UNA
PROPOSTA DI RIFORMA
DEL
PROCESSO CIVILE (*)
Art.
7
Competenza
del giudice di pace
Il
giudice di pace è competente per le cause relative a beni
mobili di valore non superiore a cinquemila euro quando dalla legge
non sono attribuite alla competenza di altro giudice.
Il
giudice di pace è altresì competente per le cause di
risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di
natanti, purché il valore della controversia non superi
venticinquemila euro.
È
competente inoltre qualunque ne sia il valore:
1.
per le cause di risarcimento del danno a cose prodotto dalla
circolazione di veicoli;
2.
per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle
distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo
allo scavo di fossi e al piantamento degli alberi e delle siepi; per
le cause relative alla comunione di fossi, alberi e siepi e alla
recisione di rami protesi e di radici e per le cause in materia di
luci e vedute e di stillicidio;
3.
per le cause relative al condominio degli edifici e ai servizi
condominiali;
4.
per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di
immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo
o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni
che superino la normale tollerabilità.
NOTA
1.
Vi è un largo ma non completo consenso sulla elevazione del
limite di valore della competenza del giudice di pace. La proposta
che formuliamo a questo riguardo è la più moderata di
tutte quelle che sono sul tappeto, ma essa va comunque verificata. Al
fine di determinare in modo razionale il nuovo limite, è
opportuno tenere a mente quali ne sarebbero le conseguenze
quantitative e cioè quanta parte del contenzioso verrebbe
trasferita alla giurisdizione onoraria per effetto di esso. Allo
stato questa prognosi non appare possibile a causa della ben nota
mancanza di dati informativi (che peraltro potrebbe non essere
impossibile recuperare). Naturalmente, occorre anche conoscere quale
sia la quota di contenzioso che si considera preferibile trasferire
al giudice di pace.
È
opportuno considerare che attualmente il giudice di pace gestisce il
50 % delle sopravvenienze civili e che questa quota appare destinata
a stabilizzarsi.
Scontando
l’impossibilità di dire qualcosa di razionale in
mancanza dei dati numerici e la conseguente necessità di
ragionare sulla base di “impressioni”, triplicare il
limite di valore (come alcune proposte hanno ipotizzato) appare
smodato ed è preferibile quindi una maggior cautela. E’
necessario, del resto, tener conto che un eccessivo allargamento
delle competenze del giudice di pace incontrerebbe probabilmente la
contrarietà dell’avvocatura, che già ora registra
una diffusa diffidenza nei confronti di tale giudice. Vi è
comunque una reale necessità di ideare e attuare più
efficaci strumenti di vigilanza, di controllo e di formazione
professionale e di avere idee più chiare circa le prospettive
ordinamentali del giudice di pace prima di prevedere una drastica
elevazione delle sue competenze.
2.
La previsione di un limite di valore più alto per le cause di
risarcimento del danno da circolazione e la previsione
dell’attribuzione “in toto” delle controversie
relative al risarcimento del danno a cose da circolazione di veicoli,
corrispondono alle ragioni che stanno alla base del ricorrente
suggerimento di individuare materie da attribuire alla competenza del
giudice di pace “in toto” (quale che sia il valore della
singola controversia) o quasi. Dovrebbe trattarsi di materie
caratterizzate da “basso tenore normativo” e cioè
controversie nelle quali l’accertamento del fatto costituisce
di regola la parte centrale e più importante del giudizio e/o
nelle quali la disciplina giuridica applicabile sia una disciplina
semplice o diffusamente conosciuta e tale da non coinvolgere delicate
questioni di valore o di principio. Allo stato – e ciò
accade ormai da vari anni - la ricerca di materie siffatte – al
di fuori di quella della circolazione stradale - non ha dato ancora
risultati soddisfacenti; ma si può sempre continuare ad
esplorare.
Nel
frattempo appare utile tentare una ricomposizione più ampia e
priva di inconvenienti in capo al giudice di pace per le materie
riguardanti le distanze (con esclusione delle controversie
suscettibili di incidere sulla corretta utilizzazione urbanistica del
territorio, come ad esempio quelle relative alla distanza tra le
costruzioni) e i rapporti endocondominiali. Al di là di tanto
non appaiono allo stato individuabili altre materie riconducibili
alla nozione di controversie di vicinato o di prossimità da
attribuire al giudice di pace.
3.
Si è ritenuto opportuno mantenere l’esclusione del
giudice di pace dalla competenza in materia di procedimenti
possessori e cautelari, anche se al riguardo sono state espresse
opinioni discordanti Vero è che nel nostro ordinamento il
giudice di pace è delineato come un giudice che offre meno
garanzie di professionalità e che, di contro, la
professionalità del giudice è riguardata come una
essenziale garanzia sia per le parti sia per l’ordinamento. Da
qui l’esclusione della competenza per quei procedimenti che per
loro natura possono determinare danni irreversibile alle situazioni
giuridiche coinvolte prima che siano in grado di operare gli ordinari
strumenti di controllo. Una diversa opzione potrebbe essere
prospettata ove si apportassero radicali cambiamenti alla disciplina
processuale (ad esempio, escludendo per il giudice di pace la
possibilità di provvedere con decreto “inaudita altera
parte” e stabilendo l’efficacia sospensiva automatica del
reclamo) e ordinamentali (ad esempio migliorando la selezione e la
formazione dei giudici di pace e rendendo meno inefficiente il
sistema dei controlli disciplinari e paradisciplinari sul suo
operato). Ma allo stato l’allargamento della competenza del
giudice onorario ai procedimenti possessori e cautelari non
rappresenta una esigenza reale e appare rispondere principalmente a
motivazioni ideologiche. La posta non vale quindi il dispendio di
innovazioni normative che essa renderebbe necessarie.
Art.
9
Competenza
del Tribunale
Il
Tribunale è competente per tutte le cause che non sono di
competenza di altro giudice.
Il
Tribunale è altresì esclusivamente competente per le
cause in materia di diritti reali su beni immobili, salvo quanto
previsto dall'art. 7, nonché per le cause in materia di
imposte e tasse, per quelle relative allo stato ed alla capacità
delle persone e ai diritti onorifici, per l'esecuzione forzata e, in
generale, per ogni causa di valore indeterminabile.
Art.
40
Connessione
Se
sono proposte davanti a giudici diversi più le cause le quali,
per ragione di connessione, possono essere decise in un solo processo
il giudice fissa con sentenza alle parti un termine perentorio per la
riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa
principale, e negli altri casi davanti a quello preventivamente
adito.
La
connessione non può essere eccepita dalle parti né
rilevata d’ufficio dopo la prima udienza, e la rimessione non
può essere ordinata quando lo stato della causa principale o
preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione
e decisione delle cause connesse.
Nei
casi previsti negli articoli 31, 32, 34, 35 e 36, le cause,
cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere
trattate e decise col rito ordinario, salva l’applicazione del
solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle
indicate negli articoli 409 e 442.
Qualora
le cause connesse siano assoggettate a differenti riti speciali
debbono essere trattate e decise col rito previsto per quella tra
esse in ragione della quale viene determinata la competenza o, in
subordine, col rito previsto per la causa di maggior valore.
Se
la causa è stata trattata con un rito diverso da quello
divenuto applicabile ai sensi del terzo comma, il giudice provvede a
norma degli articoli 426, 427 e 439.
Se
una causa di competenza del giudice di pace sia connessa per
l'oggetto o per il titolo ovvero per i motivi di cui agli
articoli 31, 32, 34, 35 e 36 con altra causa di competenza del
tribunale, le relative domande possono essere proposte innanzi al
tribunale affinché siano decise nello stesso processo.
Se
le cause connesse ai sensi del sesto comma sono proposte davanti al
giudice di pace e al tribunale, il giudice di pace deve pronunciare
anche d’ufficio la connessione a favore del tribunale.
NOTA
La
modifica al sesto comma è diretta ad una agevole soluzioni dei
problemi di determinazione della competenza per valore che possono
sorgere nel caso nel caso in cui alcune delle domande connesse per
l’oggetto o per il titolo appartengano alla competenza del
giudice di pace qualunque ne sia il valore. Il problema appare porsi
in teoria già ora, ma una soluzione semplificata è resa
più necessaria dall’attribuzione al giudice di pace
della competenza illimitata per i danni a cose da circolazione
stradale.
Art.
42
Regolamento
necessario di competenza
soppresso
NOTA
La
soppressione del regolamento di competenza rappresenta una
prosecuzione della linea di “sdrammatizzazione” delle
questioni di competenza affermata dalla novella del 1990. Vi è
poi la considerazione che il regolamento, originariamente pensato
come strumento di economia processuale e di accelerazione, risulta
operare nella pratica – anche a prescindere dai pur frequenti
casi di abuso a scopo di dilazione - esattamente in senso contrario e
cioè come fattore di complicazione e di ritardo, oltre che di
incongruo appesantimento del carico di lavoro della Cassazione.
Quest’ultimo profilo è di particolare importanza,
nell’ottica di un progetto che è orientato verso una
deflazione del carico di lavoro della Corte di cassazione (al fine di
valorizzare la sua capacità di svolgere la funzione
nomofilattica) senza però far ricorso a misure straordinarie o
autoritarie.
Il
nuovo art. 45 appare sufficiente a disciplinare l’ipotesi che
il secondo giudice abbia, in tema di competenza, convinzioni diverse
dal primo.
Art.
43
Regolamento
facoltativo di competenza
soppresso
Art.
44
Efficacia
della sentenza che pronunzia sulla competenza
La
sentenza che anche a norma degli articoli 39 e 40 dichiara
l'incompetenza del giudice che l'ha pronunciata, se non è
impugnata rende incontestabile l'incompetenza dichiarata e la
competenza del giudice in essa indicato se la causa è
riassunta nei termini di cui all'aricolo 50.
Art.
45
Sospensione
facoltativa del procedimento riassunto.
Quando,
in seguito alla sentenza che dichiara l’incompetenza del
giudice adito, la causa è riassunta davanti al giudice in essa
indicato questi, se ritiene di essere a sua volta incompetente, può
sospendere il processo davanti a sé fino al passaggio in
giudicato della sentenza che ha deciso la questione di competenza,
autorizzando il compimento degli atti che ritiene urgenti.
NOTA
L’art.
45 regola ora il conflitto negativo di competenza che era a sua volta
espressione del principio secondo cui ciascun giudice è
giudice della propria competenza. Tale principio è stato già
eroso dal codice del 1942 e dalla novella del 1990. Non vi è
nulla che impedisca una soluzione dei conflitti negativi basata sul
giudicato. La possibilità di sospendere il processo in attesa
che il giudicato si formi è rimessa alla concreta valutazione
del caso da parte del giudice il quale sospenderà o meno a
seconda, ad esempio, della sua prognosi sull’esito dell’appello
contro la sentenza che ha declinato la competenza del giudice adito
nell’altro giudizio.
Art.
47
Procedimento
del regolamento di competenza
soppresso
Art.
48. Sospensione dei processi
soppresso
NOTA
Alle
esigenze alle quali risponde la sospensione necessaria di cui
all’art. 48 attualmente in vigore, fa fronte l’art. 45
del progetto in esame, con maggiore flessibilità e più
concreta adeguatezza alle esigenze reali del singolo caso.
Art.
49
Sentenza
di regolamento di competenza
soppresso
Art.
50
Riassunzione
della causa
Se
la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente
avviene nel termine fissato nella sentenza o, in mancanza, nel
termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza che dichiara
l'incompetenza il processo continua avanti al nuovo giudice.
Se
la riassunzione non avviene nei termini su indicati il processo si
estingue.
Art.
70
Intervento
in causa del pubblico ministero
Il
pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità
rilevabile d'ufficio:
1)
nelle cause che egli stesso potrebbe proporre;
2)
nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone e
nelle cause che comportino l’adozione di provvedimenti relativi
a figli minori;
5)
negli altri casi previsti dalla legge.
