Osservazioni sulla legge delega 80/2005 e sulla bozza di d. lgs. approvata dal cdm 23.9.2005 sulla riforma della legge falliment

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1.  Con il decreto legge n.35/2005 prima e poi con la legge n.80/2005 (su cui è stata posta la fiducia parlamentare), a meno di un anno dalla fine della legislatura, il Governo affronta la riforma organica delle procedure concorsuali. In realtà il decreto legge ha ridisegnato completamente, con criticabile ricorso alla procedura d'urgenza, la materia delle revocatorie fallimentari, introducendo decisive esenzioni a favore dei creditori bancari (in particolare per le rimesse in conto corrente) e la composizione negoziale della crisi d'impresa, allargando la protezione delle intese privatistiche raggiunte dal debitore con i suoi maggiori creditori.
L'impianto della riforma mostra poi di esaurirsi conferendo allo stesso Governo il potere di decretazione delegata sulla base di principi e criteri direttivi che, nel loro complesso, evidenziano una doppia direzione: l'eliminazione frettolosa e senza alcuna discussione con la dottrina, l'avvocatura, il mondo delle professioni e gli operatori giudiziari dei punti di criticità emersi nel frattempo dai lavori delle Commissioni incaricate della redazione di testi ben pi organici (i cui contributi sono stati inopinatamente accantonati) e l'avvio di una accentuata marginalizzazione dell'intervento giudiziario nel controllo della crisi d'impresa. Tale percorso, nella stessa legislatura, si è infatti compiuto, ancora a colpi di decretazione d'urgenza, fotografando altre situazioni, di intensa drammaticità per il risparmio e la credibilità competitiva del sistema di governance societaria, allorch il Governo, con il primo decreto legge n.347 del 23 dicembre 2003, ha iniziato ad affrontare il caso Parmalat. Per esso, e per la successiva vicenda Volareweb, sono stati approntati strumenti specifici (nel 2004-2005 e ancora con decreti legge), con incremento delle competenze di gestione della crisi delle grandi imprese affidata direttamente al potere esecutivo (il Ministero delle Attività Produttive) e conseguente devoluzione dei controlli giudiziali anche alla magistratura amministrativa.
L'assetto istituzionale cui sono ora pervenute le procedure concorsuali italiane, caso unico nell'ordinamento dell'Unione Europea, anzich favorire un'inversione di tendenza allontana ancor di pi il nostro sistema da un'organica e razionale ricomposizione unitaria della disciplina dell'insolvenza. In essa coesistono tuttora ed anzi sono incrementati modelli diversi, che offrono una risposta frammentaria e dispersiva: in parte infatti tali procedimenti sono connessi all'intervento giudiziario, in altre procedure la competenza è per lo pi dell'autorità amministrativa, in altre ancora giudice e organi di promanazione del potere esecutivo debbono coordinarsi.

2.  La legge n.80/2005 rinuncia ad una pi complessa esigenza di ridefinizione dei bisogni di concorsualità e comunque di raccordo con pi efficaci procedure esecutive individuali imposti da fenomeni che il legislatore sembra ignorare del tutto. Si è preferito, con una impostazione ideologica tanto evidente quanto imprecisa nell'articolazione tecnica, additare la giurisdizione come fattore principale di rallentamento del successo dei tentativi di ripresa e rilancio produttivo e finanziario delle imprese. In pari tempo lo spazio attribuito in modo quasi enfatico alla possibilità di accordi ed intese privatistiche da sottoporre al giudice al fine del superamento della crisi sembra tradire la sostanziale funzione di copertura con cui si guarda al provvedimento del giudice: esso viene congegnato come mera ratifica dei voleri della maggioranza dei creditori, cui resta estraneo il merito degli accordi e che, ciononostante, dovrebbe agevolare il ripristino di nuove condizioni di prosperità alle imprese, favorendole nella ristrutturazione del proprio passivo. L'attività giurisdizionale dovrebbe così apprestare il sigillo da cui far discendere l'imposizione delle intese di maggioranza anche a ceti di creditori pi deboli e dissenzienti, prevedibilmente privi di garanzie che non siano quelle connesse allo statuto conseguito nella rispettiva legislazione sociale. Che viene invero aggirata e superata mediante un utilizzo strumentale del passaggio nella giurisdizione: mentre in altri sistemi, anche coerentemente liberistici, il controllo di merito del giudice si incrementa quale funzione acceleratoria dei meccanismi di stabilizzazione giuridica delle relazioni di mercato imperfette - relativamente alle quali cioè il consenso ai rimedi del contratto, come per lo pi accade, non è unanime - nel nostro ordinamento conquista sempre pi terreno una normazione che guarda al processo come mera sede certificatoria di rapporti di forza. In ciò si vuole che sia il giudice, depotenziato di reali poteri di controllo, a compiere un'operazione di riscrittura materiale della gerarchia delle protezioni sociali e del credito incise dalle insolvenze, senza dunque che la politica assuma in modo trasparente, con legge generale ed astratta, la responsabilità di aggredire i nodi delle disuguaglianze recate al mercato dalla frequente irresponsabilità dell'impresa.

