e degli affari interni, e sui limiti del controllo giudiziario sulle Agenzie dell’Unione, quale l’Europol: si vedano l’audizione del giudice Skouris (WD 19), e del sig. Schoo del 23 luglio 2002 (WD 13), nonch WD 20 del sig. Ben Fayot illustrante una nota dell’avvocato generale Francis Jacobs”.
ix Nota ufficiale del testo del Gruppo II: “Cfr., per quanto riguarda sia i ricorsi giurisdizionali sia quelli non giurisdizionali, CONV 221/02 CONTRIB 76 del sig. Söderman; specificamente, in merito all’art. 230, CONV 45/02 CONTRIB 25 del sig. Hannes Farnleitner; WD 17 del sig. Jürgen Meyer; WD 20 del sig. Ben Fayot illustrante una nota dell’avvocato generale Francis Jacobs; l’audizione del giudice Skouris (WD 19); l’audizione del sig. Schoo (WD 13); un quadro d’insieme del dibattito e delle opzioni figura nel WD 21 a cura del Presidente del Gruppo”.
x Il passo è il seguente: V. Controllo giudiziario -
Attualmente la competenza della Corte di giustizia sugli atti adottati nel quadro del titolo IV del TCE e del titolo VI del TUE è limitata. Secondo l’articolo 35, paragrafo 1 del TUE la Corte è competente a pronunciarsi in via preliminare soltanto se gli Stati membri accettano formalmente tale competenza (ne è conseguita una complessa "geografia variabile"); inoltre la Corte non è competente a riesaminare gli atti della polizia o di altri servizi incaricati dell’applicazione della legge (paragrafo 5); il diritto di proporre ricorsi di annullamento è limitato agli Stati membri e alla Commissione alle condizioni stabilite dall’articolo 35, paragrafo 6 del TUE.
Il Gruppo ritiene che la limitazione della competenza della Corte non sia pi accettabile per gli atti adottati in settori (ad esempio, cooperazione di polizia, cooperazione giudiziaria in materia penale) che incidono direttamente sui diritti fondamentali della persona.
Lo stesso vale per la limitazione del controllo giudiziario di cui all’articolo 68 del TCE. Detta disposizione (paragrafo 1) limita la pronuncia pregiudiziale (articolo 234 del TCE) alle richieste presentate dalle giurisdizioni supreme o di ultima istanza, ma notoriamente le difficoltà di interpretazione sono sollevate soprattutto dinanzi ai tribunali di primo grado; ciò implica che si deve proporre ricorso fino all’ultima istanza per chiedere che la questione di interpretazione (o validità) sia sottoposta alla Corte di giustizia (ciò è particolarmente problematico in casi quali l’asilo, in cui la rapidità della procedura giudiziaria è fondamentale). Inoltre la competenza della Corte è esclusa per quanto concerne le misure in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna (controllo delle persone che attraversano le frontiere interne). Come indicato in precedenza, queste misure, per loro stessa natura, incidono però sui diritti della persona. Per la maggioranza del Gruppo è difficile giustificare il mantenimento dell’esclusione della competenza della Corte per siffatte misure, soprattutto in considerazione del fatto che altre misure ugualmente connesse al mantenimento dell’ordine pubblico (ad esempio allontanamento di cittadini dell’UE da uno Stato membro a un altro) sono sempre state sottoposte al controllo giudiziario della Corte di giustizia delle Comunità europee.
Il Gruppo ritiene che i meccanismi specifici previsti all’articolo 35 del TUE e all’articolo 68 del TCE debbano essere aboliti e che il sistema generale di competenza della Corte di giustizia debba essere esteso allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, inclusa l’azione degli organi dell’Unione in questo settore. Alcuni membri del Gruppo hanno tuttavia chiesto il mantenimento dell’esclusione della competenza della Corte di cui all’articolo 35, paragrafo 5 del TUE. Altri hanno sostenuto, a questo proposito, che qualora la disposizione dell’articolo 33 del TUE (che riserva agli Stati membri la responsabilità del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna) fosse mantenuta nel nuovo trattato, ciò basterebbe a chiarire che i provvedimenti nazionali adottati nell’ambito di tali responsabilità esulano dal campo d’applicazione del diritto comunitario e di conseguenza dalla sfera di competenze della Corte.