Deve
intervenire in ogni causa davanti alla Corte di cassazione, salvo
quanto previsto dagli articoli 375 e 380.
Può
infine intervenire in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico
interesse.
Art.
71
Comunicazione
degli atti processuali al pubblico ministero
Il
giudice, davanti al quale è proposta una delle cause indicate
nel primo comma dell'articolo precedente, ordina la comunicazione
degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire.
Lo
stesso ordine il giudice può dare ogni volta che ravvisi uno
dei casi previsti nell'ultimo comma dell'articolo precedente e
quando la causa abbia ad oggetto diritti indisponibili.
Art.
72
Poteri
del pubblico ministero
Il
pubblico ministero, che interviene nelle cause che avrebbe potuto
proporre, ha gli stessi poteri che competono alle parti e li esercita
nelle forme che la legge stabilisce per queste ultime.
Negli
altri casi di intervento previsti nell'art. 70, tranne che nelle
cause davanti alla Corte di cassazione il pubblico ministero può
produrre documenti, dedurre prove, prendere conclusioni nei limiti
delle domande proposte dalle parti.
(soppressi
i commi dal terzo al settimo, che riguardavano l'impugnazione da
parte del pubblico ministero nelle cause matrimoniali)
NOTA
1.
Il progetto si uniforma parzialmente alle indicazioni contenute nel
c.d. disegno di legge Vaccarella e al parere espresso al riguardo dal
gruppo di lavoro istituito dal Consiglio Superiore della Magistratura
(parte 1, n. 2, lett. e), nonché alle misure di modifica del
giudizio civile davanti alla Corte di cassazione contenute nello
schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri in
attuazione della delega contenuta nella legge 80 del 2005. Non viene
quindi accolta l’indicazione contenuta in alcune proposte di
riforma che prevedevano invece una sostanziale modifica diretta e
ridimensionare drasticamente l’intervento in causa del pubblico
ministero nel giudizio civile di cassazione. Al riguardo tali
proposte prevedevano che tale intervento fosse limitato alle cause
trattate a sezioni unite o in camera di consiglio, oltre che a quelle
nelle quali l’ intervento del pubblico ministero è
obbligatorio anche nella fase di merito ai sensi dell’art. 70,
primo comma, Cpc. Il pubblico ministero, secondo le stesse proposte,
poteva poi intervenire anche davanti alle sezioni semplici della
cassazione, ma solo per richiedere che la causa fosse assegnata alle
sezioni unite.
Con
riferimento a tali proposte, la Giunta della Sezione Cassazione dell’
ANM si era espressa negativamente con un documenta approvato
all’unanimità il 10 luglio 2003.
2.
La legge n. 80 del 2005 ha delegato il governo a riformare il
giudizio civile di cassazione e lo schema di decreto legislativo
approvato dal Consiglio dei ministri per dare attuazione a tale
delega contiene norme che disciplinano l’intervento del
pubblico in modo assai diverso e di gran lunga migliore rispetto alle
proposte appena commentate. In particolare nulla è innovato
per quanto riguarda l’intervento nelle pubbliche udienze,
mentre viene reso facoltativo per il pubblico ministero formulare le
proprie conclusioni nei procedimenti in camera di consiglio di cui
all’art. 375 Cpc, eccettuati quelli aventi ad oggetto
regolamenti di giurisdizione (e di competenza). L’innovazione
appare da condividere perché conferma lo stretto collegamento
tra il ruolo del pubblico ministero nel giudizio di legittimità
(penale e civile) e la funzione nomofilattica (funzione che di regola
è assente nei procedimenti di cui all’art. 375 Cpc).
3.
Per quanto riguarda il giudizio di merito, il progetto accoglie
parzialmente le indicazioni contenute nel progetto Vaccarella e
dirette ad eliminare le ipotesi di obbligatorietà
dell’intervento del pubblico ministero nelle cause che egli non
può proporre. Non si è ritenuto di accogliere
totalmente questa indicazione, nonostante che sia generale la
constatazione dell’attuale ineffettività del ruolo del
pubblico ministero, in quanto si ritiene che tale situazione non sia
ineluttabile e che permanga il valore di principio di un pubblico
ministero che abbia il compito di garantire e difendere gli interessi
di coloro che non hanno parola o che comunque si trovano in
situazione di minorata difesa. La possibilità di nomina di un
curatore speciale – la cui previsione è al di fuori
dell’economia di questo progetto - non appare porsi
necessariamente come alternativa e comunque, prima di sceglierla come
tale, appare da approfondire meglio il problema segnalato nel
suddetto parere del gruppo di lavoro del Consiglio Superiore della
Magistratura e cioè che, in un contesto di conclamata
inadeguatezza dello schema tradizionale del processo giudiziario come
“lite tra due parti” (“Zweiparteinprozess”)a
tutelare le situazioni giuridiche collettive e quelle proprie di
soggetti deboli, la riqualificazione del potere di intervento del
pubblico ministero e l’attribuzione ad esso di un generale
potere d’azione in tutti i casi in cui possa ravvisarsi un
pubblico interesse potrebbe costituire uno degli strumenti utili per
realizzazione, in questi casi, forme più efficaci di tutela.
Resta
fermo ovviamente che una razionalizzazione e una valorizzazione del
ruolo del pubblico ministero in materia civile non possono
prescindere da un’adeguata ed opportuna dotazione organica
oltre che da una adeguata professionalità.
Art.
77
Rappresentanza
del procuratore e dell’institore
Il
procuratore generale o quello preposto a determinati affari non
possono stare in giudizio per il preponente quando questo potere non
è stato loro conferito espressamente per iscritto, tranne che
per gli atti urgenti e per le misure cautelari.
Tale
potere si presume conferito al procuratore generale di chi non ha
residenza o domicilio nello Stato e all'institore.
Salvo
quanto diversamente previsto da specifiche norme di legge, la
rappresentanza processuale può essere conferita anche a chi
non sia investito del potere di rappresentanza sostanziale.
NOTA
La
regola – di origine esclusivamente giurisprudenziale –
secondo cui la rappresentanza processuale di cui all’art. 77
Cpc può essere conferita solo a chi sia investito di un potere
rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto
in giudizio, non appare avere alcuna base di principio né
alcuna giustificazione funzionale. La sua espressa abolizione
risponde ad esigenze di semplificazione e di adeguamento alle
esigenze della prassi..
Art.
92
Condanna
alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese
Il
giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo
precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute
dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può,
indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso
delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere
di cui all’art. 88, essa ha causato all’altra parte.
Il
giudice, se accoglie la domanda in misura non superiore all’offerta
di cui all’articolo 183, secondo comma, condanna la parte che
ha rifiutato senza giusti motivi la proposta conciliativa alle spese
dell’ulteriore svolgimento del processo, salvo quanto disposto
dal comma seguente.
Se
vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi,
esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può
compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti
Se
le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo
che le parti stesse abbiano diversamente convenuto.
NOTA
La
norma del secondo comma è in qualche modo ispirata al”
payment into court” del processo inglese, uno dei tanti
strumenti che valgono in qual paese a far sì che solo il 5%
circa dei processi civili arrivi a sentenza. Da noi l’efficacia
deterrente della disposizione non potrebbe essere analoga, dato che
in Italia le spese legali sono enormemente più basse.
Terzo
comma: non è da accogliere a cuor leggero – in una
proposta di riforma che dovrebbe essere diretta a rendere più
ragionevole la durata dei processi - una modifica che introduce un
ulteriore onere di motivazione e che cioè aggrava
ulteriormente proprio l’incombenza che più incide su
tale durata (il cd “collo di bottiglia” è appunto
rappresentato dalla motivazione delle decisioni). Ma su questo
aspetto vi è una diffusa sensibilità-suscettibilità,
probabilmente derivata anche da un uso a volte troppo sciatto e
arbitrario del potere di compensare, il che rende opportuno
accogliere la proposta.
Art.
96
Responsabilità
aggravata
Il
giudice condanna al pagamento di una pena pecuniaria, in misura non
superiore al doppio della somma liquidabile per le spese di lite, la
parte soccombente che ha agito anche in via cautelare, o resistito in
giudizio con malafede o colpa grave, ovvero che per malafede o colpa
grave ha proposto un’impugnazione manifestamente inammissibile
o manifestamente infondata.
Nei
casi previsti dal comma precedente, su istanza della parte
interessata, il giudice condanna altresì la parte soccombente
al risarcimento del danno, anche non patrimoniale.
Il
giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è
stato eseguito un provvedimento cautelare o trascritta domanda
giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta
l’esecuzione forzata, condanna la parte procedente che ha agito
senza la normale prudenza al risarcimento del danno anche non
patrimoniale in favore dell’altra parte che ne abbia fatto
domanda.
Nei
casi previsti dai commi precedenti l’ammontare del risarcimento
del danno è determinato in misura non inferiore al doppio
della somma minima liquidabile per le spese del giudizio.
NOTA
Per
quanto riguarda la responsabilità processuale aggravata, è
apparso opportuno prevedere due distinti istituti: una pena
pecuniaria a favore della cassa delle ammende a titolo di riparazione
del danno che l’azione (o la resistenza) temeraria ha provocato
alla funzione pubblica, contribuendo ad ingolfare il carico
giudiziario e quindi a ritardare la definizione di tutti gli altri
processi; un vero e proprio risarcimento del danno anche non
patrimoniale(in funzione reintegratoria ma anche dissuasiva-punitiva)
a favore dell’altra parte (che ne faccia richiesta: non vi è
ragione qui per derogare al principio della domanda e la funzione
pubblicistica della sanzione è già assolta dall'ammenda
di cui sopra) con la fissazione di un minimo predeterminato, tale da
esonerare il danneggiato dall’onere di dare la prova del danno
concretamente subito e dell’entità di esso, salvo che
egli non chieda un risarcimento superiore al minimo previsto dalla
legge. Tale minimo corrisponde all’esigenza di non lasciare
senza riparazione il “disturbo”, la perdita di tempo, lo
stress e l’impegno in attività preordinate alla propria
difesa che di regola si accompagnano alla necessità di agire o
resistere in giudizio anche quando le ragioni dell’altra parte
sono manifestamente pretestuose e temerarie.
La
norma proposta si pone sulla scia dell’attuale orientamento
favorevole all’estensione della risarcibilità del danno
non patrimoniale ad ipotesi diverse da quella del danno derivante da
reato.
Art.
101
Principio
del contraddittorio
Il
giudice, salvo che la legge non disponga altrimenti, non può
statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è
stata proposta non stata regolarmente citata e non è comparsa.
Il
giudice non può decidere la causa sulla base di una questione
che egli abbia rilevato d'ufficio senza aver prima invitato le parti
a dedurre in ordine ad essa
NOTA
La
modificazione all’art. 101 così proposta riproduce
sostanzialmente il terzo comma dell’art. 16 del codice di rito
francese ed è diretta ad affermare il principio, chiaramente
espresso dal primo comma di quest’ultima disposizione, secondo
cui “il giudice deve in ogni circostanza far rispettare il
contraddittorio e rispettarlo egli stesso”. Data l’efficacia
e l’eleganza della formulazione sarebbe forse opportuno
riprodurre questa formula precettiva anche come primo comma della
corrispondente disposizione italiana
Art.
112
Poteri
del giudice
Il
giudice esercita tutti i poteri intesi a garantire il diritto delle
parti alla difesa e al contraddittorio in condizioni di effettiva
parità nonché ad assicurare, con la collaborazione
delle parti, che il processo si svolga e sia definito in modo giusto,
sollecito e leale.
Egli
fissa le udienze successive alla prima e i termini, anche perentori,
entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali.
Il
giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di
essa e non può pronunziare su eccezioni che non siano state
proposte dalle parti, se la legge non dispone che esse siano
rilevabili d'ufficio.
