CARLO, AMICO INSOSTITUIBILE
Carlo Verardi se n'è andato un sabato
di metà settembre, e con lui una parte di ciascuno di noi. Non avremo pi il
suo sorriso caldo e rasserenante, il suo entusiasmo dai mille progetti, la sua
intelligenza capace di tenere insieme ragione e umanità, la sua disponibilità
senza limiti. Non riusciamo ad accettarlo e il ricordo ancora non si trasforma
in dolcezza. Ma vogliamo, almeno, parlare di lui.
Parlare di Carlo significa
parlare di questa Rivista, a cui mandò il suo primo contributo (La lesione dell'ambiente
tra danno collettivo e danno pubblico, scritto insieme ad Antonio Costanzo)
nel 1986: quando erano passati solo due anni dal suo ingresso in magistratura
e Questione giustizia era nel quinto anno di vita. Carlo si presentò, come sempre,
in punta di piedi (la lettera che accompagnava l'articolo mi dava rigorosamente
del lei"), ma la sua presenza divenne ben presto familiare e centrale; già tre
anni dopo (nel 1989) entrò a far parte del comitato di redazione, voluto da
Pino Borrè. "Un ragazzo di prim'ordine" amava definirlo Pino, che subito colse,
tra le altre, le sue straordinarie doti di organizzatore culturale e la sua
conseguente naturale attitudine a prendere in mano questa Rivista, anche se
- com'era nel suo costume - lo disse ripetutamente agli amici ma si guardò
bene dal dirlo a lui sino al loro ultimo incontro, in ospedale a Genova, un
giorno di fine luglio del 1997. Carlo me lo riferì (con pudore, quasi fosse
una sorpresa) qualche tempo dopo, quando gli chiesi di assumere la condirezione
di Questione giustizia e l'investitura di Pino fu l'argomento che infine lo
convinse a superare le non poche resistenze, determinate - come diceva non per
gioco - dal "non sentirsi adeguato". Inutile aggiungere che di quella investitura
- che pure gli procurò una gioia quasi infantile - non aveva bisogno, come accade
a chi ha doti naturali e passione tali da essere comunque un punto di riferimento,
indipendentemente dalle cariche formali. Di Carlo e della sua cultura sappiamo
tutto. Ma c'è qualcosa che, a chi gli è stato vicino nella ormai lunga storia
di questa Rivista, lo ha reso ancora pi caro e insostituibile. Carlo ha scritto
molto ma pi ancora ha fatto scrivere, ha individuato e sollecitato intelligenze
e disponibilità, ha indirizzato, ha corretto (senza farlo pesare) ed ha saputo
dire dei no; ha regalato entusiasmo e passione (è grazie a lui che abbiamo deciso
il salto - impegnativo per una redazione esclusivamente volontaria - a bimestrale;
e quante volte mi ha preso in giro chiedendomi quando saremmo arrivati al mensile);
non si è mai tirato indietro (neppure per le cose materiali, come la correzione
delle bozze, che ha scandito ancora la sua ultima estate). Anche per lui -
nella scuola di Borrè e nella migliore tradizione di Md - la Rivista era una
elaborazione collettiva, per cui valeva spendersi assai pi che per ambizioni
individuali.
Parlare di Carlo vuol
dire evocare una particolare concezione del giudice. "Anche la giurisdizione
- ha scritto nell'intervento pubblicato nelle pagine che seguono - ricopre
un ruolo essenziale nella grande sfida democratica. Questa, infatti, non si
consuma soltanto in uno scontro tra schieramenti politici ma propone una costante
tensione tra valori che trovano inevitabilmente nella giurisdizione il luogo
di visibilità, di conflitto e di possibile affermazione. Ciò avviene sul metro
non delle compatibilità economiche ma del diritto, dei princìpi di questa Costituzione
e dei diritti fondamentali sanciti a livello internazionale: sta in ciò l'insopprimibile
politicità della giurisdizione e di quella civile in particolare". Giudice
appassionato e colto, Carlo ha saputo tradurre nel quotidiano quella impostazione
e trasmettere a chi gli stava intorno (ai molti uditori, in particolare, che
da lui hanno imparato a fare "giustizia nel caso concreto") la voglia di non
adagiarsi sui risultati raggiunti e di continuare a cercare - nel confronto
con i colleghi, il personale di cancelleria, gli avvocati, l'Università - modi
di esercizio della giurisdizione pi giusti ed efficaci. Di qui il suo impegno
nella formazione dei magistrati la cui breve, ma intensa, storia l'ha visto
protagonista, dalle prime programmazioni sistematiche di incontri di studio
(agli inizi degli anni '90) sino alla realizzazione del decentramento con la
rete dei formatori distrettuali: sapeva - e con-tinuava a ripeterlo, ancorch
spesso inascoltato - che senza cultura e professionalità non ci sono indipendenza
e autonomia. Chi, dentro e fuori dal Csm e dal Comitato scientifico, nelle riunioni
o negli incontri di studio, ha lavorato con lui o anche solo diviso con lui
il placido tempo libero di Villa Tuscolana, ricorda la mente guizzante, le analisi,
i progetti e soprattutto la capacità unica di guardare sempre avanti, di individuare,
prima ancora di aver assaporato il gusto dell'obiettivo raggiunto, nuove mete
e nuove sfide cercando di capire e anticipare l'evoluzione della magistratura
e i nuovi compiti a lei riservati dai mutamenti sociali; ricorda, ancora, la
capacità di far uscire i colleghi dal proprio guscio, di farli esprimere, di
farli divenire prima partecipi e poi relatori e poi a loro volta formatori.