3.  In tale contesto, e pur con notevole confusione del dato tecnico della novella che affianca il r.d. del 1942, l'introduzione quasi senza filtro delle classi dei creditori (tra l'altro non del tutto omogenee nei concordati preventivo, fallimentare e dell'amministrazione straordinaria speciale) rischia di alterare le scelte legislative compiute dal Parlamento in materia di cause di prelazione. La vanificazione evidente cui è progressivamente pervenuto il sistema, peraltro eccessivo, dei privilegi non ha dunque trovato alcun reale riassetto ad esito di un dibattito pubblico e trasparente - che sarebbe stato ben possibile dopo 4 anni dai primi progetti - in ordine a nuove priorità di selezione di taluni interessi privatistici da proteggere (dalla tutela del lavoro a quella di crediti di finanziamento speciale), ma si è preferito lasciarne il superamento alla concreta discrezionalità delle singole scelte del debitore, praticabili d'intesa con i suoi creditori pi forti. Risalta, sullo sfondo, la singolarità di una politica legislativa che, diversamente da quanto accaduto anche nei sistemi liberistici in cui le classi dei creditori sono nate, si astiene dall'effettuare qualunque scelta di ordine pubblico economico ed evita di cristallizzare almeno alcuni significativi crediti da proteggere, come avviene invece in USA e in Germania con riguardo, ad esempio, al fisco, ai collaboratori ed ai piccoli fornitori dell'ultimo periodo.

4.  Affiora in ciò una preoccupante deriva verso una legislazione che, innalzando il contratto a strumento unico di regolazione delle relazioni commerciali della crisi d'impresa, sembra non considerare la positiva valenza sociale che nel frattempo, secondo le stesse analisi della scienza economica, l'impresa è venuta assumendo, tendendo ad accreditarsi nel mercato non solo per i suoi profitti ma anche per il rispetto di standards di correttezza delle politiche sociali, occupazionali, di reinvestimento, di ricerca in concreto praticate. In una indistinta premialità che molto richiama e riassume l'oscura tradizione condonistica, viene così ad essere elusa ogni spinta positiva che lo stesso mondo delle imprese italiane, essenzialmente medie e piccole, a fatica aveva finito per accogliere all'interno del suo dibattito: non solo con il maturare d'attenzione verso un doveroso e generico quadro di legalità, ma con la progressiva condivisione delle regole di rispetto imposte da un mercato proprio di una società democratica, quale preteso da innovative politiche aziendali di conformità alle norme sull'ambiente, alla correttezza amministrativa nei rapporti con la gestione degli enti locali, alla pratica coerente delle scelte occupazionali mediante il rifiuto del lavoro nero ed irregolare. All'opposto la riforma, rendendo possibile in alcuni segmenti (come i concordati e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, ormai privati di ogni riferimento pubblicistico ad una rinnovata nozione di meritevolezza) un consolidamento del passivo al riparo da ogni vaglio delle cause della crisi, rischia di assecondare, nei fatti, storie economiche corsare, in un mercato già per suo conto attraversato da pesanti cadute di legalità. La sostanziale emarginazione del controllo giudiziale di merito si presta così al pericolo di legalizzare il reingresso di soggetti economici non lealmente competitori, senza alcuna reale capacità di attrattiva di capitali di investimento (stranieri e domestici) che, altrove, sono invece orientati a posizionarsi in base alla severità delle regole di governance ed alla effettività delle garanzie per le minoranze societarie ed i creditori non assistiti da garanzie specifiche, oltre che tenendo conto della funzionalità del processo e della competenza valutativa dei giudici dell'economia.