Formulazione
alternativa:
Il
giudice esercita, tutti i poteri intesi ad assicurare che il processo
si svolga e sia definito in modo giusto, sollecito e leale nonché
a garantire, con la collaborazione delle parti, il diritto delle
parti alla difesa e al contraddittorio in condizioni di effettiva
parità.
Egli
fissa le udienze successive alla prima e i termini, anche perentori,
entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali.
Il
giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di
essa e non può pronunziare d’ufficio su eccezioni, che
possono essere proposte soltanto dalle parti.
La
decisione non può fondarsi su fatti che le parti non abbiano
tempestivamente allegato nei loro atti difensivi o nelle
dichiarazioni rese in udienza, salvo che non si tratti di eccezioni
che la legge espressamente dichiari rilevabili d’ufficio.
NOTA
1.
Nella riformulazione qui proposta l'art. 112 costituisce la norma
generale sui poteri del giudice e comprende una più compiuta
enunciazione degli obiettivi che il giudice deve perseguire, dei
criteri che deve osservare e dei limiti che deve rispettare
nell’esercizio di tali poteri. Tali obiettivi, criteri e limiti
sono, ovviamente, anche i parametri per il controllo – da parte
della difesa delle parti e da parte del giudice dell’impugnazione
- sulla correttezza dell’esercizio dei poteri discrezionali del
giudice. La norma proposta assorbe l’attuale art. 175 cod.
proc. civ.
2.
La modificazione riguardante l’articolo 112, terzo comma, è
di estrema delicatezza e di grande portata. Essa è diretta:
a)
a ridurre drasticamente la possibilità per il giudice di
rilevare d’ufficio le eccezioni – ed in particolare
quelle di merito (alle quali potrebbe eventualmente essere limitata
la modificazione) rispetto alla situazione attuale in cui, secondo la
prevalente dottrina e la recente giurisprudenza delle Sezioni unite,
il giudice può/deve sempre rilevare d’ufficio le
eccezioni salvo che si tratti delle rare ipotesi di eccezioni
riservate dalla legge espressamente o implicitamente alla parte;
b)
soprattutto – ed è questa la ragione essenziale
dell’innovazione proposta - verrebbero ridotte le eccezioni per
le quali non operano le preclusioni in primo grado e in appello,
posto che, come è noto, le preclusioni stesse non operano per
le eccezioni rilevabili d’ufficio.
È
chiaro che eliminare la generale rilevabilità d’ufficio
delle eccezioni implica un maggior rischio di sentenze
sostanzialmente ingiuste, posto che mentre la domanda non proposta e
quindi preclusa può, di regola, essere proposta in altra sede
(non sempre, dato che essa può essere travolta dalla regola
secondo cui il giudicato copre anche il deducibile), l’eccezione
non proposta è preclusa per sempre. Peraltro l’esperienza
appare dimostrare che la rilevabilità d’ufficio delle
eccezioni è di regola funzionale non a scopi di giustizia ma a
trabocchetti o espedienti processuali. In definitiva, comunque,
appare impossibile perseguire traguardi di maggiore efficienza del
processo senza far leva su una piena assunzione di responsabilità
in capo alle parti
Piuttosto
appare opportuno adottare strumenti che consentano al giudice di
rimettere le parti in termini – per la proposizione delle
eccezioni precluse – ogniqualvolta vi siano buone ragioni per
farlo (nell’ottica di un processo che – molto di più
di quanto non faccia il rito attuale e di quanto non auspichino
alcune attuali tendenze - si affidi molto alla ragionevole
discrezionalità del giudice per un giusto ed efficiente
governo del processo)
Infine
sarebbe sempre possibile esplicitare la rilevabilità d’ufficio
di alcune specifiche tipologie di eccezioni per le quali ciò
appaia giustificato.
3.
La tendenziale esclusione della rilevabilità d’ufficio
delle eccezioni non di ordine pubblico o comunque non dichiarate
espressamente dalla legge come rilevabili d’ufficio potrebbe
apparire troppo drastica in ragione di una pluralità di
motivi. Non solo per quanto si è detto prima circa il maggior
rischio di sentenze sostanzialmente ingiuste (e cioè, in
questo caso, di sentenze che riconoscano un diritto inesistente,
perché estinto, impedito o modificato) derivante dal fatto che
l’eccezione non proposta è preclusa per sempre. Vi è
anche che questa misura potrebbe essere considerata in contrasto con
il fondamentale principio “jura novit curia” (ipotizzando
la riconducibilità a tale principio del rilievo d’ufficio
dell’effetto estintivo, impeditivo o modificativo). Infine, può
apparire incongruo eliminare la rilevabilità d’ufficio
delle eccezioni in un progetto che è orientato a valorizzare i
poteri del giudice al fine di garantire una maggiore giustizia del
processo.
D’altro
canto la disciplina attuale – che contempla una piena
rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato e
ad essa collega l’esclusione per esse del regime delle
preclusioni e decadenze - non è in alcun modo compatibile con
una gestione razionale e ordinata del processo, specie se questo
assetto lo si combina con la libera producibilità di documenti
in appello (l’idea, che pure alcuni prospettano, di eliminare
“in toto” le preclusioni in appello è palesemente
opposta alle idee di fondo che ispirano questo progetto e non può
quindi essere presa qui in considerazione).
Una
soluzione meno drastica può forse essere cercata sul terreno
del potere di allegazione, che è certamente un potere
riservato alla parte il cui esercizio non può che essere
soggetto a preclusioni, come accade per tutti i poteri processuali
delle parti
Seguendo
le orme di Fabbrini è da osservare che la proposizione di
un’eccezione di merito è un’attività che
può essere analiticamente scomposta nel senso che essa
richiede, congiuntamente: a) allegare un fatto; b) chiedere
il riconoscimento e l'applicazione della sua efficacia estintiva,
impeditiva o modificativa dell’effetto giuridico del fatto
dedotto dalla controparte come costitutivo del diritto (o comunque
dell’effetto giuridico) da essa fatto valere in giudizio.
Questa seconda attività appare diversa sia dalla
qualificazione giuridica del fatto dedotto in eccezione – che è
qualcosa che segue logicamente l’allegazione del fatto e che
non è necessario che sia espressa dalla parte, essendo
sufficiente che vi provveda il giudice – sia dalla richiesta di
rigetto totale o parziale della domanda, che pure normalmente è
implicata dalla proposizione dell’eccezione. L’allegazione
di fatti deducibili come eccezioni deve ritenersi riservata alle
parti. Di regola, quindi, e salvo che non si tratti di materia
sottratta alla disponibilità delle parti, il potere del
giudice di rilevare d’ufficio le eccezioni in senso lato
significa rilevare ed applicare d’ufficio l’effetto
estintivo, modificativo o impeditivo , anche se non dedotto dalla
parte che vi aveva interesse, ma non comporta anche il potere di
considerare allegati fatti che non siano stati affermati dalle parti
ma che risaltino dal materiale probatorio (per Oriani, invece,
l’eccezione rilevabile d’ufficio è rilevabile,
durante tutto il corso del processo, anche dal materiale probatorio,
salva l’applicazione dell'art. 184 bis). Adottare la
soluzione qui abbozzata renderebbe necessario introdurre una
esplicita disciplina per l’introduzione di fatti nuovi nel
processo (a ben vedere tale necessità sussiste già
ora). L’introduzione di fatti nuovi nel processo dovrebbe
essere assoggettata alla stessa disciplina attualmente prevista per
le eccezioni in senso stretto.
Adottando
questa impostazione il secondo comma dell’art. 112 potrebbe
essere mantenuto nella sua formulazione attuale con l’aggiunta
di un terzo comma quale appare nella formulazione alternativa sopra
riportata. Il termine finale per l’esercizio del potere di
allegazione sarebbe quello della conclusione della fase di
trattazione, ma resterebbe integra la rilevabilità d’ufficio
– anche dal materiale istruttorio o da fatti tardivamente
allegati – delle eccezioni che, per essere espressamente
dichiarate rilevabili d'ufficio dalla legge, possono essere
considerate come collegate ad un interesse superiore a quello
meramente privato
Art.
115
Disponibilità
delle prove
Salvi
i casi previsti dalla legge il giudice deve porre a fondamento della
decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero e
quelle acquisite d’ufficio.
Può
tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione
i fatti non specificamente contestati e le nozioni di fatto
che rientrano nella comune esperienza.
Le
parti costituite debbono chiarire le circostanze di fatto rilevanti
per la causa in modo completo e veritiero.
La
parte che contesta i fatti dedotti dall’altra deve esporre la
propria versione della vicenda.
La
dichiarazione di non essere a conoscenza del fatto è
ammissibile solo se relativa a fatti che non siano stati compiuti
dalla parte o alla sua presenza e dei quali la parte non abbia potuto
acquisire conoscenza usando la normale diligenza.
Il
giudice può ritenere provati i fatti ritualmente dedotti da
una parte se essi non siano stati specificamente contestati dalla
parte costituita che aveva interesse a negarli.
Il
giudice, sentite le parti, può disporre d’ufficio in
qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova ad
eccezione del giuramento decisorio, consentendo comunque alle parti
di apportare alle proprie richieste istruttorie le integrazione rese
necessarie dall’ammissione di ufficio.
NOTA
1.
La norma contiene due precetti nuovi.
Il
primo è rappresentato dall’esplicitazione,
specificazione e rafforzamento di quell’obbligo di leale
collaborazione che già ora l’art. 416 e l’art. 167
Cpc impongono al convenuto. La norma prevede ora che ciascuna delle
parti deve dire esplicitamente la propria versione dei fatti dedotti
dall’altra parte. Si tratta di un onere (tale sul piano
probatorio) di dire la verità, anche se tale formula sembra
incontrare ingiustificate resistenze. La formulazione è tratta
dall’articolo 138 del codice di procedura civile tedesco.
Nonostante lo stretto collegamento con il dovere di lealtà di
cui all’art. 88, appare più opportuna la collocazione
della norma in questo luogo, anziché dopo l’art. 88,
perchè si tratta di norma che riguarda la prova e non –
almeno non principalmente - la sanzione per la violazione del dovere
di lealtà. Il brocardo secondo cui “nemo tenetur edere
contra se” o” nemo tenetur se detegere” non appare
aver fondamento in alcun principio riconosciuto come tale (al di la
della testimonianza). Sembra invece che nel principio di lealtà
sia insito il dovere di non mentire, di non imbrogliare e di non
ostacolare passivamente l’accertamento dei fatti. Occorre
sottolineare la radicale differenza tra processo penale e processo
civile. Nel primo è coinvolta la libertà personale e,
conseguentemente, la c.d. presunzione di innocenza. Nel processo
civile le parti stanno davanti al giudice su un piede di parità
ed il processo è consacrato dalla Costituzione come strumento
per proteggere il diritto di chi effettivamente ce l’ha.
2.
In secondo luogo la proposta introduce un generale potere istruttorio
d’ufficio. Si tratta di una naturale implicazione del principio
del giusto processo, il quale comporta che il processo deve essere
disciplinato e gestito in modo tale da tendere all’accertamento
della verità. Il potere di disporre mezzi di prova d’ufficio
ha una funzione meramente integrativa - così come è per
le numerose ipotesi in cui il codice di rito già ora prevede
il potere istruttorio d’ufficio – e tale potere deve
essere esercitato in modo da corrispondere ai fini, ai criteri e ai
limiti di cui all’art. 112 primo comma, nella versione qui
proposta. Il generale potere istruttorio d’ufficio previsto per
il rito del lavoro dall’art. 421 Cpc non ha concretizzato
alcuno di quei rischi per l'imparzialità del giudice che
alcuni commentatori avevano preconizzato trent’anni fa.
Art.
116
Valutazione
delle prove
Il
giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento,
salvo che la legge disponga altrimenti.