Nella misura in cui questa raccomandazione implicherebbe un aumento del carico di lavoro della Corte di giustizia, le disposizioni previste dal trattato di Nizza sulla riforma della Corte le consentirebbero di farvi fronte. - Degli effetti diretti del diritto comunitario sui diritti soggettivi dei singoli, dal momento che l’art. 230, quarto comma, TCE viene interpretato dalla Corte di giustizia in un senso molto restrittivo, in riferimento alla endiadi “direttamente ed individualmente” (v. da ultimo, v. causa Pequenos Agricultores – sentenza e conclusioni (diff.) avv. gen. Jacobs, cit. oltre) in ordine alla endiadi “direttamente ed individualmente” – Il Gruppo ha discusso il sistema vigente nell’Unione relativo alle vie di ricorso di cui dispongono le persone singole, in particolare alla luce del diritto fondamentale ad un’effettiva tutela giurisdizionale. Scartata (opportunamente) l’ipotesi di istituire una procedura speciale dinanzi alla Corte di giustizia ai fini della tutela dei diritti fondamentali, il Gruppo ha, in modo un po’ sibillino sottolineato “il grande vantaggio che i cittadini trarrebbero da un’eventuale incorporazione della Carta nella struttura del trattato costituzionale, dato che ciò consentirebbe loro di avvalersi del sistema di ricorsi vigente nell’Unione” , pur rilevando che tale sistema è effettivamente carente a causa della questione della necessità o meno di riformare le condizioni alle quali una persona fisica può adire direttamente il Tribunale e la Corte (articolo 230, quarto comma del TCE) al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva. Su questo punto, le discussioni in sede di Gruppo hanno evidenziato che vi può essere una certa carenza di tutela, data l’attuale condizione, stabilita dall’articolo 230, quarto comma del TCE, di persona interessata "direttamente" e "individualmente" e la relativa giurisprudenza interpretativa, nel caso specifico dei regolamenti comunitari direttamente applicabili, che impongono, ai singoli, divieti direttamente applicabili. D’altro canto, “… si è delineata nelle discussioni del Gruppo una tendenza ampiamente condivisa secondo la quale l’attuale sistema generale dei ricorsi e la "suddivisione del lavoro" tra giudici comunitari e giudici nazionali che esso comporta non dovrebbe essere radicalmente modificato da un’eventuale riforma dell’articolo 230, quarto comma del TCE. Alcuni membri hanno accennato all’eventualità di inserire nel trattato una disposizione sull’obbligo degli Stati membri, sancito dalla giurisprudenza recente vii, di prevedere rimedi effettivi per diritti derivanti dal diritto dell’Unione. In ogni caso, seppure certamente connessa ai diritti fondamentali, la questione di cui all’articolo 230, quarto comma del TCE va oltre la protezione di detti diritti, dal momento che la tutela giurisdizionale deve esistere per tutti i diritti soggettivi, e si pone indipendentemente dai quesiti concreti relativi all’incorporazione della Carta e all’adesione alla CEDU. Il Gruppo ritiene che detta questione e le relative implicazioni istituzionali vadano esaminate congiuntamente ad altri temi, quali i limiti della giurisdizione della Corte in materia di giustizia e affari interni viii o di controllo giurisdizionale della sussidiarietà. Il Gruppo si astiene pertanto dal formulare raccomandazioni concrete e auspica che la questione dell’eventuale riforma dell’articolo 230, quarto comma del TCE, unitamente ai validi contributi presentati in merito ix, sia ulteriormente esaminata dalla Convenzione in un contesto appropriato”.