5.  All'interno della procedura principale che - nonostante un quadriennio di studi e proposte alternative - continua a restare il fallimento, la riforma attua uno spostamento deciso dei poteri di gestione e di controllo, sia di merito che di legalità: il principale organo di gestione, il curatore, viene infatti assoggettato alle direttive ed alle autorizzazioni del comitato dei creditori, che sarà inevitabilmente costituito dai maggiori creditori, gli unici in grado di sopportare gli oneri relativi. Con evidente caduta di attenzione per la stessa figura di pubblico ufficiale, il curatore è assoggettabile ad un'impropria valutazione di sfiducia nella delicata attività di accertamento del passivo, con innesco di una possibile e ben concreta alterazione della indipendenza, necessaria a tale organo. Una simile traslazione di poteri, invocata in nome dell'efficienza e di una superficiale riallocazione corporativa nella stessa classe dei soggetti di mercato della intera gestione della crisi, si pone in chiara controtendenza rispetto all'evoluzione legislativa degli altri ordinamenti liberali (e nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri del 23.9.2005 tale delicatissima gestione di beni ed interessi altrui potrebbe essere affidata addirittura agli ex falliti, sia pure da pi di 10 anni).
La comunitarizzazione dei creditori esprime in realtà un'idea di retroguardia (riportando il nostro sistema ad un assetto anteriore a quello del codice di commercio della fine dell'800) ed al contempo di stampo autoritario, in quanto mutua dallo schema maggioritario della formazione della volontà politica una razionalità decisoria che non può, per diversa provenienza degli interessi, accostare elettori di assemblee rappresentative e creditori di soggetti insolventi.

6.  L'inadeguatezza della riforma si esprime anche nella individuazione dei soggetti fallibili: in contrasto con l'urgente bisogno di ricomposizione giuridica di una separatezza sempre meno significativa nei rapporti di commercio, viene ancora mantenuta l'anacronistica distinzione rispetto alla crisi dell'impresa agricola. Al contempo si introduce una normazione tabellare rigida della nozione di piccolo imprenditore, con criteri contabili e formali destinati ad inasprire il peso anche territoriale delle risultanze istruttorie, già gravemente compromesse dal dimezzamento secco dei tempi delle revocatorie, deciso inopinatamente con il decreto legge n.35/2005. La conseguente riduzione dell'area della fallibilità rischia così di sancire un'ulteriore contraddizione di sistema, spostando sulle procedure esecutive le crisi del piccolo imprenditore e dunque non alleviando lo stesso carico giudiziario. L'incoerenza appare tanto pi evidente se si guarda all'ottica non sanzionatoria perseguita e dunque alla connotazione di inclusività che dovrebbe piuttosto orientare la selezione dei soggetti.

7.  L'innovativa figura dell'esdebitazione viene riduttivamente riservata solo al fallito persona fisica. La crescente estensione delle insolvenze, dovute al fenomeno del sovraindebitamento, comune negli esiti all'esposizione di garanzia collaterale per i debiti dei soggetti economici e comunque alle insolvenze del consumatore, non viene affrontata dalla riforma, gravemente carente anche per la parte in cui sposta ancora sulle procedure esecutive il peso dell'aggressione giudiziaria al patrimonio di tali debitori. Pur in una graduazione della concorsualità che rispetti il carattere selettivo della giurisdizione senza dunque invocarne una latitudine omnicomprensiva, il disegno riformatore non sembra inquadrare i bisogni di profonda razionalizzazione di tale porzione del diritto dell'economia.

8.  Nel contempo si omette di fornire ai tribunali la bench minima dotazione organizzativa. Il mantenimento delle attuali circoscrizioni giudiziarie, l'accantonamento delle prime proposte legislative sulle sezioni specializzate ed al contempo l'innalzamento dei criteri delle incompatibilità, anche oltre le indicazioni pi prudenti espresse sul punto dalla Corte Costituzionale, accentuano ancor di pi l'esigenza di giudici esperti della materia nel medesimo ufficio, anche il pi piccolo. La celerità di decisione e la professionalità tecnica in materia aziendale correttamente richieste alla magistratura, alla quale da tempo e con efficacia concorre la formazione del C.S.M., rischiano di vanificarsi a fronte di una possibile diffusione dei conflitti di interesse dei professionisti e degli esperti chiamati a gestire le imprese ovvero a validarne gli atti nell'ambito delle nuove procedure concorsuali. Inoltre i delicati compiti di scrutinio dei diritti soggettivi di credito, ora affidati in modo preponderante alle scelte ed ai rilievi di eccezione del solo curatore nella verifica dello stato passivo e l'esercizio delle azioni recuperatorie, da approvare con il programma di liquidazione ed in unico atto, non mostrano di accompagnarsi ad interventi di contrappeso critico del giudice, a garanzia di possibili omissioni, inerzie ed opacità di gestione. La sottrazione al giudice della direzione del processo sembra infatti scommettere su una sicura e naturale vocazione efficiente dei nuovi organi che tuttavia, chiamati alla gestione di patrimoni altrui ed in posizione di terzietà, storicamente esigerebbero un pi stabile inserimento in uno statuto pubblicistico che li emancipi dalla commistione con interessi privati. A sua volta il controllo di legalità e di efficacia sulla loro azione è lasciato a verifiche meramente occasionali, frutto di singoli incidenti provocati dal debitore, da creditori o da terzi, in una logica cui è estraneo un raccordo sistematico con l'azione del giudice.