Il
giudice può desumere elementi di prova dalle risposte
che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro
rifiuto ingiustificato ad ottemperare agli ordini di esibizione e
a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in generale,
dal contegno delle parti stesse nel processo.
NOTA
La
norma – nella parte in cui stabilisce che dalle risposte
all’interrogatorio libero sono desumibili “elementi”
e non solo “argomenti” di prova è utile ma non
rivoluzionaria, dato che la giurisprudenza pratica fortunatamente
ignora i virtuosismi della dottrina a proposito del valore probatorio
di tali risposte. Serve per valorizzare – in combinazione con
le altre norme qui proposte – l’istituto
dell’interrogatorio libero, in conformità all’intenzione
originaria del legislatore.
Corrisponde
all’interpretazione giurisprudenziale corrente anche
l’equiparazione dell'inottemperanza all’ordine di
esibizione per quanto riguarda la possibilità di desumere
argomenti di prova.
È
apparso opportuno anche assimilare il rifiuto ingiustificato di
ottemperare all'ordine di esibizione o di ispezione alle risposte
date all’interrogatorio libero e considerare tale
ingiustificata inottemperanza quale fonte di elementi e non solo di
argomenti di prova. Si ottiene così una sorta di equiparazione
di detta inottemperanza alla mancata risposta all’interrogatorio
formale e ciò appare coerente con un modello processuale che
rafforza il dovere di leale collaborazione e ne sanziona la
violazione sul piano probatorio.
Art.
118
Ordine
di ispezione di persone o cose
Il
giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla
loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono
indispensabili per conoscere i fatti della causa purché ciò
possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo e senza
costringerli a violare uno dei segreti previsti negli articoli 351 e
352 del codice di procedura penale.
Se
la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo il
giudice può desumere da questo rifiuto elementi di
prova a norma dell'art. 116 secondo comma.
Se
rifiuta il terzo, il giudice lo condanna ad una pena pecuniaria non
inferiore a 100 euro e non superiore a 1.000 euro.
NOTA
Vedi
la nota precedente.
Art.
132
Pubblicazione
e comunicazione della sentenza
La
sentenza reca l’intestazione: «Repubblica Italiana»,
ed è pronunciata «In nome del popolo italiano».
Essa
deve contenere:
1)
l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata;
2)
l’indicazione delle parti e dei loro difensori;
3)
le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti;
4)
la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in
fatto e in diritto della decisione;
5)
il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del
giudice. La sentenza emessa dal giudice collegiale è
sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Se il
presidente non può sottoscrivere per morte o per altro
impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più
anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia
menzionato l’impedimento; se l’estensore non può
sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è
sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché
prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento.
Se
la decisione è basata sulla manifesta fondatezza o
infondatezza delle ragioni addotte dall'una o dall'altra parte, la
sentenza può contenere esclusivamente, oltre al dispositivo ed
alle indicazioni previste dai numeri 1) e 2), la sommaria indicazione
dei motivi di fatto e di diritto della decisione.
In
ogni caso il giudice, se tutte le parti sono costituite, può
limitarsi alla mera indicazione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione riservandosi di integrare la motivazione con
l’illustrazione dei soli motivi già indicati se le
parti, o una di esse, ne facciano richiesta con atto depositato in
cancelleria entro il termine perentorio di trenta giorni dalla
comunicazione della sentenza.
NOTA
Cfr.
art. 329 terzo comma.
Art.
133
Pubblicazione
e comunicazione della sentenza.
La
sentenza è resa pubblica mediante il deposito nella
cancelleria del giudice che l'ha pronunciata.
Il
cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi
appone immediatamente la data e la firma, ed entro cinque
giorni, mediante biglietto di cancelleria contenente il dispositivo,
ne dà notizia alle parti che si sono costituite.
Se
la sentenza è pronunziata nelle forme previste dal quinto
comma dell’articolo precedente e una delle parti presenta
tempestivamente la richiesta di illustrazione dei motivi, la sentenza
si intende depositata, agli effetti dei termini per le impugnazioni,
alla data di deposito dell’integrazione illustrativa.
L’avviso
di cui al secondo comma può essere effettuato a mezzo telefax
o a mezzo di posta elettronica, qualora sia possibile certificare il
ricevimento. A tal fine il difensore indica nel primo scritto
difensivo utile il numero di fax o indirizzo di posta elettronica
presso cui dichiara di voler ricevere l'avviso.
NOTA
1.
Le innovazioni proposte sono dirette ad introdurre forme semplificate
di motivazione, sulla base della considerazione che la motivazione
costituisce una garanzia essenziale per le parti e per i cittadini –
oltre che un imprescindibile obbligo costituzionale – ma
rappresenta anche il maggior fattore di ritardo nella trattazione dei
processi (il cd “collo di bottiglia”). Appare quindi un
congruo rimedio quello di dimensionare la completezza e
l’approfondimento della motivazione alle effettive esigenze del
caso, anche quali sono avvertite dalle parti. Essa serve anche, in
sostanza, a permettere e sollecitare la sentenza in forma contratta
pur se il giudice non ritenga di avvalersi del 281 sexies.
Tale norma resterebbe come norma speciale e prevalente e quindi
continuerebbe a permettere l’omissione delle indicazioni di cui
ai nn. 1 e 2.
La
seconda forma semplificata di motivazione appare appropriata ai casi
di controversia semplice quando si può presumere che le parti
potrebbero non aver intenzione di impugnare la decisione.
L’innovazione è applicabile anche nel caso di sentenza
pronunziata ai sensi dell’art. 281 sexies ed anzi
dovrebbe incentivare grandemente questa forma di decisione; essa
consente inoltre di estendere la possibilità di decisione
immediata anche ai procedimenti collegiali (cfr la nuova versione
proposta per l’art. 281 sexies).
Considerando
anche la forma di sentenza prevista dall'art. 281 sexies, si
ha che il giudice ha a propria disposizione una serie di modelli di
motivazione tra i quali scegliere in ragione sia della natura e della
complessità della causa sia delle attitudini e delle
inclinazioni personali del giudice stesso. Questa dovrebbe essere un
modo utile per allargare il famigerato “collo di bottiglia”.
Ciò che distingue il modello d sentenza previsto dall’ultimo
comma dell’art. 132 e dall’ultimo comma dell’art.
281 sexies è che in esso vengono solamente indicate,
per sommario, le ragioni immediate e dirette della decisione, senza
dar conto dell’iter logico che ha portato a tale ratio
decidendi.
2.
Il testo dell’ultimo comma riproduce una modificazione proposta
dalla cd miniriforma.
Articolo
152
Termini
legali e termini giudiziali
I
termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti
dalla legge; possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di
decadenza se la legge non dispone altrimenti.
I
termini sono ordinatori, se la legge o il giudice non dispongono che
essi siano perentori.
NOTA
L'attuale
formulazione dell’art. 152, secondo cui il giudice può
fissare termini perentori solo nei casi in cui la legge lo consente,
non appare aver alcuna giustificazione e rappresenta un ostacolo
incongruo ad un’efficace direzione del procedimento da parte
del giudice. L’incongruenza è poi aggravata dalla
imperfetta disciplina del termine ordinatorio, specie per quanto
riguarda gli effetti della sua inosservanza.
Art.
153
Improrogabilità
dei termini perentori
I
termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati nemmeno
sull’accordo delle parti. Il giudice può tuttavia
prorogare il termine perentorio, prima della scadenza, su istanza
della parte che dimostri l’impossibilità o la grave
difficoltà, per causa ad essa non imputabile, di osservare il
termine stesso.
NOTA
È
apparso opportuno modificare l’art. 153, riconoscendo al
giudice un limitato potere di proroga del termine perentorio - da
esercitarsi in presenza di giustificati motivi – in
correlazione con la nuova disciplina per la rimessione in termini.
Art.
165
Costituzione
dell’attore
L'attore,
entro dieci giorni dal perfezionamento nei riguardi del convenuto,
della notificazione della citazione, ovvero entro cinque giorni
nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma
dell’art. 163 bis, deve costituirsi in giudizio a mezzo del
procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge
depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo e il
proprio fascicolo contenente l’originale della citazione, la
procura e i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce
personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel
comune ove ha sede il tribunale.
I
termini di cui al comma 1, se la citazione è notificata a più
persone, decorrono dalla data dell'ultima notificazione.
Art.
167
Comparsa
di risposta
NOTA
La
legge 80 del 2005 ha modificato l'articolo 167 ripristinando l’onere
del convenuto di proporre nella comparsa di risposta, a pena di
decadenza, non solo le domande riconvenzionali ma anche le eccezioni
non rilevabili d’ufficio, così come era previsto nella
novella del 1990, prima della contro-novella del 1995. L’innovazione
appare pienamente in linea con l’ispirazione del presente
progetto e quindi nulla vi è più da proporre al
riguardo.
Art.
170
Notificazioni
e comunicazioni nel corso del procedimento
Dopo
la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni
si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga
altrimenti .
È
sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto, anche se
il procuratore è costituito per più parti. La
disposizione si applica anche agli atti di impugnazione.
Le
notificazioni e le comunicazioni alla parte che si è
costituita personalmente si fanno nella residenza dichiarata o nel
domicilio eletto .
Le
comparse e le memorie consentite dal giudice si comunicano mediante
deposito in cancelleria oppure mediante notificazione o mediante
scambio documentato con l’apposizione sull’originale, in
calce o in margine, del visto della parte o del procuratore. Il
giudice può autorizzare per singoli atti, in qualunque stato e
grado del giudizio, che lo scambio o le comunicazioni di cui al
presente comma possano avvenire anche a mezzo telefax o posta
elettronica.
Art.
175
Direzione
del procedimento
soppresso:
la norma è assorbita dal nuovo testo dell’art. 112
Art.
180
Forma
della trattazione
La
trattazione della causa è orale.
Il
giudice può autorizzare, qualora lo ritenga indispensabile
comunicazioni di comparse a norma dell'art. 170 ultimo comma,
rinviando l'udienza di trattazione.
Le
udienze di mero rinvio sono vietate, salvo che le parti costituite ne
facciano concordemente richiesta motivata ed il giudice ne ravvisi
l'opportunità.
Della
trattazione della causa si redige processo verbale a cura del
cancelliere, sotto la direzione del giudice.
All’udienza
di trattazione, il giudice prospetta, concordandolo se possibile con
le parti, il programma che verrà seguito, salvo fatti
sopravvenuti, per l’ulteriore svolgimento del processo, con
l’indicazione del calendario delle udienze successive e degli
incombenti che in esse verranno espletati.
Il
giudice ricorda i doveri di correttezza e di leale collaborazione che
incombono sulle parti, sui loro difensori e sul giudice e a tal fine
può richiamarsi alle prassi e ai criteri che, nell’ambito
delle norme di legge, siano stati eventualmente concordati, sia pure
in modo informale e giuridicamente non vincolante, tra magistratura e
avvocatura, anche con riferimento al singolo ufficio giudiziario.
NOTA
La
disposizione non precisa in quale momento della fase di trattazione
deve collocarsi la enunciazione del programma per il successivo
svolgimento del processo, così come non precisa quali siano
gli effetti giuridici di tale programma. Appare chiaro, senza bisogno
che sia la norma a specificarlo, che il programma potrà essere
delineato una volta conclusa la trattazione e cioè dopo che
sia stato espletato l’interrogatorio libero, che sia stata
vanamente tentata la conciliazione e che siano state ammesse le
prove. Nessuna sanzione è prevista e nessun effetto giuridico
viene ipotizzato per il caso di mancata enunciazione del programma o
di ingiustificata inosservanza dello stesso: l’unica
conseguenza sarà una valutazione negativa sulla
professionalità e sulla correttezza del giudice. Non è
irragionevole è sperare che una simile “sanzione”
possa essere più efficace di vere e proprie sanzioni formali.