Si deve in gran parte a Carlo e alla sua capacità di coinvolgimento la creazione
degli Osservatori per la giustizia civile (dapprima a Bologna e Bari, e poi
in giro per l'Italia) da anni luogo di confronto tra giudici, avvocati e personale
amministrativo per tracciare strade comuni, per rimuovere prassi negative, per
elaborare e diffondere prassi virtuose, per contribuire alla realizzazione
di un processo giusto in tempi ragionevoli.
* * * * *
Parlare di Carlo è, poi,
parlare di Magistratura democratica. Non era di quelli che sono entrati in Md,
per una opzione ideale, prima ancora del concorso" Per lui la scelta è stata
la conseguenza del misurarsi con la giurisdizione, i suoi problemi, le sue
difficoltà, le sue ingiustizie. Di qui una adesione convinta, in qualche modo
totalizzante, sino a dichiarare nell'intervento al congresso di Venezia del
dicembre 2000, l'orgoglio di stare in Md, cogliendone pi di ogni altro - nella
sua generazione - le implicazioni e il significato (come quel congresso gli
riconobbe) . Non partiva quasi mai dalla politica, ad essa arrivava partendo
dalla magistratura e dalla giurisdizione. Ma pochi co-me lui hanno interpretato
il senso e l'attualità di Md. Meglio ricorrere alle sue parole: "E' vero: ci
sono difficoltà specifiche nel rapporto con i pi giovani, differenze culturali,
e forse anche di linguaggio, che ne aumentano la naturale diffidenza a schierarsi.
Ma gran parte dei problemi che imputiamo al rappor-to con i giovani sono di
ordine generale e richiamano la crisi di partecipazio-ne che investe i gruppi
organizzati (Md compresa) e la politica in genere: la doppia delusione (dell'uomo
di sinistra e del magistrato), che si salda in una sorta di solitudine del magistrato
di sinistra. Combattere la marginalizzazione del ruolo della magistratura, il
suo isolamento culturale; difendere l'indipendenza interna dall'autoritarismo
(o peggio dal paternalismo) di molti dirigenti; tutelare l'immagine di chi è
aggredito perch osa toccare i santuari del potere; rendere ancora pi visibile
il nostro contrasto alle derive lottizza-torie dell'autogoverno: è questo il
solo possibile antidoto al riflusso, dei gio-vani e degli anziani. Cercare il
dialogo con i giovani magistrati - che hanno la virt del pragmatismo - significa
poi sforzarsi di ridurre la distanza tra le elaborazioni culturali e politiche
ed i concreti modi di essere della magistra-tura e della giurisdizione. Un compito
che richiede non solo il rilancio della riflessione sugli orientamenti della
giurisprudenza, ma anche una costante opera di critica e denuncia delle distorsioni
delle prassi nei singoli uffici, del-le cadute sul piano deontologico" . Di
qui l'incrocio con le stelle polari di Md: "C'è un problema ogni giorno pi
centrale nella nostra società: quello dell'esclusione e della povertà. E' il
terreno elettivo dell'impegno per Md, che spinge - per usare le parole di G.
Borrè - verso "nuovi percorsi di intervento giurisprudenziale" specie nelle
materie "sensibili" (dai rapporti di lavoro all'ambiente, dalla immigrazione
alla tutela dei consumatori, dai diritti di accesso a quelli di libertà), improntati
all'affermazione dei valori costituzionali di effettività e di uguaglianza sostanziale.
(") E' necessario essere pi visibili e trovare nuove forme di apertura all'esterno:
agli avvocati, alla magistratura onoraria, ai funzionari di cancelleria", ma
anche ad altri soggetti di diverso tipo (le associazioni ambientaliste, i sindacati,
i movimenti dei consumatori, le Onlus") con cui inverare la politica di promozione
dei diritti, con una rin-novata attenzione agli interessi materiali toccati
dalla giurisdizione. I possibi-li compagni di strada sono moltissimi, basta
saperli cercare" .
Ha scritto Albert Camus
nel 1942 - ce lo ha ricordato A. Cassese - che su tutti i problemi essenziali,
i problemi cioè "che rischiano di far morire o decuplicano la passione di vivere",
non esistono che due risposte, due "meto-di di pensiero": quello della rilevazione
notarile e ripetitiva della realtà (il metodo di monsieur de la Palisse) e quello
della lotta appassionata, foss'anche ingenua o velleitaria (ed è il metodo di
Don Chisciotte). Tu, Car-lo, non hai mai avuto dubbi in questa scelta anche
se le incomprensioni ti hanno ferito e se la tua generosità ti ha, alla fine,
consumato. Noi ti ricorde-remo così, felicemente impegnato nell'impresa di cambiare
il mondo, come quel Don Chisciotte che sta sui muri del caminetto del tuo soggiorno.
Le per-sone continuano a vivere nell'affetto e nelle idee che hanno suscitato:
tu, Car-lo, vivrai a lungo. Noi, in ogni caso, continueremo a coltivare le tue
certezze, le tue speranze, le tue illusioni. Ciao Carlo. Non riusciamo a dirti
addio. Continueremo ad aspettare di vederti arrivare, trafelato e con l'immancabile
zaino, al prossimo comitato di redazione. (l.p.)*
ÂÂ
*Alla fine è necessario
che qualcuno prenda la penna (o si metta al computer) e scriva. Ancora una volta
è toccato a me (con l'aiuto di Maria Giuliana Civinini, a cui devo interi brani
di questo ricordo), ma sono stato solo lo strumento (per di pi inadeguato)
di un sentire collettivo di tutta la Rivista e di tutti quelli che hanno conosciuto
Carlo e, conoscendolo, gli hanno voluto bene.