9.  Manca inoltre qualunque cenno a misure di prevenzione ed allerta, pur previste nei primi progetti di riforma. La pratica abolizione della iniziativa officiosa, già ampiamente coordinata nelle prassi anche alla luce dell'adeguamento ad interventi della Corte Costituzionale, e l'azzeramento delle informative del giudice civile al giudice dell'insolvenza (essendo stato rivisto l'art.8 della l.fall.), favoriscono la realtà di un mercato fondato sulla diversa capacità di accesso alle informazioni che normalmente connota l'ultima fase dell'impresa in difficoltà. Si è preferito assecondare una gestione privatistica della crisi che può rendere pi difficile al mercato la possibilità di conoscere tempestivamente l'esigenza di una riorganizzazione delle relazioni commerciali: con ciò l'intervento del processo diventerà ancora pi tardivo di quanto già oggi non accada e dunque con irreparabile pregiudizio della stessa utilità del processo. Mentre, infatti, non si perde occasione per sottolineare i tempi e l'inefficienza liquidatoria delle attuali procedure concorsuali, si omette del tutto di precisare che la percentuale di soddisfacimento dei creditori è in diretta correlazione con il patrimonio liquidato e distribuito nel processo, senza possibilità di accrescerne i valori se, come oggi accade, i fallimenti privi di attivo sono la maggioranza delle fattispecie aperte. La drastica riduzione delle azioni revocatorie accentuerà invece l'impoverimento delle procedure concorsuali e dunque le difficoltà di recupero per i creditori meno garantiti. N si è considerato abbastanza che le percentuali di soddisfazione del ceto creditorio e l'efficienza delle procedure giudiziali sono nettamente maggiori rispetto ai risultati delle procedure amministrative, gelosamente mantenute nelle prerogative dell'autorità politica e non a caso non sfiorate dalla riforma, nonostante la sistematica contrarietà della dottrina giuridica.

10.  Infine, per quanto sia generale il riconoscimento che i tempi delle procedure fallimentari sono strettamente dipendenti dalla moltiplicazione delle cause collaterali e da regole estranee allo specifico sistema concorsuale, questo aspetto del problema sembra essere rimasto estraneo al legislatore della riforma, che ha anzi moltiplicato ulteriormente i riti ed i modelli processuali, ciò che non gioverà affatto alla semplificazione, non renderà pi forti le garanzie, non renderà pi celere (come pure era previsto nella legge delega n.80/05) la durata del processo. Contraddittoriamente, poi, con ogni logica di anticipazione e di premialità incentivante, viene mantenuto in vita e riformato il vecchio concordato fallimentare, la sopravvivenza del quale - secondo la critica mossa anche dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti - espone i curatori ad inammissibili poteri di interdizione esercitati oggi diffusamente dai falliti soprattutto nelle operazioni di vendita, con grave pregiudizio per i creditori.

11.  Pur essendo innegabile e da lungo tempo attesa una profonda riforma delle procedure fallimentari, così da renderle pi moderne ed efficaci, non pare che le soluzioni adottate siano dunque realmente idonee allo scopo, n può dirsi che esse garantiscano un mercato funzionale e tutele effettive per i soggetti colpiti dalle sue fisiologhe distorsioni. In questo modo non potrà perciò essere arginato l'allontanamento degli operatori economici dalla giurisdizione, un fenomeno che richiederebbe innanzitutto rimedi strutturali capaci di incidere sugli snodi organizzativi del processo e degli uffici. Una sede organizzativa efficiente, in grado di contare su un adeguato
sistema di informazioni in ordine alle strategie dell'impresa ed alle cause dell'insolvenza, costituirebbe una condizione essenziale affinch il consenso alle proposte dei debitori ed il confronto sui diritti possano manifestarsi come forma di un intervento "pubblico" nel processo di crescente autorevolezza.
Per questo ci riserviamo di fornire ulteriori osservazioni sul testo del decreto delegato che sarà oggetto del dibattito parlamentare e chiediamo che anche la Magistratura sia chiamata ad esporre le proprie osservazioni al riguardo.

20 10 2005
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