Il
penultimo, ma soprattutto l’ultimo comma riproducono in qualche
modo alcuni dei criteri guida, delle fondamentali linee ispiratrici
del progetto: la correttezza, la responsabilità e la
collaborazione, intesa quest’ultima non solo come canone
concreto di correttezza ma anche come fonte di prassi e criteri la
cui osservanza costituisca, appunto, un obbligo di correttezza. Il
richiamo è ovviamente ai” protocolli” la cui
elaborazione costituisce uno dei portati più significativi
dell’esperienza degli Osservatori sulla giustizia civile.
Un’esperienza che la norma è diretta a riconoscere e ad
accogliere, senza però tentare di giuridificarla. Sarebbe
impossibile e sbagliato ingabbiare l'esperienza degli Osservatori in
una disposizione normativa. E ci si rende anche conto che la norma
che proponiamo ha un carattere più esortativo che
giuridicamente precettivo. Ma, come diceva Pino Borrè, le
norme processuali possono educare e possono diseducare. Il nostro
processo civile ha soprattutto bisogno, crediamo, di una nuova
educazione processuale, se non proprio di educazione tout court.
È anche a questo bisogno – un bisogno sopratutto di
metodo più che di contenuto – che gli Osservatori
cercano, a nostro avviso, di trovare una risposta o quanto meno di
individuare il percorso per una ricerca comune di tale risposta. Il
“messaggio” contenuto negli ultimi due commi costituisce
appunto un segnale che indirizza verso questo percorso comune, nel
quale collaborazione e correttezza sono impegni reciproci delle parti
tra di loro e nei confronti del giudice, ma anche del giudice nei
confronti degli altri protagonisti del processo.
Art.
181
Mancata
comparizione delle parti
Se
nessuna delle parti comparisce nella prima udienza, il giudice fissa
una udienza successiva a distanza di non meno di trenta giorni. Se
nessuna delle parti comparisce alla nuova udienza, il giudice, con
ordinanza non impugnabile, dispone la cancellazione della causa dal
ruolo.
Se
l’attore costituito non comparisce alla prima udienza e il
convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, il giudice
fissa una nuova udienza a distanza non inferiore a trenta giorni. Se
questi non comparisce alla nuova udienza, il giudice, se il convenuto
non chiede che si proceda in assenza di lui, ordina che la causa sia
cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo.
NOTA
Viene
eliminata la comunicazione dell’ordinanza di rinvio. Le parti
hanno ampia possibilità di informarsi circa la data alla quale
la causa è stata rinviata a causa della loro assenza.
Art.
182
Difetto
di rappresentanza o di autorizzazione
Il
giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità
della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a
completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce
difettosi.
Quando
rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di
autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità
della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un
termine perentorio per la costituzione della persona alla quale
spetta la rappresentanza o l'assistenza o per il rilascio delle
necessarie autorizzazioni o per la rinnovazione della procura con
ratifica degli atti già compiuti.
L'osservanza
del termine di cui al comma precedente per la costituzione in
giudizio del rappresentante, per la richiesta dell'autorizzazione o
per il deposito della nuova procura impedisce ogni decadenza.
NOTA
La
proposta è diretta a generalizzare il principio di sanabilità
delle nullità e dell’obbligo del giudice di provvedere a
far rinnovare gli atti nulli introdotto dalla riforma del 1990 con il
nuovo testo dell’art. 164 cpc.
Art.
183
Prima
udienza di trattazione
Nella
prima udienza di trattazione il giudice, verifica d’ufficio la
regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i
provvedimenti previsti dall’articolo 102, secondo comma,
dall’articolo 164, dall’articolo 167, dall’articolo
182 e dall’articolo 291, primo comma, fissando eventualmente
una nuova udienza di trattazione.
Nella
medesima udienza, o in quella successiva eventualmente fissata ai
sensi del comma precedente, interroga liberamente le parti presenti
e, quando la natura della causa lo consente, tenta la conciliazione
suggerendo anche alle parti le ipotesi conciliative che ritiene
opportuno formulare. Ciascuna parte è tenuta a specificare a
quali condizioni è disposta a definire la controversia. La
mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo
costituisce comportamento valutabile ai sensi del secondo comma
dell’art. 116.
Le
parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore
generale o speciale, il quale deve essere a conoscenza dei fatti
della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o
scrittura privata autenticata, e deve attribuire al procuratore il
potere di conciliare o transigere la controversia. La mancata
conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del
procuratore è valutabile ai sensi del secondo comma dell’art.
116.
Il
giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i
chiarimenti necessari e indica le questioni delle quali
ritiene opportuna la trattazione.
Nella
stessa udienza l’attore può proporre, a pena di
decadenza, salvo quanto previsto dal comma successivo, le eccezioni
che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni
proposte dal convenuto nella comparsa di risposta. Può altresì
chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo in causa ai sensi
degli artt. 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza è
sorta dalle difese del convenuto. Entrambe le parti possono, a pena
di decadenza, precisare e modificare le domande, le eccezioni e le
conclusioni già formulate, chiedere l'ammissione di altri
mezzi di prova e replicare alle allegazioni dell'altra parte
anche proponendo nuove eccezioni che siano conseguenza di quelle da
essa proposte.
Su
istanza di parte, il giudice, se ritiene giustificata la richiesta,
fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni per il
deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazioni delle
domande, delle eccezioni e delle deduzioni istruttorie già
proposte nonché nuove eccezioni e deduzioni istruttorie che
siano conseguenza delle nuove domande, eccezioni e allegazioni
proposte dall’altra parte ai sensi del comma precedente.
Può altresì concedere alle parti un successivo termine
perentorio non superiore a trenta giorni per replicare alle eccezioni
nuove o modificate dell’altra parte e per proporre le eccezioni
che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime. Con la
stessa ordinanza il giudice fissa l’udienza per i provvedimenti
di cui all’art. 184.
Quando
non provvede ai sensi del comma che precede il giudice assume i
provvedimenti di cui all'art. 184 primo comma.
NOTA
1.
Dopo la riforma del 1990, il testo dell’art. 183 – che in
quel modello rappresentava uno dei cardini della riforma perché
ne traduceva la linea portante: lo spostamento del baricentro del
processo nel giudizio di primo grado e lo spostamento del baricentro
del giudizio di primo grado nella fase di trattazione – ha
subito alcuni stravolgimenti, il primo dei quali attuato con la
micro-contro-riforma del 1995 – che ha introdotto la
ripartizione in due-tre-quattro udienze della fase di trattazione –
ed il secondo con la legge n. 80 del 2005 che ha eliminato la
rigidità di tale ripartizione cronologica, ma ha anche
sciaguratamente eliminato l’interrogatorio libero delle parti
ed il tentativo di conciliazione.
La
fase della trattazione, nel modello che proponiamo, è
configurata in modo tale da poter essere tutta svolta in un’udienza
ogni qual volta può essere tutta svolta in un’udienza.
Intendiamo dire – con questa formula ispirata alla semplicità
dell’ovvio - che il processo deve essere regolato secondo la
normale natura delle cose e non reso complicato in vista di accidenti
ipotetici, strani, eccezionali. Le evenienze ipotetiche od
eccezionali non richiedono che si modelli su di esse la regola
generale, ma richiedono che vi siano clausole di apertura e di
flessibilità capaci di rendere giusto il processo anche in
tali ipotetiche situazioni. Il modello, in definitiva, è molto
simile a quello del processo del lavoro, che per questo aspetto ha
funzionato benissimo e non vi è quindi alcun motivo per non
adottarlo, dato che esso, nella realtà pratica, non determina
nessuna delle drastiche rigidità che gli vennero a suo tempo
attribuite. Occorre partire dalla considerazione che nella maggior
parte dei processi – specie dopo che il dovere di mettere
subito e lealmente tutte le proprie carte in tavola sarà reso
più effettivo dalla nuova formulazione degli articoli 115 e
167 - la trattazione risultante dall’atto di citazione e dalla
comparsa di risposta sarà più che sufficiente, specie
con i chiarimenti che il giudice può chiedere alla parti e con
i chiarimenti, le integrazioni e le rettifiche che possono emergere
dall’interrogatorio libero. Quando sorga effettivamente la
necessità per l’attore di replicare (in senso lato) alle
domande riconvenzionali e alle eccezioni proposte dal convenuto nella
comparsa di risposta, potrà farlo in udienza, avendo avuto
tutto il tempo eventualmente necessario per preparare tali repliche.
Ciascuna parte ha poi certamente il diritto di replicare (in senso
lato) all’altra o di aggiustare il proprio tiro in conseguenza
delle deduzioni altrui oppure delle segnalazioni del giudice e per
tale scambio di repliche e contro-repliche non può essere
razionalmente stabilito a priori un termine, ma non sarebbe neppure
razionale stabilire a priori che esso debba necessariamente essere
frazionato in segmenti cronologicamente separati e non immediatamente
consecutivi e cioè non concentrati nella stessa udienza. Né
vi è motivo per stabilire che il batti e ribatti non possa che
essere fatto per iscritto anziché oralmente e con la
partecipazione attiva del giudice. La tendenziale unicità
dell’udienza, la tendenziale oralità della trattazione
successiva agli atti introduttivi, rende il processo certamente più
rapido, più semplice e più trasparente. Lo rende anche
in qualche misura più difficile, almeno all’apparenza,
poiché, se non richiede che giudice e difensori siano
bravissimi, richiede tuttavia che essi siano preparati. Ma riteniamo
che modellare il processo in modo tale da poter essere fatto anche da
giudici e avvocati pigri e impreparati significherebbe abdicare al
compito di delineare un processo giusto e di durata ragionevole.
2.
La reintroduzione dell’interrogatorio libero e del tentativo di
conciliazione (come momenti preliminari e obbligatori e non rimessi
alla concorde richiesta delle parti) non ha bisogno di essere
argomentata, specialmente in considerazione delle caratteristiche del
modello processuale che qui si propone. Non è dato comprendere
quali possano essere state le ragioni che hanno indotto
l’improvvisato legislatore a cancellare questi due momenti
centrali della trattazione della causa. Certamente non è una
buona ragione quella che vi sono giudici – non importa se molti
o pochi – che danno un attuazione meramente formale a questi
istituti e vi sono difensori che subiscono passivamente o addirittura
condividono queste prassi degenerative. La norma processuale deve
certo tener conto del fatto che non sempre i protagonisti del
processo sono perfetti; ma questo non significa che essa debba
limitarsi a riprodurre le prassi peggiori. Piuttosto appare assai
significativo che in molti ” protocolli” siano state
concordate regole volte a rendere effettivo e proficuo
l'interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione.
L’interrogatorio
libero rappresenta uno strumento essenziale e insostituibile per
imprimere al processo quei caratteri - di concretezza, di lealtà,
di speditezza, di effettiva adesione ai bisogni di giustizia che in
esso vengono fatti valere – che costituiscono le aspirazioni di
questa elaborazione. Ci permettiamo di rinviare alla lettura di
quanto a proposito dell’interrogatorio libero scriveva la
Relazione al Re.
L’interrogatorio
libero è anche il presupposto per un esercizio proficuo dei
poteri di direzione e di integrazione del giudice oltre che il mezzo
che gli consente di sfrondare il processo da tutto ciò che è
costruzione artificiosa. Infine l’interrogatorio libero implica
la preparazione preventiva del giudice sull’oggetto della
controversia. È uno strumento necessario anche proprio per via
di tale implicazione e cioè perché impone al giudice di
essere preparato, di sapere quel che le parti hanno da dirgli e di
sapere quel che egli deve chiedere loro, senza aspettare la fine del
processo per emettere il suo oracolo finale.
Art.
184
Deduzioni
istruttorie
Salva
l'applicazione dell'art. 187 il giudice, se ritiene che siano
ammissibili e rilevanti, ammette i mezzi di prova proposti ai sensi
dell'articolo precedente. Nel caso in cui vengano disposti d’ufficio
mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine
perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono
necessari in relazione ai primi.
NOTA
Così
come le parti e i loro difensori debbono, di regola, replicare in
udienza alle eccezioni e difese della controparte, senza aver il
diritto “automatico” al rinvio ad altra udienza e al
termine per note, così si deve pretendere che il giudice in
linea di massima adotti le decisioni sulle istanze di prova in
udienza, previa discussione orale del “thema probandum”.
Art.
184 bis
Rimessione
in termini
Il
giudice provvede alla rimessione in termini della parte che dimostri
di essere incorsa in preclusioni o decadenze per causa ad essa non
imputabile ed in ogni altro caso in cui riconosca che la decadenza
sia stata determinata da errore scusabile e che in concreto la
rimessione in termini sia necessaria per assicurare la correttezza
del processo ai sensi dell’art. 112 primo comma.
Il
giudice che rimette in termini una delle parti adotta i provvedimenti
necessari perché non ne sia pregiudicato il diritto delle
altre parti al contraddittorio e alla difesa.
Art.
186 bis
Ordinanza
per il pagamento di somme non contestate.
soppresso
Art.
186 quater
Ordinanza
successiva alla chiusura dell’istruzione
soppresso
Art.
186 quinquies
Provvedimento
sommario
Al
termine della trattazione, e sino all’esaurimento
dell’istruttoria il giudice, su istanza di parte e previo
invito alla discussione orale in udienza, può pronunciare
ordinanza di accoglimento della domanda di condanna al pagamento di
somme di denaro ovvero alla consegna o rilascio di cose se ritiene
verosimili, sulla base degli elementi già acquisiti, i fatti
che sono posti a fondamento di essa e non verosimili i fatti posti a
fondamento delle eccezioni. Con l'ordinanza il giudice provvede sulle
spese processuali e ordina la cancellazione della causa dal ruolo,
salvo che abbia pronunziato su alcune soltanto delle domande
proposte.
Se
ha pronunziato su alcune soltanto delle domande proposte impartisce i
provvedimenti per la prosecuzione del giudizio.
L'ordinanza
costituisce titolo esecutivo. Essa è revocabile soltanto con
la sentenza che definisce il giudizio, salvo quanto disposto dai
commi seguenti.
Contro
l’ordinanza è ammesso reclamo entro dieci giorni dalla
comunicazione. Il reclamo è proposto al collegio.
Il
collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre venti giorni dal
deposito dei ricorso, ordinanza non impugnabile con la quale
conferma, modifica o revoca il provvedimento reclamato. Si applica il
disposto dell'ultimo comma dell'articolo 669 terdecies.
Dopo
la pronuncia dell'ordinanza di cui al primo comma o di quella che
decide sul reclamo, ciascuna della parti può chiedere con
ricorso al giudice la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del
giudizio sull’oggetto di essa entro il termine di giorni trenta
dalla pronuncia o dalla comunicazione del provvedimento. Decorso il
termine di cui al sesto comma senza che l’istanza sia stata
proposta, il procedimento si estingue.
Se
l’ordinanza ha provveduto su alcune soltanto delle domande
proposte, l’estinzione del processo opera limitatamente ad
esse.
L’estinzione
opera di diritto ed è rilevabile d’ufficio.
Se
dopo la pronuncia dell'ordinanza il processo si estingue, l'ordinanza
diventa irrevocabile.
NOTA
Si
rinvia alla nota illustrativa della proposta riguardante l’art.
656 bis.
Aggiungiamo
qui che una disciplina processuale che accentui l’obbligo-onere
per le parti di prendere posizione in modo specifico sulle altrui
allegazioni, consente di escludere la raccolta di sommarie
informazioni testimoniali ai fini della pronunzia del provvedimento
sommario in corso di causa (il che significa che il provvedimento non
potrebbe essere concesso se per l’accertamento non sono
sufficienti gli elementi di informazione e di convincimento che
derivano dalla trattazione e dalla produzione documentale oltre a
quelli emersi dalla istruttoria già eventualmente espletata).
In questo modo si eviterebbe di intralciare e ritardare
eccessivamente il processo di cognizione ordinaria e si eviterebbe
anche la sgradevole immagine di duplicazione tra sommarie
informazioni testimoniali e istruttoria testimoniale davanti allo
stesso giudice. Si avrebbe anche l’ulteriore ed importantissimo
effetto positivo di valorizzare l’apporto cognitivo della fase
di trattazione (la maggior parte di ciò che il giudice sa
deriva quasi sempre da ciò che gli dicono le parti e così
è normale che sia).
Art.
189
Rimessione
al collegio
Il
giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, a norma dei
primi tre commi dell'articolo 187 o dell'articolo 188, invita le
parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono
sottoporre al collegio stesso, nei limiti di quelle formulate negli
atti introduttivi o a norma dell'art. 183. Le conclusioni di merito e
istruttorie debbono essere interamente formulate anche nei casi
previsti dall’articolo 187, secondo e terzo comma.
La
rimessione investe il collegio di tutta la causa anche quando avviene
a norma dell’articolo 187, secondo e terzo comma.
Qualora
solo alcune domande richiedano la sollecita definizione, il giudice
d'ufficio o su istanza di parte invita le parti a precisare le
conclusioni se riconosce che per esse non è necessaria
ulteriore istruzione e salvo che la parte, che vi abbia interesse,
formuli istanza per la decisione ai sensi dell'articolo 277 primo
comma.
Art.
281 sexies
Decisione
a seguito di trattazione orale
Se
non dispone a norma dell'articolo 281 quinquies, il giudice,
fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione
orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in
un'udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della
discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa
esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
In
tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da
parte del giudice del verbale che la contiene ed è
immediatamente depositata in cancelleria.
Se
tutte le parti sono costituite, il giudice, anche in composizione
collegiale, può pronunziare sentenza al termine della
discussione orale, dando lettura del dispositivo insieme alla mera
indicazione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, con
la esplicita riserva di integrare la motivazione a richiesta di
parte, ai sensi e con gli effetti di cui all’articolo 132,
quinto comma e all’articolo 133, terzo comma.
Art.
282
Esecuzione
provvisoria
La
sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le
parti.
Con
la sentenza di condanna, il giudice può, su istanza di parte,
fissare il termine entro il quale la prestazione deve essere
eseguita, avuto riguardo alla complessità di essa ed al tempo
verosimilmente occorrente per l'adempimento.
Con
la sentenza di condanna all’esecuzione di obblighi di fare o di
non fare, eccettuati gli obblighi del lavoratore autonomo o
subordinato e quelli di consegna o rilascio derivanti da contratto di
locazione ad uso abitativo, il giudice stabilisce una indennità
dovuta al creditore, oltre al risarcimento del danno, anche non
patrimoniale, per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo
oltre il termine di cui al comma precedente. L’indennità
non può essere determinata in misura superiore a due volte gli
interessi calcolati al tasso bancario corrente sulla somma
corrispondente al valore della prestazione.
La
norma di cui al comma precedente non si applica se dell’obbligo
accertato dalla sentenza sia possibile la compiuta attuazione secondo
quanto stabilito dagli articoli 2931 e 2933 cod.civ. e 612
cod.proc.civ
L’obbligato
è comunque tenuto al risarcimento del danno, anche non
patrimoniale, derivante dal ritardo che l’esecuzione della
sentenza ha subito a causa dell’inottemperanza all’obbligo
di eseguirla spontaneamente.
Le
disposizioni di cui al terzo comma si applicano quando non sia
prevista dalla legge una diversa misura esecutiva.
Art.
295
Sospensione
necessaria
Il
giudice dispone che il processo sia sospeso nel caso in cui egli
stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui
definizione dipende la decisione della causa.
Contro
l’ordinanza di sospensione è ammesso reclamo allo stesso
giudice che l’ha pronunciata ovvero al collegio nelle cause
nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale.
Il
reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni,
decorrente dalla pronunzia dell’ordinanza in udienza ovvero
dalla sua comunicazione.
Il
tribunale provvede in camera di consiglio con sentenza, se respinge
il reclamo e con ordinanza non impugnabile, se l’accoglie.
NOTA
In
relazione all’eliminazione del regolamento di competenza si è
ritenuto di modellare il rimedio contro l’ordinanza di
sospensione sulla falsariga di quello previsto per l’ordinanza
di estinzione. Si tratta di una soluzione che appare comunque
preferibile, anche in vista della necessità di eliminare nella
misura del possibile tutte le ipotesi di ricorso diretto in
cassazione contro pronunzie di merito.
Art.
329
Acquiescenza
totale o parziale
Salvi
i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo 395,
l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti
incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni
ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità.
L'impugnazione
parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non
impugnate.
Si
considera che le parti abbiano prestato acquiescenza alla sentenza se
nessuna di esse ha tempestivamente richiesto l’integrazione
illustrativa della motivazione ai sensi dell’articolo 132,
ultimo comma.
NOTA
La
misura introdotta con il terzo comma serve ad evitare che la parte
possa, omettendo di richiedere l’integrazione della
motivazione, giovarsi artificiosamente in sede di impugnazione di una
maggiore “debolezza” della sentenza impugnata. In tal
modo, peraltro, viene anche agevolata una più rapida
definizione del processo, a fronte degli attuali lunghissimi termini
per impugnare.
Art.
339
Appellabilità
delle sentenze
Possono
essere impugnate con appello tutte le sentenze pronunziate in primo
grado dal giudice di pace e dal tribunale, purché l’appello
non sia escluso dall’accordo delle parti a norma dell’articolo
360, secondo comma.
Sono
altresì appellabili le ordinanze e i decreti pronunziati dal
giudice di pace e dal tribunale che sarebbero altrimenti impugnabili
ai sensi dell’articolo 111, settimo comma, della Costituzione.
Le
sentenze pronunziate secondo equità nei casi previsti dalla
legge sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul
procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie o
derivanti da obblighi internazionali ovvero dei principi informatori
della materia.
NOTA
L’innovazione
proposta è diretta ad eliminare tutte le ipotesi di sentenze
(tali formalmente o sostanzialmente) inappellabili e, come tali,
direttamente ricorribili per cassazione (eccettuate quelle
pronunziate in un unico grado dalla Corte d'Appello: anche per tali
ipotesi sarà comunque necessario un ripensamento). Si tratta
di cause per le quali la previsione della ricorribilità
diretta in cassazione, pur ispirata ad intenti di semplificazione e
di accelerazione, determina invece un irrazionale aggravio nei
carichi di lavoro della Corte al quale corrisponde una altrettanto
irrazionale riduzione delle garanzie per il cittadino, senza alcun
effetto positivo sull’efficienza complessiva del sistema.
Art.
342
Giudizio
d’appello
L'appello
si propone con citazione contenente l’esposizione sommaria dei
fatti e le indicazioni prescritte nell’articolo 163. Esso
deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’indicazione
specifica delle censure che si formulano nei confronti della sentenza
impugnata ed in particolare delle violazioni di legge che vengono
denunziate e degli accertamenti di fatto che vengono contestati, con
la precisazione delle ragioni della contestazione.
Tra
il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione
devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti
dall'art. 163-bis.
NOTA
La
riforma dell’appello è da molto tempo una esigenza
diffusamente avvertita, anche quale premessa per l’indispensabile
razionalizzazione del giudizio di cassazione. La formulazione che
proponiamo – a titolo di ipotesi di lavoro e di segnale della
direzione che riteniamo sia meglio percorrere – è
diretta ad una drastica riduzione del carattere devolutivo
dell’appello attuata facendo sì che oggetto del giudizio
di secondo grado siano in via diretta e, almeno tendenzialmente,
esclusiva, i motivi di impugnazione e le questioni sollevate dalle
parti in ordine alla sentenza di primo grado e non il rapporto
sostanziale. La censura relativa agli accertamenti di fatto potrà
conseguire sia alla critica della motivazione resa dal primo giudice
riguardo alla valutazione degli elementi di prova, sia dalla critica
ai provvedimenti istruttori dal medesimo assunti; nuovi e diversi
accertamenti di fatto potranno essere richiesti al giudice di secondo
grado anche in conseguenza della censura formulata alle soluzioni
date dal primo giudice a questa o quella questione di diritto.
La
modifica implica una drastica riduzione delle questioni rilevabili
d’ufficio in appello (e conseguentemente delle nuove eccezioni
che vi possono essere proposte: cfr. articolo seguente) e si collega
alla modifica dell’art. 360 n. 5 che qui proponiamo ed in
particolare di quella riprodotta nell’ ultimo comma dell’art.
360.
Art.
345
Domande
ed eccezioni nuove
Nel
giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e se, proposte,
debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia
domandarsi gli interessi i frutti e gi accessori maturati dopo la
sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti
dopo la sentenza stessa.
Non
possono proporsi nuove eccezioni, salvo quelle che il giudice di
primo grado avrebbe dovuto rilevare d’ufficio.
Non
sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti
nuovi documenti. Può sempre deferirsi il giuramento
decisorio.
Art.
354
Rimessione
al primo giudice per altri motivi
Fuori
dei casi previsti nell'articolo precedente, il giudice d'appello non
può rimettere la causa al primo giudice, tranne che dichiari
nulla la notificazione della citazione introduttiva, oppure riconosca
che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il
contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte, ovvero
dichiari la nullità della sentenza di primo grado a norma
dell'articolo 161 secondo comma.
Il
giudice d'appello rimette la causa al primo giudice anche nel caso di
riforma della sentenza che ha pronunciato sulla sospensione del
processo ai sensi dell’articolo 295 ultimo comma ovvero
sull'estinzione del processo a norma e nelle forme dell'articolo
308.
Nei
casi di rimessione al primo giudice previsti nei commi precedenti, si
applicano le disposizioni dell'articolo 353.
Se
il giudice d'appello dichiara la nullità di altri atti
compiuti in primo grado, ne ordina, in quanto possibile, la
rinnovazione a norma dell'articolo 356.
Su
istanza di parte, il giudice d’appello, se ritiene che il
giudice di primo grado abbia esercitato i suoi poteri in modo
difforme dai criteri indicati nell’articolo 112 e che ciò
abbia arrecato al diritto di difesa della parte i concreti e
determinanti pregiudizi da essa specificamente denunziati, adotta i
provvedimenti opportuni per eliminare tali pregiudizi.
Art.
360
Sentenze
impugnabili e motivi di ricorso
Le
sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono
essere impugnate con ricorso per cassazione:
1)
per motivi attinenti alla giurisdizione;
2)
per violazione delle norme sulla competenza;
3)
per violazione o falsa applicazione di norme di diritto;
4)
per nullità della sentenza o del procedimento;
5)
per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso decisivo per il giudizio.
Può
inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza
appellabile del tribunale, se le parti sono d'accordo per omettere
l'appello; ma in tal caso l'impugnazione può proporsi soltanto
per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
La
carenza o l’illogicità della motivazione non può
essere denunziata in cassazione in relazione ai fatti accertati dal
giudice di appello in modo conforme all’accertamento del
giudice di primo grado.
NOTA
1.
Non si ritiene di condividere la soluzione, contenuta nella delega
per la riforma del giudizio civile di cassazione approvata con la
legge 80 del 2005, di estendere il sindacato di legittimità
anche alla violazione delle norme dei contratti collettivi di lavoro.
Le ragioni di tale mancata condivisione coincidono con quelle
espresse dalla Sezione Anm della Corte di cassazione nel documento
pubblicato in questa Rivista (n. 5/2005).
2.
La modifica del n. 5 dell’articolo 360 e la disposizione
introdotta nell’ultimo comma rappresentano uno strumento
efficace – insieme alla modifica dell’appello – per
perseguire una razionalizzazione del giudizio di cassazione diretta a
valorizzare la funzione anche nomofilattica del giudizio di
legittimità, senza incidere sulla natura di vero e proprio
giudizio di questo grado del processo.
Art.
363
Ricorso
nell’interesse della legge
abrogato
Art.
381
Procedimento
per la decisione in camera di consiglio
Nei
casi previsti dall’articolo 375, esclusi i ricorsi per
regolamento di giurisdizione, il presidente nomina il relatore il
quale, se non richiede che il ricorso sia deciso in pubblica udienza,
deposita nella cancelleria una relazione con la concisa esposizione
dei motivi di fatto e di diritto in base ai quali ritiene che possa
essere adottata in camera di consiglio una delle pronunzie previste
dall’articolo 375.
Il
presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte.
Almeno
20 giorni prima della data stabilita per l’adunanza il decreto
e la relazione sono comunicati al pubblico ministero, al difensore
del ricorrente e ai difensori delle altre parti che abbiano
depositato controricorso. Il pubblico ministero e i difensori hanno
facoltà di presentare il primo conclusioni scritte ed i
secondi memorie , non oltre cinque giorni prima e di chiedere di
essere sentiti, se compaiono.
Nella
seduta la corte delibera sul ricorso con ordinanza.
Se
ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall’articolo 375
la corte rinvia la causa alla pubblica udienza.
Art.
381 bis
Procedimento
per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione
Su
presentazione del ricorso per regolamento di giurisdizione il
presidente, se non provvede ai sensi dell’articolo 381, primo
comma, richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte.
Le
conclusioni del pubblico ministero e il decreto del presidente che
fissa l’adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima,
agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare
memorie non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere
sentiti, se compaiono.
Non
si applica la disposizione del sesto comma dell’articolo 381.
NOTA
Gli
artt. 381 e 381 bis riproducono gli artt. 380 e 381 bis di cui è
stata proposta l’adozione da parte del l’Assemblea
generale della Cassazione, riunita il 21 luglio 2005 per fornire al
governo il parere sul decreto legislativa di attuazione della delega
disposta dalla legge n. 80 del 2005 per la riforma del giudizio
civile di cassazione.
Art.
656 bis
Procedimento
sommario
Con
ricorso al giudice competente a conoscere il merito può essere
richiesta la pronuncia di ordinanza di condanna al pagamento di somme
di denaro ovvero alla consegna o rilascio di cose.
Il
ricorso contiene l’esposizione dei fatti e degli elementi di
diritto costituenti le ragioni della domanda con le conclusioni,
nonché l’indicazione dei mezzi di prova dei quali la
parte intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione.
Il
giudice provvede con decreto alla fissazione dell’udienza
assegnando un termine all’istante per la notifica del ricorso
ed un termine per la costituzione del resistente.
Il
giudice, sentite le parti, provvede all’istruzione sommaria,
compiendo gli atti indispensabili in relazione al provvedimento
richiesto e pronunzia ordinanza di condanna nei limiti in cui ritenga
verosimili, sulla base degli elementi acquisiti, i fatti che sono
posti a fondamento della domanda e non verosimili i fatti posti a
fondamento delle eccezioni.
L’ordinanza
di condanna costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione
dell’ipoteca giudiziale.
Con
l’ordinanza che definisce il procedimento sommario il giudice
provvede alla liquidazione delle spese di lite.
Contro
l’ordinanza che definisce il procedimento sommario è
ammesso reclamo entro dieci giorni dalla comunicazione ai sensi dell’
articolo 669 terdecies.
L’ordinanza
di condanna è sostituita con effetto immediato dalla sentenza
che definisce in primo grado il giudizio di merito, qualora la parte
che vi abbia interesse lo promuova nel termine di cui al comma
seguente.
Se
non viene iniziato il giudizio di merito entro sessanta giorni dalla
pronunzia o dalla comunicazione dell’ordinanza di condanna o se
il giudizio di merito si estingue l’ordinanza diventa
irrevocabile.
In
caso di reclamo, il termine previsto dal comma precedente decorre
dalla pronunzia o dalla comunicazione dell’ordinanza
pronunziata dal giudice del reclamo.
Il
giudizio di merito può essere iniziato anche dopo scaduto il
termine di cui ai commi precedenti se la parte interessata dimostra
di non avere avuto tempestiva conoscenza del procedimento per nullità
della notifica del ricorso e della comunicazione dell’ordinanza
ovvero di non aver avuto tempestiva conoscenza di quest’ultima
per la nullità della sua comunicazione.
NOTA
Insieme
al nuovo provvedimento sommario di condanna in corso di causa di cui
proponiamo l’introduzione all’art. 183 quinquies , il
provvedimento sommario “ante causam” qui disciplinato
costituisce uno dei cardini del modello processuale da noi
prefigurato.
.
L’introduzione di un procedimento sommario non cautelare
finalizzato alla emanazione di un provvedimento immediatamente
esecutivo, suscettibile di conservare efficacia anche nel caso in cui
il giudizio di merito non venga iniziato oppure si sia estinto,
appare una misura essenziale nella prospettiva di ridurre in modo
significativo i carichi di lavoro giudiziario.
È
innegabile che l’attuale lentezza dei processi dipende in primo
luogo dal rapporto tra il numero dei giudici ed il carico di lavoro
giudiziario e che il carico di lavoro giudiziario dipende, a sua
volta, non soltanto dal numero dei processi ma anche dal carico di
lavoro che ciascun processo comporta.
Con
riferimento a questo secondo aspetto, una delle strade da percorrere
è quella di ridurre il numero dei processi che arrivano a
sentenza. Tale risultato può essere conseguito o attraverso
forme di incentivazione a diversificati modi conciliativi di
risoluzione delle controversie destinati ad operare a processo già
iniziatom, o attraverso la previsione generalizzata (o comunque
estesa) di provvedimenti condannatori a cognizione sommaria e ad
effetto anticipatorio, non connotati da strumentalità rispetto
alla decisione con sentenza e quindi dotati della possibilità
di restare efficaci se nessuna delle parti ha interesse
all’accertamento delle proprie ragioni con la cognizione piena
ed esauriente.
Sul
piano costituzionale, ciascuna delle parti di una controversia ha il
diritto a che le sue ragioni siano esaminate e decise in un
procedimento a cognizione piena, perché la pienezza della
cognizione è condizione necessaria per il pieno dispiegamento
del diritto di azione e di difesa garantito dall’art. 24 della
Costituzione. Ma la sussistenza del diritto, costituzionalmente
garantito, di ciascuna parte ad un processo a cognizione piena non
implica un divieto per esse di esercitare tale diritto prestando
acquiescenza (anche in via definitiva) ad una decisione adottata in
via provvisoria a seguito di un procedimento sommario o monitorio o
comunque non caratterizzato da una cognizione piena ed esauriente.
Questo significa che anche un provvedimento emesso a seguito di
cognizione sommaria può essere reso suscettibile di acquisire
l’efficacia del giudicato oppure, più limitatamente, il
carattere della irrevocabilità pro judicato nel caso in cui
nessuna delle parti dia inizio al giudizio di merito ovvero lo stesso
si estingua.
In
definitiva, la linea ispiratrice della nostra proposta è
quella di una flessibilità che limiti la cognizione piena ed
esauriente ai casi in cui quest’ultima appaia o venga ritenuta
concretamente necessaria e che affidi alle parti tale valutazione.
Al
legislatore (e probabilmente anche al giudice) resta il compito di
influire (correttamente) su tale giudizio di convenienza e di
orientarlo verso la razionalità e la ragionevolezza, anche in
vista del principio di economia dei processi e del principio di
ragionevole durata che deve regolare, oltre che il singolo processo,
anche l’insieme del sistema processuale, sul piano normativo,
organizzativo e operativo. La finalità ultima che abbiamo
inteso perseguire - sulla scia peraltro di altre proposte di riforma,
come quella contenuta nel cd disegno di legge Vaccarella - è
quella di rendere concretamente generale la tutela sommaria e
residuale – quasi eccezionale – quella a cognizione piena
ed esauriente, riservandola cioè ai casi in cui una delle
parti la ritenga necessaria o comunque per sé più utile
e facendo in modo – sul piano normativo - che questi casi siano
pochi.
Passando
al dettaglio della disciplina proposta è apparso opportuno
specificare che nel caso in cui, dopo la pronunzia del provvedimento,
il giudizio di merito venga iniziato o venga proseguito e si concluda
con una sentenza di merito, l’ordinanza perde comunque la sua
efficacia, anche se la sentenza è ancora soggetta ad
impugnazione.
Se
invece il giudizio di merito non viene iniziato ovvero se
successivamente al suo inizio esso si estingue, il provvedimento
sommario non perde la sua efficacia e diviene anzi irrevocabile.
La
norma proposta rende applicabile all’ordinanza di condanna,
sotto questo profilo, la disciplina oggi prevista per il decreto
ingiuntivo non opposto, senza prendere esplicita posizione sulla
questione se in tal caso vi sia formazione di un vero e proprio
giudicato o di una semplice preclusione pro judicato.
Riteniamo che la soluzione debba essere la stessa per tutti i
procedimenti sommari e possa essere affidata agli ulteriori sviluppi
dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale ovvero ad un
successivo intervento legislativo.
Si
è ritenuto, tuttavia, di non attribuire alla norma portata
generale e di escluderne l’applicabilità - salvo un
migliore ripensamento – alle domande di condanna aventi ad
oggetto facere e non facere e le domande costitutive e
di accertamento.
Escluso
qualunque collegamento tra concedibilità della tutela sommaria
e particolari tipologie di prova, condizione necessaria e sufficiente
per la concessione del provvedimento è la probabile esistenza
del diritto e cioè il probabile fondamento fattuale della
pretesa (non può invece essere approssimativo o “provvisorio”
il giudizio sulla qualificazione giuridica – e cioè
sull’idoneità dei fatti affermati, se veri, a produrre
l’effetto giuridico fatto valere).
L’accertamento
della fondatezza (in fatto) della domanda e dell’infondatezza
della difesa è sommario in un duplice senso. In senso
procedimentale perché si tratta di un accertamento basato su
un’istruttoria deformalizzata e ridotta all’essenziale e
quindi eventualmente parziale. In senso sostanziale (strettamente
collegato al profilo processuale) perché si tratta di un
accertamento nel quale il grado di probabilità e di
verosimiglianza necessario per l’accoglimento dell’istanza
di tutela sommaria è inferiore a quello necessario per
l’accoglimento della domanda con sentenza.
Né
questo può essere considerato alla stregua di una eccessiva
disinvoltura o di una messa in pericolo dell’ispirazione
garantistica del nostro sistema processuale. Non vi è nulla di
irragionevole nel prevedere che, durante il tempo necessario per
l'accertamento del diritto in via di cognizione ordinaria, sia
legittimato a godere del bene giuridico controverso colui che ha più
probabilità di aver ragione piuttosto che colui che può
solo avvantaggiarsi della forza derivante dallo stato di fatto.
Questa impostazione appare anzi essere una delle linee ispiratrici
essenziali del nostro sistema processuale.
La
previsione del reclamo avverso i provvedimenti cautelari rende
inevitabile contemplare il rimedio anche per il provvedimento
sommario. Nello stesso senso dispone del resto anche l’ordinamento
francese. Vi è da aggiungere che il reclamo potrebbe
contribuire a dare stabilità al provvedimento scoraggiando
l’inizio o la prosecuzione del giudizio di merito.
Le
altre disposizioni contenute nel testo della norma proposta non
appaiono richiedere particolari illustrazioni.
Art.
669 octies
Provvedimento
di accoglimento
L'ordinanza
di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio
della causa di merito, deve provvedere sulle spese del procedimento
cautelare e fissare un termine perentorio non superiore a sessanta
giorni per l'inizio del giudizio di merito, salva l'applicazione
dell’ultimo comma dell'art. 669 novies.
In
mancanza di fissazione del termine da parte del giudice, la causa di
merito deve essere iniziata entro il termine perentorio di sessanta
giorni.
Il
termine decorre dalla pronuncia dell’ordinanza se avvenuta in
udienza o altrimenti dalla sua comunicazione.
Se
viene proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669 terdecies, i
termini di cui ai commi precedenti decorrono dalla pronunzia o dalla
comunicazione dell’ordinanza che ha deciso sul reclamo ovvero
dall’ordinanza con cui il relativo procedimento è stato
cancellato dal ruolo.
Nel
caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o di clausola
compromissoria, la parte, nei termini di cui ai commi precedenti,
deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria
intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la
domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri, o
in caso di mancata presentazione della richiesta di espletamento del
tentativo di conciliazione, decorsi trenta giorni.
NOTA
È
stata aggiunta la previsione della condanna alle spese in caso di
provvedimento di accoglimento ante causam e sono stati
eliminati gli ultimi tre commi, aggiunti dalla legge 80 del 2005. Il
relativo contenuto precettivo è stato riprodotto, con
sostanziali modificazioni, nel primo comma dell'articolo seguente.
Art.
669 novies
Efficacia
del provvedimento cautelare
Se
il procedimento di merito non è iniziato nel termine
perentorio di cui all’art. 669 octies, ovvero se
successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare
di carattere conservativo perde la sua efficacia, mentre il
provvedimento cautelare che anticipa gli effetti della sentenza di
merito diventa irrevocabile.
Nel
caso di provvedimento cautelare conservativo, il giudice che ha
emesso il provvedimento, su ricorso della parte interessata,
convocate le parti con decreto in calce al ricorso, dichiara, se non
c’è contestazione, con ordinanza avente efficacia
esecutiva, che il provvedimento è divenuto inefficace e dà
le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente.
In caso di contestazione l’ufficio giudiziario al quale
appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide
con sentenza provvisoriamente esecutiva, salva la possibilità
di emanare in corso di causa i provvedimenti di cui all'art. 669
decies.
Il
provvedimento cautelare perde altresì efficacia se non è
stata versata la cauzione di cui all'art. 669 undecies, ovvero
se nel giudizio di merito tempestivamente iniziato il diritto a
cautela del quale era stato concesso è dichiarato inesistente
con sentenza, anche non passata in giudicato.
In
tal caso i provvedimenti di cui al comma precedente sono pronunciati
nella stessa sentenza o, in mancanza, con ordinanza a seguito di
ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento.
Se
la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice
straniero o ad arbitrato italiano o estero, il provvedimento
cautelare, oltre che nei casi previsti nel primo e nel terzo comma,
perde altresì efficacia:
1)
se la parte che l'aveva richiesto non presenta domanda di
esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo
arbitrale entro i termini eventualmente previsti a pena di decadenza
dalla legge o dalle convenzioni internazionali;
2)
se sono pronunciati sentenza straniera, anche non passata in
giudicato, o lodo arbitrale che dichiarino inesistente il diritto per
il quale il provvedimento era stato concesso. Per la dichiarazione di
inefficacia del provvedimento cautelare e per le disposizioni di
ripristino si applica il secondo comma del presente articolo.
Art.
669 decies
Revoca
e modifica
Salvo
che sia stato proposto reclamo ai sensi dell'articolo 669 terdecies,
nel corso dell'istruzione il giudice istruttore della causa di merito
può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza
il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa,
se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti
anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al
provvedimento cautelare. In tale caso, l'istante deve fornire la
prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza.
Se
la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice
straniero o ad arbitrato, ovvero se l’azione civile è
stata esercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti
previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che
ha emanato il provvedimento cautelare.
NOTA
Il
primo comma dell’art. 669 decies è stato modificato
dalla legge 80 del 2005. Rispetto alla nuova formulazione del comma è
stato espunto l’ultimo periodo, perché incompatibile con
il regime delineato dal presente progetto per il caso di mancato
inizio o di estinzione del giudizio di merito.
Art.
696
Consulenza
tecnica preventiva
Chi
ha interesse, ai fini della tutela di propri diritti, ai far
verificare prima del giudizio lo stato di luoghi o la qualità
o la condizione di cose o altri fatti, può chiedere, a norma
degli articoli 693 e seguenti, che sia disposta una consulenza
tecnica, un accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale.
L'accertamento tecnico e l'ispezione giudiziale possono essere
disposti anche sulla persona dell'istante e, se questa vi consente,
sulla persona nei cui confronti l'istanza è proposta.
Il
giudice provvede con decreto ai sensi dell’articolo 694 e,
sentite le parti, nomina il consulente tecnico e fissa la data di
inizio delle operazioni o le modalità per procedere
all’ispezione.
Il
giudice, quanto la natura della causa lo consente, affida al
consulente tecnico il compito di tentare la conciliazione delle parti
ovvero di tentare di pervenire ad un accertamento concordato dei
fatti rilevanti o di alcuni di essi.
Se
le parti si conciliano o si accordano ai sensi del comma precedente,
si forma processo verbale dell’accordo.
Il
giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al
processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione
in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Il
decreto previsto dal comma precedente rende non impugnabile e non
contestabile l’accordo e attribuisce ad esso gli effetti della
conciliazione prevista dall’articolo 185.
L’accertamento
previsto dal primo comma e l’accordo previsto dal quinto comma
rimangono efficaci anche se il giudizio di merito non è
iniziato ovvero se esso si estingue.
Il
consulente tecnico, in caso di esito negativo del tentativo di
conciliazione, dà atto delle posizioni assunte dalle parti.
Del
rifiuto di conciliare il giudice terrà conto, nel giudizio di
merito susseguente alla consulenza tecnica preventiva, ai fini della
condanna alle spese della parte soccombente, anche agli effetti
dell’art. 96.
NOTA
Rispetto
alla formulazione dell’analoga ipotesi normativa contenuta
nella legge 80 del 2005 è stata esclusa l’esenzione
dall’imposta di registro del verbale di conciliazione, posto
che tale previsione darebbe certamente luogo a intuibili abusi
dell’istituto a scopo di elusione fiscale. Per il resto si
tratta di perfezionamenti formali, a parte la previsione
dell’accertamento fattuale concordato. La formulazione qui
suggerita precisa meglio che l‘accertamento preventivo deve
comunque essere funzionale alla tutela del diritto soggettivo e che
l’efficacia dell’accertamento non è condizionata
all’inizio del giudizio di merito. Non viene riprodotto, data
la sua evidente inutilità, il secondo comma introdotto dalla
legge 80 del 2005 che recita: "L'accertamento tecnico di cui al
primo comma può comprendere anche valutazioni in ordine alle
cause e ai danni relativi all'oggetto della verifica".
Art.
696 bis
Consulenza
tecnica preventiva ai fini della composizione della lite
soppresso
NOTA
Si
tratta della norma introdotta con la legge 80 del 2005, di scarsa
utilità pratica ed assorbita dalla nuova formulazione
dell’art. 696 cpc.
DISPOSIZIONI
DI ATTUAZIONE E TRANSITORIE
Art.
103
Termini
per l’intimazione al testimone
L'intimazione
di cui all’art. 250 del Codice deve essere fatta ai testimoni
almeno dieci giorni prima dell’udienza in cui sono
chiamati a comparire.
Con
l'autorizzazione del giudice il termine può essere ridotto nei
casi di urgenza.
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La proposta di
articolato è stata elaborata da un gruppo di lavoro promosso
da Magistratura democratica e dal Movimento per la giustizia.
All'illustrazione delle singole soluzioni normative adottate
nell'articolato è dedicata la nota di commento che compare in
calce a ciascuna di esse. Precisiamo qui che si tratta di una
elaborazione ancora in progress e che è destinata a
restare sempre aperta a nuovi apporti, a rettifiche e a
modificazioni, il che è naturale per una elaborazione che è
il risultato di un lavoro collettivo in cui si è cercato di
tradurre in norme precise il frutto di anni di esperienza e di
cultura professionale.